Paul Krugman FEB. 27, 2018
On Feb. 19 Walmart, America’s largest employer, announced broad-based pay hikes. In fact, it announced that it would be raising wages for half a million workers. The Trump tax cut is working!
Oh, wait. That announcement was three years ago – it came on Feb. 19, 2015. And as far as I can tell, nobody gave the Obama administration credit for the move.
Why did Walmart raise wages? Partly because the labor market was tightening: unemployment had fallen more than 40 percent from its peak in 2009 (a decline for which the Obama administration’s stimulus and other policies actually do deserve some credit.) This tightening labor market meant that Walmart was having trouble attracting workers.
Walmart was also in the midst of a change in business strategy. Its policy of always low wages, always, was starting to look problematic: low pay meant high turnover and low morale, and management believed that moving at least partway to the Costco strategy of paying more and getting better performance as a result made sense.
The moral of this story is that unless the economy is deeply depressed, there will always be some companies, somewhere, raising wages and offering bonuses. Which brings me to the Trump tax cut and the very bad, no good job much of the media initially did of covering its effects.
Every card-carrying economist agrees that cutting corporate tax rates will have some trickle-down effect on wages – in the long run. How much of a trickle-down effect depends on a bunch of technical factors: what share of corporate profits represents monopoly rents rather than returns to capital, how responsive inflows of foreign capital are to the U.S. rate of return, what share of the capital stock is even affected by the corporate tax rate. Enthusiasts claim that the tax cut will eventually go 100% to workers; most serious modelers think the number is more like 20 or 25 percent.
Whatever the number, however, it’s about the long run. It requires a chain of events: lower taxes -> higher investment -> higher stock of capital -> higher demand for labor -> higher wages. And this chain of events should take a number of years, probably decades, to fully work itself through. Even in the most favorable analyses, there is no reason to expect any wage gains in the first few months after a tax cut.
Yet for a while there the news was full of stories about companies announcing that they were giving their workers bonuses thanks to the Trump tax cut. Why were they doing this?
Well, the tax cut provided no immediate incentive to raise wages. It did, however, give companies that benefited from the tax cut a strong political incentive to claim that the tax break was the reason for bonuses or wage hikes they would have given in any case. Why not? They want the tax cut to look good, since it’s good for them. And hyping its benefits is a cheap way to make a de facto campaign contribution to an administration that can do a lot to help companies it likes, say by removing pesky safety or environmental regulations.
In other words, the whole “bonuses thanks to tax cut” story was bogus, and obviously so. Yet much of the media fell for it.
There was also a big element of innumeracy involved. Most people have no idea just how big the U.S. economy is; if you say “company X just hired 1000 workers” or “company Y just gave 5000 workers a $1000 bonus” they imagine that these are big stories, when in reality they’re just noise in an economy where around 5 million workers are hired – and an almost equal number quit or are fired – every month.
The numbers we have so far show that the much-hyped bonuses are trivial– less than $6 billion, or 0.03% of GDP – while stock buybacks have been more than $170 billion. And many of those bonuses would probably have happened anyway, whereas stock buybacks are running far above historical levels.
Furthermore, the surge in stock buybacks suggests that the long run effect of the tax cut on wages will be small. Remember that the chain that should lead to trickle-down begins with lower taxes -> higher investment. If companies use the cuts to buy back stocks, not add to plant and equipment, the wage-growth story doesn’t even get started.
So the real news about the tax cut is that it is – I know you’ll be shocked – mainly a giveaway to corporations. Who could have predicted?
Gratifiche e prese per i fondelli,
di Paul Krugman
Il 19 febbraio Walmart, il più grande datore di lavoro in America, ha annunciato aumenti di salario generalizzati. Di fatto, ha annunciato che starebbe per elevare i salari per mezzo milione di lavoratori. I tagli alle tasse di Trump stanno funzionando!
Un momento. Quell’annuncio venne tre anni fa – il 19 febbraio 2015. E per quanto mi ricordi, nessuno diede merito alla Amministrazione Obama per quell’iniziativa.
Perché la Walmart alzò i salari? In parte perché il mercato del lavoro si stava restringendo: la disoccupazione era calata di più del 40 per cento dal suo picco nel 2009 (un declino per il quale lo stimolo ed altre politiche della Amministrazione Obama meritano effettivamente un po’ di credito). Quel mercato del lavoro che si restringeva comportava che la Walmart stava avendo qualche problema ad attrarre lavoratori.
Walmart era anche nel mezzo di un cambiamento della strategia economica. La sua politica di bassi salari, sempre e senza eccezioni, cominciava ad apparire problematica: paghe basse comportano elevato turnover e scarse motivazioni, e il gruppo dirigente credeva che indirizzarsi almeno parzialmente verso la strategia della Costco, pagare di più e ottenere di conseguenza migliori prestazioni, avesse senso.
