Paul Krugman MARCH 19, 2018
Almost four decades have passed since Daniel Patrick Moynihan famously declared, “Of a sudden, the G.O.P. has become a party of ideas.” And his statement still holds true, with one modification: These days, Republicans are a party of zombie ideas — ideas that should have died long ago, yet still keep shambling along, eating politicians’ brains.
The most important of these zombies is the “supply side” insistence that cutting taxes on the rich reliably produces economic miracles, and conversely that raising taxes on the rich is a recipe for disaster. Faith in this doctrine survived the boom that followed Bill Clinton’s tax hikes, the lackluster recovery and eventual catastrophe that followed George W. Bush’s tax cuts, the debacle in Kansas, and more.
And Donald Trump’s selection of Larry Kudlow to head the National Economic Council confirms that the tax-cut zombie is undead and well. For Kudlow is a fervent believer in the infinite virtues of tax cuts, despite a track record of predictions based on that belief that, as New York magazine’s Jonathan Chait once wrote, “has elevated flamboyant wrongness to a form of performance art.”
Yet there is more to economic policy than taxes; Trump himself, while willing to sign whatever tax cuts Congress sends him, seems far more interested in international policy, in particular the supposed evils of trade deficits. And that’s where things get interesting.
You see, now that “globalists” like Gary Cohn have left, all the people advising Trump on international economics are, like those advising him on everything else, in thrall to zombie ideas. But there’s more than one kind of zombie. In fact, there are in effect two factions — equally wrong, but wrong in different, almost opposite ways.
You might say that when it comes to international trade, Trumpworld is heading for a kind of zombie civil war.
On one side, we have the neo-mercantilists — people like Peter Navarro, Trump’s trade czar — who see world trade as a tale of winners and losers: Countries with trade surpluses win; those with trade deficits lose.
Both logic and history say that this view is nonsense: Trade surpluses are often a sign of weakness, trade deficits sometimes a sign of strength (as a matter of arithmetic, a country that attracts more inward investment from foreigners than it invests abroad must run a trade deficit). And the neo-mercantilists have a habit of making crude errors, like misunderstanding how value-added taxes work.
Still, they have Trump’s ear, because the rocks in their heads fit the holes in his: They’re telling him what he wants to hear, because their errors play to his gut instincts, and when it comes to policy, he don’t need no education.
Yet they’re not the only faction talking dangerous nonsense on international economics. The Trump administration has also become home to what we might call neo-goldbugs: people who think that a nation’s strength can be measured by the strength of its currency, and refuse to see any downside in a strong dollar, never see any reason a weaker dollar might be needed.
Like neo-mercantilism, or for that matter supply-side economics, this view has been debunked many times — I wrote about it in 1987! — yet keeps shambling along, because it appeals to the prejudices of wealthy and powerful people.
Until now, the most visible neo-goldbug in the administration has been David Malpass, the under secretary of Treasury for international affairs — normally a position of great policy influence, although under Trump, who knows? Malpass is the former chief economist of Bear Stearns, and a man with a Kudlow-like record of being wrong about everything. In particular, however, back in 2011 Malpass published an op-ed article declaring that what America needed to fix its economic ills was a stronger dollar (and higher interest rates).
It was a bizarre claim. After all, at the time the unemployment rate was still 9 percent — and a stronger dollar would have made things even worse. Why? Because it would have made U.S. products less competitive, increasing the trade deficit — and a situation of persistently high unemployment is the one situation in which trade deficits really are an unambiguously bad thing, reducing the demand for domestic goods and services.
But here’s the thing: Kudlow appears to share Malpass’s worldview. In fact, his first newsworthy statement after Trump announced his selection was a call for a higher dollar — something that would worsen the very trade deficit Trump sees as a sign of American weakness.
Why has Trump hired people with such conflicting notions about international economic policy? The answer, presumably, is that he doesn’t understand the issues well enough to realize that the conflict exists. And what both sides in this dispute share is a general propensity for invincible ignorance, which makes them Trump’s kind of people.
Anyway, on international economics the Trump administration is now on track for a battle of the zombies — a fight between two sets of bad ideas that refuse to die. Pass the popcorn.
