Paul Krugman FEB. 26, 2018
A funny thing is happening on the American scene: a powerful upwelling of decency. Suddenly, it seems as if the worst lack all conviction, while the best are filled with a passionate intensity. We don’t yet know whether this will translate into political change. But we may be in the midst of a transformative moment.
You can see the abrupt turn toward decency in the rise of the #MeToo movement; in a matter of months ground that had seemed immovable shifted, and powerful sexual predators started facing career-ending consequences.
You can see it in the reactions to the Parkland school massacre. For now, at least, the usual reaction to mass killings — a day or two of headlines, then a sort of collective shrug by the political class and a return to its normal obeisance to the gun lobby — isn’t playing out. Instead, the story is staying at the top of the news, and associating with the N.R.A. is starting to look like the political and business poison it should have been all along.
And I’d argue that you can see it at the ballot box, where hard-right politicians in usually reliable Republican districts keep being defeated thanks to surging activism by ordinary citizens.
This isn’t what anyone, certainly not the political commentariat, expected.
After the 2016 election many in the news media seemed all too ready to assume that Trumpism represented the real America, even though Hillary Clinton had won the popular vote and — Russian intervention and the Comey letter aside — would surely have won the electoral vote, too, but for the Big Sneer, the derisive tone adopted by countless reporters and pundits. There have been hundreds if not thousands of stories about grizzled Trump supporters sitting in diners, purportedly showing the out-of-touchness of our cultural elite.
Even the huge anti-Trump demonstrations just after Inauguration Day didn’t seem to move the conventional wisdom. But those pink pussy hats may have represented the beginning of real social and political change.
Political scientists have a term and a theory for what we’re seeing on #MeToo, guns and perhaps more: “regime change cascades.”
Here’s how it works: When people see the status quo as immovable, they tend to be passive even if they are themselves dissatisfied. Indeed, they may be unwilling to reveal their discontent, or to fully admit it to themselves. But once they see others visibly taking a stand, they both gain more confidence in their dissent and become more willing to act on it — and by their actions they may induce the same response in others, causing a kind of chain reaction.
Such cascades explain how huge political upheavals can quickly emerge, seemingly out of nowhere. Examples include the revolutions that swept Europe in 1848, the sudden collapse of communism in 1989 and the Arab Spring of 2011.
Now, nothing says that such cascades have to be positive either in their motivations or in their results. The period 2016-17 clearly represented a sort of Alt-Right Spring — springtime for fascists? — in which white supremacists and anti-Semites were emboldened not just by Donald Trump’s election but by the evidence that there were more like-minded people than anyone realized, both in the U.S. and Europe. Meanwhile, historians have described 1848 as a turning point where history somehow failed to turn: At the end of the day the old, corrupt regimes were still standing.
I nevertheless find the surge of indignation now building in America hugely encouraging. And yes, I think it’s all one surge. The #MeToo movement, the refusal to shrug off the Parkland massacre, the new political activism of outraged citizens (many of them women) all stem from a common perception: namely, that it’s not just about ideology, but that far too much power rests in the hands of men who are simply bad people.
And Exhibit A for that proposition is, of course, the tweeter in chief himself.
At the same time, what strikes me about the reaction to this growing backlash is not just its vileness, but its lameness. Trump’s response to Parkland — let’s arm teachers! — wasn’t just stupid, it was cowardly, an attempt to duck the issue, and I think many people realized that. Or consider how the Missouri G.O.P. has responded to the indictment of Gov. Eric Greitens, accused of trying to blackmail his lover with nude photos: by blaming … George Soros. I am not making this up.
Or consider the growing wildness of speeches by right-wing luminaries like Wayne LaPierre of the N.R.A. They’ve pretty much given up on making any substantive case for their ideas in favor of rants about socialists trying to take away your freedom. It’s scary stuff, but it’s also kind of whiny; it’s what people sound like when they know they’re losing the argument.
Again, there’s no guarantee that the forces of decency will win. In particular, the U.S. electoral system is in effect rigged in favor of Republicans, so Democrats will need to win the popular vote by something like seven percentage points to take the House. But we’re seeing a real uprising here, and there’s every reason to hope that change is coming.
La forza del risveglio della decenza, di Paul Krugman
New York Times 26 febbraio 2018
Sta accadendo una cosa curiosa sulla scena americana: una potente ripresa del senso della decenza. All’improvviso, sembra come se la cosa peggiore sia la mancanza di ogni convinzione, mentre la migliore è essere pieni di fervente energia. Non sappiamo ancora se questo si tradurrà in un cambiamento politico. Ma potremmo essere nel mezzo di un periodo di trasformazione.
Si può osservare l’improvviso spostamento verso il senso della decenza nella crescita del Movimento #Anch’io: nel giro di pochi mesi un terreno che era sembrato inamovibile si è spostato, e potenti maniaci del sesso hanno cominciato a fare i conti le conseguenze di carriere finite.
Si può osservare nelle reazioni al massacro nella scuola di Parkland. Almeno sinora, non sta andando in scena la consueta reazione agli omicidi di massa – un giorno o due di titoli sui giornali, poi una sorta di collettiva alzata di spalle da parte della classe politica e il suo ritorno alla normale deferenza verso la lobby delle armi. Invece, il tema resta in cima ai notiziari e la complicità con la Associazione dei produttori di armi sta cominciando ad apparire come un veleno politico e affaristico, quale doveva essere giudicata sin dall’inizio.
E direi che lo si può osservare nelle urne elettorali, dove i politici dell’estrema destra, in collegi elettorali normalmente affidabili per i repubblicani, continuano ad essere sconfitti grazie ad un crescente attivismo di cittadini comuni.
