Paul Krugman JAN. 22, 2018
“L’état, c’est moi,” declared Louis XIV: “I am the state.” Louis was an absolute monarch, whose word was law, and serving France meant being personally loyal to Louis himself.
There were obvious advantages to such a system: no ambiguity about where authority lay, no time wasted in legislative debates, no need to cobble coalitions together to get things done. Yet Louis’s France, Europe’s most powerful state, was fought to a standstill by England and the Netherlands — a constitutional monarchy (after the Glorious Revolution of 1688) and a republic, with a combined population only a fraction as large.
And in the Anglo-French wars that followed, France generally got the worst of it, while sliding ever deeper into fiscal crisis — a crisis that eventually helped precipitate the French Revolution.
Why was an absolute monarchy weaker, in practice, than quarrelsome republics? One reason was that the very absence of limits on the ruler undermined French credibility: Whatever the king might promise, he could always change his mind. Not incidentally, France repeatedly defaulted on its debt, while post-1688 England, its king effectively constrained by Parliament, never did. As a result, England was much more successful at wartime borrowing, and paid much lower interest rates.
Which brings us, as all things do these days, to Donald Trump — a man who has evident contempt for the rule of law and who, like Louis, sees no distinction between loyalty to the nation and loyalty to himself. The main difference is that Louis seems to have at least tried to understand the issues.
On Friday night, something unprecedented happened: The U.S. government shut down temporarily even though the same party controls both Congress and the White House. Why? Because when it comes to Trump, a deal isn’t a deal — it’s just words he feels free to ignore a few days later.
The story so far: Two weeks ago, Trump declared that if Congress came up with a plan to protect Dreamers — undocumented immigrants brought here as children — while enhancing border security, he would sign it. Two days later, a bipartisan group of senators brought him a plan doing just that — and he rejected it, complaining about immigrants from “shithole countries.”
On Friday, Chuck Schumer, the Senate Democratic leader, seemed to have at least a short-term agreement with Trump, only to see it pulled back a few hours later. Working with Trump is “like negotiating with Jell-O,” Schumer fumed.
Finally, on Monday Democrats agreed to a three-week extension of funding in return for a promise from Mitch McConnell, the Senate majority leader, of a vote on immigration legislation (we’ve heard nothing from Trump). If this vote doesn’t happen, we’ll be back to square one Feb. 8. Anyone want to take bets?
Basically, then, the government of the world’s greatest nation is lurching from crisis to crisis because its leader can’t be trusted to honor a deal. But what did you expect? Trump’s whole business career has been a series of betrayals — failed business ventures from which he personally profited while others, whether they were Trump University students, vendors or creditors, ended up holding the bag. And he hasn’t grown a bit in office, unless you count that mysterious extra inch.
There are two things you need to realize about Trump’s utter unreliability. First, it has ramifications that go far beyond the recent shutdown. Second, it’s made possible, or at least much worse, by his enablers in Congress.
Think, for example, about the international consequences of a U.S. president whose word can’t be trusted. Who can we count on to be a reliable ally, when no country knows whether America will stand by it if it needs help?
So far, at least, financial markets continue to regard the U.S. government as trustworthy, even though during the 2016 campaign Trump openly talked about forcing the nation’s creditors — like creditors of some of his businesses — to accept less than they were owed. But does this government have any reserve of financial credibility if something should go wrong? Probably not.
In other words, Trump’s unreliability is a big problem, over and above the substance of his policies. But here’s the funny thing: While his instincts are clearly autocratic, the Constitution doesn’t set him above the law. Congress has the power to constrain his actions, to force him to honor promises. His ability to keep betraying those who trust him depends entirely on the willingness of Republicans in Congress to go along.
For example, any two of the Republican senators currently wringing their hands over the betrayal of the Dreamers could have forced action by withholding their votes on the Trump tax cut. They didn’t. Similar inaction explains why Trump has been able to violate all previous norms against exploiting his office for personal gain, and much more.
