aprile 2018 Archive

Letture del fascismo, di Marco Marcucci (aprile 2018)

zz 529Gli storici più recenti del fascismo – ultimo ventennio o decennio - non hanno aggiunto poco a quello che si sapeva, anche se le loro letture del fascismo non sembra abbiano interessato granché i media e la politica. Mi riferisco, ad esempio, ai contributi illuminanti di Emilio Gentile e Salvatore Lupo – “E fu subito regime. Il fascismo e la marcia su Roma”, di Emilio Gentile, Laterza 2012; “Il fascismo”, di Salvatore Lupo, Feltrinelli 2000. Perché dico che non hanno interessato granché i media e la politica? Perché l’idea del fascismo che si continua di frequente a trasmettere è in fondo quella di un fenomeno che lacerò le coscienze degli italiani, dove il fascismo e l’antifascismo costituiscono una sorta di coppia inestricabile, da una parte proiettando all’indietro, sull’intero ventennio, quello che fu l’esito di guerra civile di quella storia, dall’altra rendendo insufficientemente visibili i caratteri autonomi del fascismo stesso. Questa sorta di ‘strabismo storiografico’ può giustificare atteggiamenti opposti: retrodata una resistenza che in fin dei conti per molti anni ci fu ma non ebbe un peso sostanziale, essendo stata l’opposizione liquidata sin dai primi anni, prima della Marcia su Roma e ben prima della cosiddetta svolta mussoliniana del 1925; oppure allude ad una serie di scelte infelici, e magari quasi obbligate, riducendo la storia del fascismo ad una sequenza di sfortune (ovvero, non erano mancate le “cose buone”!). Nel primo caso, restano in ombra le ragioni della sconfitta della democrazia, che dipese in buona misura dal successo militare del fascismo, ovvero da un ‘combattentismo’ che modificò alla radice la cultura politica; nel secondo restano completamente in ombra le ragioni della conseguenzialità delle scelte successive del regime fascista, anzitutto l’alleanza con il nazismo e la guerra. (continua)

La guerra di Trump sui poveri, di Paul Krugman (New York Times 26 aprile 2018)

La domanda alla quale si deve rispondere non è se sia in atto una guerra di Trump e dei repubblicani ai poveri, dato che è evidente che di questo si tratta, ma per quale ragione si è fatta questa scelta. Di certo non è dipeso dai timori sul deficit del bilancio, visto che quel deficit è stato fatto scoppiare con i tagli alle tasse dei più ricchi. Neanche è ragionevole supporre una qualche strategia economica; gran parte dei programmi sociali che sono sotto attacco si ripagano da soli, soprattutto perché sono la condizione per avere bambini in migliore salute e, domani, adulti in migliore salute. Dunque, si tratta semplicemente di non avere alcuna empatia verso i poveri. O, per dirla diversamente, l'antipatia verso i poveri è un tratto distintivo dei conservatori.

Non ci serve fare a meno dell’istruzione, di Paul Krugman (New York Times 23 aprile 2018)

Molti Stati americani governati dalla destra si trovano a pagare i prezzi delle loro politiche locali dei tagli alle tasse. I tagli alle tasse non producono alcun miracolo, semplicemente fanno crollare le entrate e provocano disastri nei conti pubblici. Ma mentre al livello federale Trump può, per un po', infischiarsene delle conseguenze, la legge prevede per gli Stati i conti in pareggio. Così si devono tagliare le spese, e una buona parte delle spese vanno al pagamento degli stipendi degli insegnanti del settore pubblico. Che negli ultimi anni sono diminuiti in media del 23 per cento, rispetto agli altri laureati. Ora si sta raggiungendo il punto limite e vari repubblicani, come il Governatore del Kentucky Bevin, reagiscono con invettive contro gli insegnanti, che non a caso sono in lotta in molti Stati.

Tariffe sull’acciaio e salari (penosamente per esperti). (Dal blog di Paul Krugman, 22 aprile 2018)

[1] La frase fu detta da Dick Cheney a proposito della guerra in Iraq ed è dunque considerata un sinonimo di un abbaglio clamoroso. [2] ...

