Paul Krugman MARCH 22, 2018
“Trade wars are good, and easy to win.” So declared Donald Trump a few weeks ago, after announcing tariffs on steel and aluminum. Actually, trade wars are rarely good, and not at all easy to win — especially if you have no idea what you’re doing. And boy, do these people not know what they’re doing.
It’s odd, in a way. After all, trade is clearly an issue about which Trump is truly passionate. He tried to kill Obamacare, but to all appearances his main concern was tarnishing his predecessor’s legacy. He wanted a tax cut, but more to score a “win” than because he cared about what was in it. But reducing the trade deficit has been a long-term Trump obsession, so you might expect him to learn something about how world trade works, or at least surround himself with people who do understand the subject.
But he hasn’t. And what he doesn’t know can and will hurt you.
In the case of steel, here’s what happened: First came the splashy announcement of big tariffs, ostensibly in the name of national security — infuriating U.S. allies, which are the main source of our steel imports. Then came what looks like a climb-down: The administration has exempted Canada, Mexico, the European Union and others from those tariffs.
Was this climb-down a reaction to threats of retaliation, or did the administration not at first realize that the tariffs would mainly hit our allies? Either way, Trump may have gotten the worst of both worlds: angering countries that should be our friends and establishing a reputation as an untrustworthy ally and trading partner, without even doing much for the industry he was supposedly trying to help.
Now comes Trumptrade II, the China Syndrome. On Thursday the administration announced that it would levy tariffs on a number of Chinese goods, with the specifics to be detailed later. How will this one work out?
Let’s be clear: When it comes to the global economic order, China is in fact a bad citizen. In particular, it plays fast and loose on intellectual property, in effect ripping off technologies and ideas developed elsewhere. It also subsidizes some industries, including steel, contributing to world excess capacity.
But while his coterie mentions these issues, Trump seems fixated on the U.S. trade deficit with China, which he keeps saying is $500 billion. (It’s actually $375 billion, but who’s counting?)
What’s wrong with this fixation?
First of all, much of that big deficit is a statistical illusion. China is, as some put it, the Great Assembler: Many Chinese exports are actually put together from parts produced elsewhere, especially South Korea and Japan. The classic example is the iPhone, which is “made in China” but in which Chinese labor and capital account for only a few percentof the final price.
That’s an extreme example, but part of a broader pattern: Much of the apparent U.S. trade deficit with China — probably almost half — is really a deficit with the countries that sell components to Chinese industry (and with which China runs deficits). This in turn has two implications: America has much less trade leverage over China than Trump imagines, and a trade war with “China” will anger a wider group of countries, some of them close allies.
More important, China’s overall trade surplus is not currently a major problem either for the United States or the world as a whole.
I use the word “currently” advisedly. There was a time, not that long ago, when the U.S. had high unemployment and China, by keeping its currency undervalued and running big trade surpluses, made that unemployment problem worse. And at the time I was calling for the U.S. to play hardball on the issue.
But that was then. Chinese trade surpluses have come way down; meanwhile, the U.S. no longer has high unemployment. Trump may think that our trade deficit with China means that it’s winning and we’re losing, but it just ain’t so. Chinese trade — as opposed to other forms of Chinese malpractice — is the wrong issue to get worked up over in the world of 2018.
And here’s the thing: By bumbling into a trade war, Trump undermines our ability to do anything about the real issues. If you want to pressure China into respecting intellectual property, you need to assemble a coalition of nations hurt by Chinese ripoffs — that is, other advanced countries, like Japan, South Korea and European nations. Yet Trump is systematically alienating those countries, with things like his on-again-off-again steel tariff and his threat to put tariffs on goods that, while assembled in China, are mainly produced elsewhere.
All in all, Trump’s trade policy is quickly turning into an object lesson in the wages of ignorance. By refusing to do its homework, the Trump team is managing to lose friends while failing to influence people.
The truth is that trade wars are bad, and almost everyone ends up losing economically. If anyone “wins,” it will be nations that gain geopolitical influence because America is squandering its own reputation. And that means that to the extent that anyone emerges as a victor from the Trump trade war, it will be … China.
Cacciarsi in una guerra commerciale, di Paul Krugman
New York Times 22 marzo 2018
“Le guerre commerciali sono una buona cosa e sono facili da vincere”. Questo dichiarò, poche settimane fa, Donald Trump, dopo aver annunciato le tariffe sull’acciaio e sull’alluminio. In realtà, le guerre commerciali sono raramente cose buone, e niente affatto facili da vincere – particolarmente se non si ha alcuna idea di cosa si sta facendo. E, ragazzi, questa gente per davvero non sa cosa sta facendo.
In un certo senso è strano. Dopo tutto, il commercio estero è chiaramente un tema del quale Trump è sul serio appassionato. Ha cercato di eliminare le riforma sanitaria di Obama, ma da quello che si capiva la sua principale preoccupazione era quella di distruggere l’eredità del suo predecessore. Ha voluto le riduzioni delle tasse, ma più allo scopo di realizzare un “successo” che perché si curasse di quello che c’era dentro. Ma la riduzione del deficit commerciale è stata da sempre una ossessione di Trump, dunque vi sareste aspettati che imparasse qualcosa su come funziona il commercio mondiale, o almeno che si circondasse di gente che davvero capisce il tema.
Ma non l’ha fatto. E quello che non sa può danneggiarci e ci danneggerà.