The result is that promises from the U.S. government are now as worthless as those from a tinpot dictator. We don’t yet know how high a price we’ll pay for that loss of credibility, but it probably won’t be small.
L’arte del rompere gli accordi, di Paul Krugman
New York Times 22 gennaio 2018
“L’état, c’est moi”, dichiarò Luigi XVI. “Io sono lo Stato”. Luigi era una monarca assoluto la cui parola era legge, ed essere al servizio della Francia comportava essere personalmente fedele a Luigi stesso.
In un sistema del genere c’erano evidenti vantaggi: nessuna ambiguità su dove risiedesse l’autorità, nessun tempo sprecato in dibattiti legislativi, nessun bisogno di raffazzonare coalizioni per fare le cose. Tuttavia la Francia di Luigi XVI, lo Stato più potente d’Europa, fu combattuta sino alla paralisi dall’Inghilterra e dall’Olanda – una monarchia costituzionale (dopo la Rivoluzione Gloriosa del 1688) e una repubblica, con popolazioni che assieme rappresentavano solo una frazione di quella francese.
E nelle guerre angolo-francesi che seguirono, in generale la Francia ebbe la peggio, mentre scivolava sempre più a fondo nella crisi delle finanze pubbliche – una crisi che alla fine contribuì a precipitarla nella Rivoluzione Francese.
Perché, in sostanza, una monarchia assoluta fu più debole di repubbliche combattive? Una ragione fu che la completa assenza di limiti del governante mise a repentaglio la credibilità francese: qualsiasi cosa il Re promettesse, poteva sempre cambiare idea. Non per caso la Francia col suo debito andò ripetutamente in default, mentre all’Inghilterra successiva al 1688, con il suo Re efficacemente controllato dal Parlamento, non accadde mai. Di conseguenza, all’Inghilterra andò molto meglio coll’indebitarsi in tempo di guerra e pagò tassi di interesse molto più bassi.
Il che ci riporta, come tutto di questi tempi, a Donald Trump – un uomo che ha un evidente disprezzo per lo stato di diritto e che, come Luigi XVI, non fa alcuna distinzione tra la fedeltà alla nazione e la fedeltà a lui stesso. La principale differenza è che Luigi XVI sembra che almeno avesse cercato di capire le questioni principali.
Venerdì notte è successo qualcosa di inedito: il Governo degli Stati Uniti ha esaurito temporaneamente le risorse finanziarie, anche se un solo partito controlla sia il Congresso che la Casa Bianca. Perché? Perché nel caso di Trump, un accordo non è un accordo – sono solo parole che si sente libero di ignorare pochi giorni dopo.
Sino a questo punto, la storia è la seguente: due settimane fa Trump dichiarò che se il Congresso decideva un piano per proteggere i Dreamers [1] – gli immigrati senza documenti portati qua da bambini – nel contempo rafforzando la sicurezza ai confini, lui l’avrebbe sottoscritto. Due giorni dopo, un gruppo bipartisan di Senatori gli consegnò un piano che faceva per l’appunto quello – ed egli lo respinse, lamentandosi degli immigrati provenienti dai “paesi cesso”.
Venerdì, Chuck Schumer, il leader dei democratici al Senato, sembrava avere una intesa almeno sul breve termine con Trump, solo per vedersela ritirare poche ore dopo. Lavorare con Trump è “come negoziare con un dolce di gelatina”, affermò furioso Schumer.
Infine, lunedì i democratici diedero il loro consenso ad una proroga di tre settimane dei finanziamenti in cambio di una promessa di Mitch McConnell, il leader della maggioranza al Senato, di un voto sulla legge sull’immigrazione (Trump non disse niente al proposito). Se questo voto non arriva, l’8 febbraio torneremo al punto di partenza. C’è qualcuno disposto a fare scommesse?