Trump, il commercio e gli zombi, di Paul Krugman
New York Times 19 marzo 2018
Come è noto, sono passati quasi quattro decenni da quando Patrick Moynihan [1] dichiarò: “All’improvviso, il Partito Repubblicano è diventato un partito di idee”. E questa affermazione è ancora vera, con una modifica: di questi tempi, i repubblicani sono un partito di idee zombi – idee che dovrebbero essere morte molto tempo fa e che tuttavia sono ancora in circolazione, e si mangiano i cervelli degli uomini politici.
La più importante di queste idee zombi è l’insistenza, nella loro economia “dal lato dell’offerta”, che tagliare le tasse sui ricchi produca di sicuro miracoli economici, e che all’opposto elevare le tasse sui ricchi sia una ricetta per un disastro. La fede in questa dottrina è sopravvissuta al boom che fece seguito agli innalzamenti delle tasse di Bill Clinton, alla scialba ripresa e, alla fine, alla catastrofe che fece seguito ai tagli delle tasse di George W. Bush, al disastro del Kansas e ad altro ancora.
E la scelta da parte di Donald Trump di Larry Kudlow alla guida del Consiglio Nazionale dell’Economia, conferma che l’idea zombi sui tagli fiscali è un morto vivente in ottima conservazione. Perché Kudlow è un fervente credente nelle virtù infinite dei tagli fiscali, nonostante un elenco impressionante di previsioni basate su quel convincimento che, come si espresse una volta Jonathan Chait su una rivista di New York, “ha elevato un patente errore a una forma di evento artistico”.
Tuttavia, la cosa riguarda più la politica economica che non le tasse; Trump stesso, pur desiderando mettere il suo visto a qualsiasi sgravio fiscale il Congresso gli avesse spedito, sembra assai più interessato alla politica internazionale, in particolare ai presunti guai dei deficit commerciali. Ed è lì che le cose si fanno interessanti.
Come potete rendervi conto, adesso che un “globalista” come Gary Cohn ha lasciato la presa, tutte le persone che consigliano Trump sull’economia internazionale sono, come chiunque le consiglia su tutto il resto, alla mercé di idee zombi. Ma esistono vari generi di idee zombi. Di fatto, ci sono in sostanza due fazioni – entrambe erronee, ma sbagliate in modi diversi e quasi opposti.
Potreste osservare che, quando si passa al commercio internazionale, il mondo di Trump prende la forma di una sorta di guerra civile zombi.
Da una parte abbiamo i neomercantilisti – individui come Peter Navarro, lo zar della politica commerciale di Trump – che considera il commercio mondiale come un racconto di vincitori e di perdenti: i paesi con surplus commerciali che vincono; quelli con deficit commerciali che perdono.
Ma la logica e la storia ci dicono che questo punto di vista è un nonsenso: gli avanzi commerciali sono spesso un segno di debolezza, i deficit commerciali sono talvolta un segno di forza (per una ragione di aritmetica, un paese che attrae più investimenti interni da parte di stranieri di quanto investe all’estero, deve gestire un deficit commerciale). E i neomercantilisti hanno una predisposizione a fare errori clamorosi, come il non comprendere come funzionano le tasse sul valore aggiunto.
Eppure Trump li ascolta, perché le pietre che quelli hanno in testa vanno a pennello con i buchi che egli ha nella sua: gli stanno raccontando quello che vuole sentirsi dire, giacché i loro errori calzano con i suoi istinti viscerali, e quando si passa alla politica, lui non ha bisogno di alcuna istruzione.
Tuttavia, non c’è la sola fazione che parla di cose insensate sull’economia internazionale. La Amministrazione Trump è anche diventata il rifugio per coloro che potremmo definire i moderni fanatici dell’oro [2]: persone che pensano che la forza di una nazione possa essere misurata dalla forza della sua valuta e rifiutano di vedere qualsiasi svantaggio in un dollaro forte, né vedono mai una ragione per la quale possa essere necessario un dollaro più debole.
Come il neomercantilismo, come del resto per l’economia dal lato dell’offerta, questo punto di vista è stato demistificato molte volte – io scrissi su di esso nel 1987! – tuttavia è ancora in circolazione, dato che fa appello ai pregiudizi delle persone ricche e potenti.