La morale di questa storia è che, a meno che l’economia non sia profondamente depressa, ci saranno sempre alcune società, da qualche parte, che alzano i salari e offrono gratifiche. La qual cosa mi porta al taglio delle tasse di Trump e al lavoro molto scadente che i media fecero agli inizi nel dar notizia dei suoi effetti.
Ogni economista patentato concorda che il taglio delle aliquote fiscali delle società comporterà un po’ di effetti a cascata sui salari – nel lungo periodo. Quanto effetto a cascata dipende da un mucchio di fattori tecnici: quale quota di profitti rappresentino le rendite di monopolio piuttosto che i rendimenti del capitale, quanto i flussi di capitali stranieri siano reattivi al tasso di rendimento degli Stati Uniti, persino quale quota delle riserve di capitale sia influenzata dalla aliquota fiscale delle società. La tesi degli entusiasti è che alla fine il taglio delle tasse andrà al 100% ai lavoratori; modellatori più seri stimano che il dato più probabile sia un 20 o 25 per cento.
Qualsiasi sia il numero, tuttavia, esso riguarda il lungo periodo. Richiede una catena di eventi: tasse più basse > investimenti più elevati > riserve di capitale maggiori > più elevata domanda di lavoro > salari più alti. E questa catena di eventi dovrebbe richiedere un certo numero di anni, probabilmente decenni, per entrare essa stessa pienamente in funzione. Persino nelle analisi più favorevoli, non c’è nessuna ragione di aspettarsi alcun vantaggio salariale nei primi mesi successivi ad un taglio delle tasse.
Tuttavia per un certo periodo i notiziari erano pieni di racconti sulle società che annunciavano che, grazie al taglio delle tasse di Trump, stavano per dare gratifiche ai loro lavoratori. Perché lo facevano?
Ebbene, lo sgravio fiscale non forniva alcun incentivo immediato per elevare i compensi. Tuttavia, dava alle società che ne beneficiavano un forte incentivo politico per sostenere che gli sgravi fiscali erano la ragione delle gratifiche o degli aumenti di salario che avrebbero deciso in ogni caso. Perché no? Volevano che i tagli alle tasse apparissero una buona cosa, dal momento che per loro erano una buona cosa. E fare propaganda sui conseguenti benefici era un modo conveniente per dare in sostanza un contributo alla campagna elettorale a favore di una Amministrazione che poteva far molto per aiutare le società di suo gradimento, ad esempio per rimuovere fastidiosi regolamenti sulla sicurezza o sull’ambiente.
In altre parole, tutta la storia delle “gratifiche grazie al taglio delle tasse” è stata una presa in giro, anche piuttosto evidente. Tuttavia, una gran parte dei media ci sono caduti.
In tutto questo c’era anche un grande aspetto di scarsa dimestichezza con la matematica. La maggioranza delle persone non hanno idea di quanto sia grande l’economia degli Stati Uniti; si immaginano che se si afferma che “la società X ha assunto mille lavoratori” o che “la società Y ha appena dato a 5.000 lavoratori una gratifica di 1.000 dollari” si tratti di fatti rilevanti, quando in realtà sono appena delle sciocchezze, in un’economia nella quale ogni mese si assumono 5 milioni di lavoratori – e un numero quasi uguale si ritirano per cercare lavori migliori o vengono licenziati.
I dati che abbiamo sino a questo punto mostrano che le tanto propagandate gratifiche sono banali – meno di 6 miliardi di dollari, ovvero lo 0,03% del PIL – mentre i riacquisti di azioni [1] sono stati più di 170 miliardi di dollari. E molte di quelle gratifiche sarebbero probabilmente state decise comunque, mentre i riacquisti delle azioni stanno correndo molto al di sopra dei livelli storicamente consolidati.
Inoltre, la crescita dei riacquisti delle azioni indica che l’effetto di lungo periodo degli sgravi fiscali sui salari sarà piccolo. Ricordate che quella catena che dovrebbe portare ad effetti a cascata comincia con tasse più basse > investimenti più elevati. Se le società utilizzano i tagli per riacquistare azioni, non per accrescere gli stabilimenti e le attrezzature, il racconto sulla crescita dei salari non ha neppure avuto inizio.
Dunque la vera novità sui tagli alle tasse – mi rendo conto che sarete sorpresi – è che essi sono principalmente un regalo alle società. Chi l’avrebbe mai detto?
[1] “Riacquisti” perché – in una fase di bassi investimenti sul capitale fisso – le società quotate in borsa si orientano soprattutto a riacquistare da investitori vari le proprie azioni, probabilmente per sfruttare i rendimenti e per consolidare la propria posizione sugli assetti azionari della propria società.
By mm
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