Nel caso dell’acciaio, ecco quello che è successo: dapprima è venuto l’annuncio clamoroso di grandi tariffe, a quanto pare nel nome della sicurezza nazionale – il che fa infuriare gli alleati degli Stati Uniti, che sono la fonte principale delle nostre importazioni di acciaio. Poi è venuta quella che sembra una ritrattazione: l’Amministrazione ha esentato il Canada, il Messico, l’Unione Europea ed altri da quelle tariffe.
Questa ritrattazione è stata una reazione alle minacce di ritorsioni, oppure agli inizi la Amministrazione non comprendeva che le tariffe avrebbero principalmente colpito i nostri alleati? In ogni caso, Trump ha ottenuto l’effetto peggiore su entrambi i versanti: ha fatto arrabbiare i paesi che dovrebbero essere nostri amici, e si è fatto una reputazione di alleato e di partner commerciale inaffidabile, senza neppure alcun particolare risultato per il settore industriale che si supponeva cercasse di aiutare.
Ora arriva il Trumptrade numero 2, la sindrome della Cina. Giovedì l’Amministrazione ha annunciato che imporrà tariffe su un certo numero di prodotti cinesi, che in specifico verranno dettagliati in seguito. Come funzionerà?
Siamo chiari: quando si arriva all’ordine economico mondiale, di fatto la Cina è un cattivo soggetto. In particolare, distorce i fatti sulla proprietà intellettuale, in sostanza appropriandosi delle tecnologie e delle idee sviluppate altrove. Inoltre dà sussidi alle industrie, incluso l’acciaio, contribuendo all’eccesso di capacità produttiva mondiale.
Ma, mentre la sua cricca di collaboratori fa riferimento a questi temi, Trump sembra fissato col deficit commerciale con la Cina, che continua a ripetere sarebbe di 500 miliardi di dollari (è effettivamente 375 miliardi di dollari, ma chi lo controlla?)
Cosa c’è di sbagliato in questa fissazione?
Prima di tutto, buona parte di questo grande deficit è un’illusione statistica. La Cina è, come alcuni la definiscono, il Grande Assemblatore: molte esportazioni cinesi sono in effetti composte da componenti prodotti altrove, specialmente in Corea del Sud e in Giappone. L’esempio classico è l’iPhone, che è “made in China” ma nel quale il lavoro e il capitale cinese influiscono con una piccola percentuale sul prezzo finale.
Si tratta di un esempio estremo, ma fa parte di uno schema più generale: buona parte dell’apparente deficit commerciale con la Cina – probabilmente quasi la metà – è in realtà un deficit con i paesi che vendono componenti all’industria cinese (e con i quali la Cina ha deficit). Questo a sua volta ha due implicazioni: l’America ha un rapporto di indebitamento commerciale con la Cina molto inferiore di quello che Trump immagina, e una guerra commerciale con la “Cina” farà arrabbiare un gruppo più ampio di paesi, alcuni dei quali nostri stretti alleati.
Ancora più importante, il surplus commerciale complessivo della Cina non è attualmente un problema importante, né per gli Stati Uniti né per il mondo nel suo complesso.
Uso il termine “attualmente” non a caso. C’è stato un tempo, non molto lontano, nel quale gli Stati Uniti avevano una elevata disoccupazione e la Cina, mantenendo la sua moneta sottovalutata e gestendo grandi surplus commerciali, rendeva quel problema della disoccupazione ancora peggiore. A quel tempo io mi pronunciai perché gli Stati Uniti facessero un gioco duro su tale questione.
Ma questo accadeva ieri. I surplus commerciali cinesi sono scesi; nel frattempo la disoccupazione negli Stati Uniti non è più così alta. Trump può pensare che il nostro deficit commerciale con la Cina significhi che essa sta vincendo e noi stiamo perdendo, ma non è proprio così. Il commercio cinese – all’opposto di altre forme di mala condotta cinese – è il tema sbagliato da agitare nel mondo del 2018.
E qua è il punto: andando a cacciarsi in una guerra commerciale, Trump mette a repentaglio la nostra capacità di avere qualche avanzamento sui problemi reali. Se si vuole spingere la Cina al rispetto della proprietà intellettuale, è necessario mettere assieme una coalizione di nazioni danneggiate dagli imbrogli cinesi – ovvero altri paesi avanzati, come il Giappone, la Corea del Sud e le nazioni europee. Tuttavia, Trump si sta inimicando in modo sistematico quei paesi, con cose come il tira-e-molla sulle tariffe dell’acciaio e con la sua minaccia di imporre tariffe su prodotti che, se sono assemblati in Cina, sono fondamentalmente prodotti altrove.
Alla fin fine, la politica commerciale di Trump si sta rapidamente trasformando in una lezione pratica su come ripaga l’ignoranza. Rifiutando di fare i suoi compiti, la squadra di Trump sta ottenendo di perdere amici mentre non riesce ad influenzare le persone.
La verità è che le guerre commerciali sono negative e quasi tutti finiscono col rimetterci dal punto di vista economico. Se qualcuno “vince”, saranno le nazioni che acquisiscono influenza geopolitica, in quanto l’America sta sperperando la sua reputazione. E questo significa che se qualcuno emergerà come trionfatore dalla guerra commerciale di Trump, quel qualcuno sarà … la Cina.
By mm
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