Non è quello che qualcuno si aspettava, certamente non i commentatori politici.
Dopo le elezioni del 2016 molti nei media dell’informazione erano anche troppo solerti nel considerare che il trumpismo rappresentava la vera America, anche se Hillary Clinton si era aggiudicata il voto popolare e – a parte l’intervento dei russi e la lettera di Comey – avrebbe anche certamente vinto il voto elettorale, se non fosse stato per il Grande Sogghigno, per l’atteggiamento di scherno adottato da innumerevoli cronisti e commentatori. Ci sono stati centinaia se non migliaia di racconti su attempati sostenitori di Trump seduti nelle trattorie, a conferma della supposta mancanza di sintonia della nostra elite culturale.
Persino le ampie manifestazioni anti-Trump proprio all’indomani del Giorno dell’Inaugurazione non sembrarono spostare quella convenzionale saggezza. Ma quei cappellini rosa delle donne hanno rappresentato l’inizio di un vero cambiamento sociale e politico.
I politologi hanno un termine ed una teoria per quello che stiamo osservando a proposito di #Anch’io, delle armi e di altro ancora: “smottamenti da cambio di regime”.
Ecco come funziona: quando le persone percepiscono lo status quo come immodificabile, tendono ad essere passive anche se non sono soddisfatte. In effetti, possono essere indisponibili a rivelare la propria insoddisfazione o a ammetterla pienamente. Ma una volta che osservano gli altri prendere apertamente una posizione, guadagnano maggiore fiducia nel loro dissenso e diventano più disponibili ad agire sulla base di esso – e con le loro azioni possono indurre la stessa risposta in altri, provocando una specie di reazione a catena.
Tali smottamenti possono spiegare come possono emergere rapidamente ampi cambiamenti radicali, in apparenza non provocati da niente. Gli esempi comprendono le rivoluzioni che dilagarono in Europa nel 1848, l’improvviso collasso del comunismo nel 1989 e la Primavera araba nel 2011.
Ora, niente ci garantisce che tali smottamenti siano positivi sia nelle loro motivazioni che nei loro risultati. Il periodo 2016-2017 chiaramente rappresentò una sorta di ‘primavera’ delle nuove destre – una primavera dei fascisti? – nella quale i suprematisti bianchi e gli anti semiti furono incoraggiati non solo dalla elezione di Donald Trump ma anche dai segnali che c’era un numero maggiore di persone che la pensavano nello stesso modo, in Europa come negli Stati Uniti, di quanto non si fosse compreso. Di contro, gli storici hanno descritto il 1848 come un punto di svolta nel quale la storia in qualche modo non seppe cambiare direzione: alla fine dei conti i vecchi, corrotti regimi tornarono al loro posto.
Nondimeno, trovo questo montare dell’indignazione che oggi si diffonde in America profondamente incoraggiante. E in effetti penso che sia nel suo complesso una unica sollevazione. Il movimento #Anch’io, il rifiuto di scrollarsi di dosso il massacro di Parkland, il nuovo attivismo politico di cittadini scandalizzati (molti di loro donne), tutto discende da una percezione comune: precisamente che non si tratti soltanto di ideologie, ma che un esagerato potere eccessivo resti nelle mani di individui che sono semplicemente cattive persone.
E la prova numero 1 di questo concetto è, ovviamente, il ‘twittatore in capo’ medesimo.
Nello stesso tempo, quello che mi colpisce della reazione a questo crescente contraccolpo non è solo la sua abiezione, ma la sua inadeguatezza. La risposta di Trump a Parkland – consentiamo agli insegnanti di usare le armi! – non è solo stupida, è anche vile, un tentativo di scansare il problema, e penso che molte persone l’abbiano compreso. Oppure si consideri come il Partito Repubblicano del Missouri abbia risposto al rinvio a giudizio del Governatore Eric Greitens, accusato per aver cercato di ricattare la sua amante con fotografie di nudi: dando la colpa a … George Soros. Non me lo sto inventando [1].
Oppure si consideri la crescente sfrenatezza dei discorsi di luminari dell’estrema destra come Wayne LaPierre, della Associazione dei Produttori di Armi. Costoro hanno praticamente cessato di avanzare per le loro idee argomenti di una qualche sostanza a favore di invettive sui socialisti che cercano di togliervi la vostra libertà. È roba allarmante, ma anche un po’ piagnucolosa; come quello a cui somigliano le persone quando sanno di aver perso ogni argomento.
Di nuovo, non c’è alcuna garanzia che le forze della decenza riescano a vincere. In particolare, il sistema elettorale degli Stati Uniti è nella sostanza truccato a favore dei repubblicani, cosicché i democratici avranno bisogno di aggiudicarsi il voto popolare di qualcosa vicino a sette punti percentuali per conquistare la Camera dei Rappresentanti. Ma in questo caso stiamo assistendo a una vera rivolta, e ci sono tutte le ragioni per sperare che il cambiamento stia arrivando.
[1] La storia, riportata dal Washington Post, è in sintesi la seguente: il Governatore del Missouri, una stella nascente del Partito Repubblicano, è stato accusato del reato di aver minacciato di pubblicare foto della sua ex amante nuda. L’accusa, confermata da un ‘gran giurì’, era partita da una inchiesta del procuratore del Tribunale circondariale Kim Gardner. Pare che Gardner abbia ricevuto finanziamenti da alcuni gruppi locali, verosimilmente in rapporto alla attività generale del suo ufficio. A loro volta, questi gruppi avevano ricevuto in passato finanziamenti da George Soros, che si è ritrovato con l’accusa repubblicana di sostenere ex-ante il procuratore nello scandalo sessuale del Governatore.
By mm
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