Il grande crollo della pozione miracolosa, di Paul Krugman (New York Times 19 aprile 2018)

Anche se il taglio delle tasse di Trump assomiglia in tutto a precedenti esperienze repubblicane (il taglio alle tasse di Bush nel 2001, che qualche vantaggio recò al Partito Repubblicano), pare che stavolta la reazione degli americani sia diversa. Un numero crescente di americani si rende conto della enorme sproporzione a vantaggio dei più ricchi, ed anche comincia a comprendere la connessione che c'è tra il taglio alle tasse e il conseguente aumento del deficit, e i nuovi assalti da parte dei repubblicani ai programmi sociali. Perché questa volta c'è maggiore consapevolezza? Una analisi delle differenze tra le due situazioni; differenze economiche ed anche differenze psicologiche, dato che lo stile di Trump comincia ad essere vissuto con sospetto dagli americani.

(Se) non m’inganno : gli elettori e i tagli alle tasse, di Paul Krugman (dal blog di Krugman, 18 aprile 2018)

[1] Ho trovato su un curioso blog (“Sentence first. Un blog di un irlandese sul linguaggio inglese”) una dotta spiegazione sulla espressione “I amn’t” – ...

Perché la Russia è politicamente e militarmente forte, ma economicamente è un nano, di Paul De Grauwe (da Social Europe, 17 aprile 2018)

Crisi: risciacquo e ripetere l’operazione, di J. Bradford DeLong (da Project Syndicate, 4 aprile 2018)

La terra, il vento e i bugiardi, di Paul Krugman (New York Times 16 aprile 2018)

Recenti resoconti sullo stato dell'energia eolica hanno mostrato grandi prossimi sviluppi e, in generale, le energie rinnovabili sono ormai più convenienti di quelle derivanti dai combustibili fossili. Ad oggi il problema principale non è nella tecnologia, ma nella politica. E' improbabile che Trump e compagni pensino di bloccare la storia, ma come minimo pensano di ritardarne gli effetti, ovvero di difendere i massimi profitti ancora possibili nelle industrie della dipendenza dal carbone.

La storia di Paul Ryan: dagli imbrogli al fascismo, di Paul Krugman (New York Times 12 aprile 2018)

Dunque, Paul Ryan se ne va, abbandona la politica, non è in lizza per la prossima Presidenza della Camera dei Rappresentanti del Congresso americano. Krugman ha scritto molto in questi anni su Ryan, sin da quando lo definì "flim-flam man", l'uomo degli imbrogli. Gli imbrogli, allora, consistevano in proposte di bilancio che, nella veste di Presidente di minoranza della apposita Commissione, egli avanzava. I conti non tornavano mai, grandi sgravi fiscali sui più ricchi compensati da soluzioni misteriose. Poi, con Trump, non ha mai detto una parola sui casi di corruzione e sul disprezzo trumpiano per lo Stato di diritto. In pratica, non si è mai distinto in una deriva che - credo per la prima volta - Krugman definisce 'fascista'.

La bomba a orologeria siriana, di Joschka Fischer (da Project Syndicate, 22 febbraio 2018)

Il ‘genio molto stabile’ della riforma sanitaria di Obama, di Paul Krugman (New York Times 9 aprile 2018)

Le complicate ragioni, spiegate in modo esauriente, per le quali la riforma sanitaria di Obama non è stata liquidata dai repubblicani e resta un tema di prima grandezza nelle future elezioni di medio termine americane, con le quali si deciderà quale partito avrà il controllo dei due rami del Congresso. In sostanza: i repubblicani non sono riusciti ad abrogare la riforma, stanno tentando in tutti i modi di sabotarla, ma ci sono alcune 'astuzie' nella riforma che sinora le hanno consentito di continuare a funzionare. (per i lettori che intendono far questa full-immersion nei temi della sanità statunitense, mi permetto di sottolineare che una lettura delle note della traduzione a fondo pagina può essere utile)

Una guerra commerciale aumenterebbe le tariffe medie di 32 punti percentuali. Di Alessandro Nicita, Marcelo Olarraga, Peri da Silva (da VOX EU, 5 aprile 2018)

[1] Mi pare che, osservando la Figura 1, l’incremento medio per gli Stati Uniti dovrebbe essere tra i 20 ed i 30 punti percentuali, mentre ...

La confusione di Trump sul commercio, di Joseph E. Stiglitz (da Project Syndicate, 5 aprile 2018)

La malinconia del dollaro, di Barry Eichengreen (da Project Syndicate, 14 marzo 2018)

[1] Credo che esistano due diversi indici del tasso di cambio, il “narrow”, che è misurato a confronto con un ristretto numero di partner commerciali, ...

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