Fondamentalmente, poi, il Governo della più grande nazione del mondo sbanda da una crisi all’altra perché il suo capo non può essere creduto capace di onorare un accordo. Ma cosa vi aspettavate? L’intera carriera affaristica di Trump è consistita in una serie di tradimenti – iniziative imprenditoriali fallite dalle quali egli personalmente trasse vantaggi, che si trattasse degli studenti della Trump University, di fornitori o di creditori, che finirono a mani vuote. E con la sua carica non è cresciuto minimamente, a meno che non mettiate nel conto quei misteriosi 2 centimetri e mezzo supplementari [2].
Ci sono due cose che si devono comprendere al riguardo della completa inaffidabilità di Trump. La prima: essa ha ramificazioni che vanno ben oltre la recente vicenda del blocco dei finanziamenti governativi. La seconda, l’inaffidabilità è resa possibile, o almeno è molto accentuata, dai suoi sostenitori nel Congresso.
Si pensi, ad esempio, alle conseguenze internazionali di un Presidente degli Stati Uniti la cui parola non è credibile. Su chi possiamo contare come alleato affidabile, quando nessun paese sa se l’America sarà dalla sua parte nel momento del bisogno?
Almeno sino ad ora, i mercati finanziari continuano a considerare il Governo degli Stati Uniti come meritevole di fiducia, anche se durante la campagna elettorale del 2016 Trump parlò apertamente di costringere i creditori del paese – nello stesso modo dei creditori delle sue imprese – ad accettare meno di quello che era loro dovuto. Ma questo Governo ha qualche riserva di credibilità finanziaria, se qualcosa non dovesse andare per il verso giusto? Probabilmente no.
In altre parole, l’inaffidabilità di Trump è un problema serio, oltre e sopra la sostanza delle sue politiche. Ma è qua l’aspetto curioso: mentre i suoi istinti sono chiaramente autocratici, la Costituzione non lo colloca sopra la legge. Il Congresso ha il potere di limitare le sue azioni, di costringerlo ad onorare le promesse. La sua possibilità di continuare a tradire coloro che hanno fiducia in lui dipende interamente dalla disponibilità dei repubblicani del Congresso di procedere in questo modo.
Ad esempio, due Senatori qualsiasi tra quelli che attualmente si torcono le mani sul tradimento dei Dreamers potevano averlo costretto ad agire non concedendo i loro voti sul taglio delle tasse di Trump. Non l’hanno fatto. Tale mancanza di iniziativa spiega perché Trump è stato capace di violare tutte le norme precedenti contro lo sfruttamento della sua carica per vantaggi personali, e molto di più.
Il risultato è che adesso le promesse del Governo degli Stati Uniti hanno lo stesso valore di quelle di un dittatore da quattro soldi. Non sappiamo ancora quanto sarà alto il prezzo che pagheremo per questa mancanza di credibilità, ma è probabile che non sarà piccolo.
[1] Vengono chiamati “dreamers” (che forse non casualmente significa “Sognatori”) coloro che godono di benefici che derivano da una proposta di legge – approvata solo dal Senato – che ha l’acronimo di DREAM, “Legge per lo sviluppo, l’aiuto e l’istruzione di minori stranieri”. Tale legge, da quanto comprendo, è stata approvata solo da un ramo del Congresso, dunque non sarebbe in funzione. Probabilmente alcuni suoi contenuti sono in atto per effetto di azioni amministrative della Amministrazione Obama, decise dopo la bocciatura da parte della Camera dei Rappresentanti. Comunque bisogna distinguere: il DACA è una iniziativa amministrativa della Amministrazione Obama, il DREAM è una proposta di legge, che ispira il DACA ma che non è diventata legge.
[2] Un pollice equivale a 2,54 centimetri. In un recente resoconto delle condizioni di salute del Presidente da parte dell’ufficiale medico della Casa Bianca è apparso uno strano incremento della sua altezza per un pollice, rispetto a quanto riportato nella sua patente. Con malizia è stato notato che quel pollice gli consentiva di passare dalla categoria di ‘obeso’ a quella di ‘sovrappeso’.
By mm
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