Jan 2, 2018
MICHAEL SPENCE , KAREN KARNIOL-TAMBOUR
MILAN/NEW YORK – Most of the global economy is now subject to positive economic trends: unemployment is falling, output gaps are closing, growth is picking up, and, for reasons that are not yet clear, inflation remains below the major central banks’ targets. On the other hand, productivity growth remains weak, income inequality is increasing, and less educated workers are struggling to find attractive employment opportunities.
After eight years of aggressive stimulus, developed economies are emerging from an extended deleveraging phase that naturally suppressed growth from the demand side. As the level and composition of debt has been shifted, deleveraging pressures have been reduced, allowing for a synchronized global expansion.
Still, in time, the primary determinant of GDP growth – and the inclusivity of growth patterns – will be gains in productivity. Yet, as things stand, there is ample reason to doubt that productivity will pick up on its own. There are several important items missing from the policy mix that cast a shadow over the realization of both full-scale productivity growth and a shift to more inclusive growth patterns.
First, growth potential can’t be realized without sufficient human capital. This lesson is apparent in the experience of developing countries, but it applies to developed economies, too. Unfortunately, across most economies, skills and capabilities do not seem to be keeping pace with rapid structural shifts in labor markets. Governments have proved either unwilling or unable to act aggressively in terms of education and skills retraining or in redistributing income. And in countries like the United States, the distribution of income and wealth is so skewed that lower-income households cannot afford to invest in measures to adapt to rapidly changing employment conditions.
Second, most job markets have a large information gap that will need to be closed. Workers know that change is coming, but they do not know how skills requirements are evolving, and thus cannot base their choices on concrete data. Governments, educational institutions, and businesses have not come anywhere close to providing adequate guidance on this front.
Third, firms and individuals tend to go where opportunities are expanding, the costs of doing business are low, prospects for recruiting workers are good, and the quality of life is high. Environmental factors and infrastructure are critical for creating such dynamic, competitive conditions. Infrastructure, for example, lowers the cost and improves the quality of connectivity. Most arguments in favor of infrastructure investment focus on the negative: collapsing bridges, congested highways, second-rate air travel, and so forth. But policymakers should look beyond the need to catch up on deferred maintenance. The aspiration should be to invest in infrastructure that will create entirely new opportunities for private-sector investment and innovation.
Fourth, publicly funded research in science, technology, and biomedicine is vital for driving innovation over the long term. By contributing to public knowledge, basic research opens up new areas for private-sector innovation. And wherever research is conducted, it produces spillover effects within the surrounding local economy.
Almost none of these four considerations is a significant feature of the policy framework that currently prevails in most developed countries. In the US, for example, Congress has passed a tax-reform package that may produce an additional increment in private investment, but will do little to reduce inequality, restore and redeploy human capital, improve infrastructure, or expand scientific and technological knowledge. In other words, the package ignores the very ingredients needed to lay the groundwork for balanced and sustainable future growth patterns, characterized by high economic and social productivity trajectories supported by both the supply side and the demand side (including investment).
Ray Dalio describes a path featuring investment in human capital, infrastructure, and the scientific base of the economy as path A. The alternative is path B, characterized by a lack of investment in areas that will directly boost productivity, such as infrastructure and education. Though economies are currently favoring path B, it is path A that would produce higher, more inclusive, and more sustainable growth, while also ameliorating the lingering debt overhangs associated with large sovereign debt and non-debt liabilities in areas like pensions, social security, and publicly funded health care.
It may be wishful thinking, but our hope for the new year is that governments will make a more concerted effort to chart a new course from Dalio’s path B to path A.
Gli ingredienti perduti della crescita,
di Michael Spence e Karen Karniol-Tambour
MILANO/NEW YORK – Buona parte dell’economia globale è oggi soggetta a tendenze positive: la disoccupazione sta calando, i divari produttivi si stanno chiudendo, la crescita si sta risollevando e, per ragioni non ancora chiare, l’inflazione resta al di sotto degli obbiettivi di importanti banche centrali. D’altra parte, la crescita della produttività resta debole, l’ineguaglianza dei redditi è in aumento e i lavoratori meno istruiti stanno lottando per trovare opportunità di occupazione attraenti.
Dopo otto anni di stimoli aggressivi, le economie sviluppate stanno venendo fuori da una fase prolungata di riduzione del rapporto di indebitamento, che naturalmente ha abbattuto la crescita dal lato della domanda. Quando il livello e la composizione del debito ha cambiato marcia, le pressioni per la riduzione del rapporto di indebitamento si sono ridotte, consentendo una espansione globale sincronizzata.
Tuttavia, col tempo, il fattore primario della crescita del PIL – e il carattere inclusivo dei modelli di crescita – saranno i guadagni della produttività. Per come si dispongono le cose, ci sono molte ragioni per dubitare che la produttività si risolleverà per suo conto. Ci sono varie importanti voci che si perdono nella combinazione di politiche che gettano un’ombra sulla realizzazione di una crescita della produttività su vasta scala, come di uno spostamento su schemi di crescita più inclusivi.