Sino ad ora, il più visibile fanatico dell’oro nella Amministrazione era stato David Malpass, il Sottosegretario al Tesoro per gli Affari Internazionali – normalmente una posizione di grande influenza politica, per quanto, sotto Trump, chi lo può dire? Malpass è il passato capoeconomista della Bart Stearns, un individuo che vanta un record alla Kudlow, nell’aver sbagliato quasi su tutto. In particolare, tuttavia, nel passato 2011 Malpass pubblicò un articolo nella pagina dei commenti dichiarando che quello di cui l’America aveva bisogno per riparare i suoi malanni economici era un dollaro più forte (e più alti tassi di interesse).
Era una pretesa bizzarra. Dopo tutto, a quel tempo il tasso di disoccupazione era ancora al 9 per cento – e un dollaro più forte avrebbe reso le cose persino peggiori. Perché? Perché avrebbe reso i prodotti statunitensi meno competitivi, aumentando il deficit commerciale – e una situazione di prolungata alta disoccupazione è l’unica situazione nella quale i deficit sono realmente e senza nessun dubbio cose negative, riducendo la domanda per i beni ed i servizi nazionali.
Ma qua è il punto: Kudlow sembra condividere la visione del mondo di Malpass. Di fatto, la sua prima dichiarazione di un qualche interesse dopo che Trump ha annunciato la sua scelta è stata una richiesta di un dollaro più alto – qualcosa che peggiorerebbe proprio il deficit commerciale che Trump considera come un segno della debolezza americana.
Perché Trump ha assunto individui con tali confliggenti concetti sulla politica economica internazionale? Suppongo che la risposta sia che egli non capisce i temi a sufficienza da comprendere che esista un conflitto. E quello che entrambi gli schieramenti in questa disputa condividono è una tendenza generale ad una ignoranza invincibile, il che li rende il genere di persone adatte a Trump.
In ogni modo, l’Amministrazione Trump si trova adesso, sulla economia internazionale, in prossimità di una battaglia degli zombi – uno scontro tra due complessi di pessime idee che rifiutano di soccombere. Passatemi il popcorn.
[1] Uomo politico del Partito Democratico americano, Senatore, sociologo e diplomatico. Fu anche consigliere del Presidente Nixon.
[2] “Goldbuggism” è intraducibile, deriva da “gold bug” che significa “scarabeo d’oro”, ed era effettivamente una immagine coniata su una moneta aurea (all’origine del termine, e probabilmente del conio, era un omonimo racconto di Allan Edgar Poe, nel quale uno scarabeo di colore aureo conservava il misterioso segreto nientemeno del tesoro di “Capitan Kidd”).
“Goldbugs” vennero chiamati quei Democratici che uscirono dal Partito Democratico nel 1896, nel mezzo di un gran dibattito sulla politica monetaria, in polemica con il leader democratico William Jennings Bryan. Bryan e la maggioranza del Partito Democratico sostenevano una politica economica basata sul conio illimitato dell’argento, su bassi tassi di interesse, sulla proprietà statale delle grandi infrastrutture di trasporto, sulle riforme del lavoro e su un inizio di tassazione progressiva. In sostanza, una piattaforma di espansione monetaria e di riforme sociali, nell’interesse di un blocco sociale ‘popolare’, di lavoratori e di coltivatori del Sud, in opposizione alla egemonia capitalistica e finanziaria dell’Est. Questa posizione di Bryan gli valse il sostegno del Partito Populista (“National People’s Party”), che su quei temi sociali e monetaristi era nato, e che fu per una ventina d’anni l’unico effettivo esempio di “terzo Partito” nella storia politica americana.
Di contro, i “goldbugs” erano i sostenitori della parità aurea, accusavano gli avversari di radicalismo spregiudicato e, dopo la separazione, fondarono un loro Partito, il “National Democratic Party”, che non ebbe lunga storia. Come si nota, questo contrasto tra una piattaforma populista e in termini economici “sperimentale” ed una piattaforma ispirata alla “ortodossia capitalista”, prefigurava aspetti della storia politica americana che tornarono ad essere rilevanti negli anni Trenta, col New Deal.
Rimase famosa una frase di Bryan, nel corso della Convenzione democratica, quando in polemica con i “goldbugs” disse che non si poteva “crocifiggere il genere umano ad una croce aurea”.
By mm
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