In primo luogo, la crescita potenziale non può essere realizzata senza un sufficiente capitale umano. Questa lezione è evidente nell’esperienza dei paesi in via di sviluppo, ma si applica anche alle economie sviluppate. Sfortunatamente, nella maggior parte delle economie, non sembra che le competenze e le capacità produttive stiano tenendo il passo con i rapidi spostamenti strutturali nel mercato del lavoro. I Governi si sono dimostrati sia non disponibili che incapaci di una iniziativa aggressiva in termini di istruzione e di aggiornamento delle competenze o di redistribuzione del reddito. E in paesi come gli Stati Uniti, la distribuzione del reddito e la ricchezza sono così distorte che le famiglie con più bassi redditi non possono permettersi di investire in misure per adattarsi ai rapidi cambiamenti delle condizioni dell’occupazione.
In secondo luogo, la maggioranza dei mercati del lavoro hanno un ampio difetto di informazioni che sarà necessario superare. I lavoratori sanno che il cambiamento è in arrivo, ma non sanno come si stanno evolvendo i bisogni di competenze, e quindi non possono basare le loro scelte su dati concreti. Su questo fronte, i Governi, le istituzioni educative e le imprese non si sono in nessun modo avvicinati a fornire indirizzi sufficienti.
Il terzo luogo, le imprese ed i singoli tendono ad andare dove le opportunità sono in espansione, i costi del fare impresa sono bassi, le prospettive per l’assunzione dei lavoratori sono buone e la qualità della vita è elevata. Perché si determinino tali dinamiche, i fattori ambientali ed infrastrutturali sono fondamentali. Le infrastrutture, ad esempio, abbassano i costi e migliorano la qualità delle connessioni. La maggioranza degli argomenti a favore degli investimenti infrastrutturali si concentrano sugli aspetti negativi: i ponti che collassano, le autostrade congestionate, i viaggi in aereo scadenti, e così via. Ma gli operatori politici dovrebbero guardare oltre il bisogno di mettersi al passo con una manutenzione continuamente rinviata. L’ambizione dovrebbe essere investire in infrastrutture che creeranno opportunità del tutto nuove per gli investimenti e l’innovazione del settore privato.
In quarto luogo, nel lungo termine la ricerca con finanziamenti pubblici nella scienza, nella tecnologia e nella biomedicina è una guida vitale all’innovazione. Contribuendo alla conoscenza diffusa, la ricerca di base apre nuove aree per l’innovazione nel settore privato. E dovunque tale ricerca viene esercitata, essa produce effetti di ricaduta nell’economia locale che la circonda.
Quasi nessuna di queste quattro considerazioni è una caratteristica significativa degli schemi politici che attualmente prevalgono nella maggioranza dei paesi sviluppati. Negli Stati Uniti, ad esempio, il Congresso ha approvato un pacchetto di riforma del fisco che può produrre un incremento aggiuntivo nell’investimento privato, ma farà poco per ridurre l’ineguaglianza, per ristorare e redistribuire il capitale umano, per migliorare le infrastrutture o per espandere la conoscenza scientifica e tecnologica. In altre parole, il pacchetto ignora gli ingredienti effettivamente necessari per mettere le fondamenta di modelli di crescita equilibrati e sostenibili nel futuro, caratterizzati da indirizzi di elevata produttività economica e sociale, sostenuta sia dal lato dell’offerta che della domanda (inclusi gli investimenti).
Ray Dalio [1] descrive un indirizzo caratterizzato da investimenti in capitale umano, nelle infrastrutture e nei fondamenti scientifici dell’econonomia come ‘indirizzo A’. L’alternativa è un ‘indirizzo B’, caratterizzato da mancanza di investimenti in aree che incoraggerebbero direttamente la produttività, quali le infrastrutture e l’istruzione. Sebbene le economie stiano attualmente favorendo l’indirizzo B, è l’indirizzo A che produrrebbe una crescita più elevata, più inclusiva e più sostenibile, anche migliorando gli eccessi di persistente debito connessi con un ampio debito sovrano e con passività non debitorie [2] in aree come le pensioni, la sicurezza sociale e l’assistenza sanitaria con finanziamenti pubblici.
Può darsi che siamo ottimisti, ma la nostra speranza per l’anno nuovo è che i Governi facciano uno sforzo più concertato per tracciare una nuova rotta, dall’indirizzo B a quello A che Dalio ha descritti.
[1] Presidente e responsabile degli investimenti della Bridgewater Associates L.P. Il testo citato è su un articolo comparso su Linkedin.
[2] Vengono definite passività ‘no-debt’, credo, in quanto non soggette a specifiche scadenze di pagamento.
By mm
E' possibile commentare l'articolo nell'area "Commenti del Mese"