April 19, 2018
By Paul Krugman
Stop me if you’ve heard this before. A G.O.P. presidential candidate loses the popular vote, but somehow ends up in the White House anyway. Despite his dubious legitimacy, his allies in Congress take advantage of his election to ram through a huge tax cut that blows up the budget deficit while disproportionately benefiting the wealthy. While the big bucks go to the big incomes, however, the tax bill does throw some crumbs at the middle class, and Republicans try to sell the bill as a boon to working families.
So far this account applies equally to George W. Bush and Donald Trump. But then the story takes a turn. The Bush sales job was effective: While the 2001 tax cut wasn’t overwhelmingly popular, more people approved than disapproved, and it provided the G.O.P. with at least a modest political boost. But the Trump tax cut was unpopular from the start — in fact, less popular than past tax hikes.
And this tax cut doesn’t seem to be winning more support over time. Most Americans say they don’t see any positive effect on their paychecks. Public approval of the tax cut seems, if anything, to be falling rather than rising. And Republicans have pretty much stopped even mentioning the bill on the campaign trail.
Which raises the question: Why doesn’t snake oil sell like it used to?
In the past, deficit hypocrisy was an important weapon in the G.O.P. political arsenal. Both parties talked about fiscal responsibility, but only Democrats practiced it, actually paying for policy initiatives like Obamacare. Yet Democrats were punished for doing the right thing — remember “they’re taking $500 billion from Medicare”? — while Republicans seemingly paid no price for their cynicism. Voters focused on the extra money in their pockets, ignoring the long-run consequences of big tax cuts for the rich.
So why is this time different?
I don’t think it’s the specifics of tax policy. Bush and Trump both pushed through big tax cuts for the rich with what amounted to loss-leader cuts for some middle-class families. If you look at estimates of the distribution of their tax cuts by family income, Bush and Trump’s look fairly similar.
The political background is, however, quite different. For one thing, in 2000 the U.S. had a budget surplus, and debt had been falling relative to G.D.P., making concerns about long-run fiscal impacts seem remote. In fact, Alan Greenspan infamously argued that a tax cut was needed to keep America from paying off its debt too fast.
By contrast, the U.S. ran large deficits in the aftermath of the financial crisis, and the people who yelled loudest about an imminent debt crisis were the same people who pushed through a $1.5 trillion tax cut. And at least some voters seem to have noticed, and even made the connection between tax cuts and Republican attempts to undermine Medicare and Medicaid.
There are also, I suspect, a couple of Trump-specific issues involved.
Bush, you may remember, ran on his tax cuts from the beginning. Trump, on the other hand, pretended to be a populist — he even claimed that he would raise taxes on the rich — and waited until taking office to reveal himself as just another reverse-Robin Hood Republican. This has to be creating some credibility problems.
Also, while the Bush administration was systematically deceptive in the way it made its case for tax cuts (and the Iraq war, and environmental policy, and. …), its deceptions generally involved selective and misleading presentations of the facts rather than flat-out lies. Trump and his officials can’t be bothered with such subtlety; they just lie, blatantly, about everything. Again, some voters seem to have noticed.
One thing in particular I suspect is registering with voters at some level, even if they don’t know much about the specifics, is the ludicrous optimism of Trump economic promises. Republican claims about the benefits of tax cuts aren’t just out of line with independent estimates; they’re so far out of the ballpark as to be in a different universe.
Anyway, the bottom line is that tax cuts just don’t sell like they used to. Which leaves you wondering what, exactly, Republicans have left to run on.
True, tax cuts probably had less to do with past G.O.P. successes than many party activists seem to imagine. Other factors were often much more important. But those other factors also aren’t what they used to be.
I mean, claims to be the defenders of family values have lost their punch partly because the public has become far more socially tolerant — Americans now support same-sex marriage by a two-to-one majority! — and partly because the current resident of the White House may be the worst family man in America. Flag-waving claims to be more patriotic than Democrats worked well for Reagan and Bush, but are much more problematic for a G.O.P. that looks more and more like the party of Putin.
Still, Republicans needn’t despair. After all, they’ll always have racism to fall back on. And with the tax cut fizzling, I predict that we’ll be seeing a lot of implicit — even explicit — appeals to racism in the months ahead.
Il grande crollo della pozione miracolosa, di Paul Krugman
New York Times 19 aprile 2018
Fermatemi se l’avete sentito già dire. Un candidato del Partito Repubblicano alla Presidenza perde al voto popolare [1], ma in qualche modo finisce comunque alla Casa Bianca. Nonostante la sua dubbia legittimazione, la sua base nel Congresso approfitta della sua elezione per imporre un ampio taglio alle tasse che fa scoppiare il deficit di bilancio e premia in modo sproporzionato i ricchi. Tuttavia, mentre un mucchio di soldi va ai redditi più alti, la legge sulle tasse butta qualche briciola sulla classe media, e i repubblicani cercano di rivendere la legge come una manna per le famiglie di chi lavora.
Sin qua, questo racconto si applicherebbe nello stesso modo a George Bush e a Donald Trump. L’operazione delle svendite di Bush fu efficace: se il taglio alle tasse del 2001 non ebbe un consenso schiacciante, furono più numerosi coloro che lo approvarono rispetto ai contrari, e fornì al Partito Repubblicano almeno un modesto incoraggiamento politico. Ma il taglio alle tasse di Trump è stato impopolare sin dall’inizio – di fatto, meno popolare che gli aumenti delle tasse del passato.
E questo taglio alle tasse non sembra stia ottenendo maggiori consensi nel corso del tempo. La maggioranza degli americani dice di non vedere alcun effetto positivo sulle proprie buste paga. L’approvazione del taglio alle tasse sembra, semmai, essere in calo anziché in crescita. E i repubblicani hanno praticamente smesso persino di riferirsi alla legge, nella propaganda elettorale.
La qual cosa solleva una domanda: perché non si riesce a rivendere la ‘pozione magica’ [2] come si era soliti fare?
Nel passato, l’ipocrisia sul deficit era un’arma potente nell’arsenale politico del Partito Repubblicano. Entrambi i partiti parlavano di responsabilità nella spesa pubblica, ma solo i democratici la praticavano, effettivamente pagando un prezzo per iniziative come la riforma sanitaria di Obama. Tuttavia, nel fare la cosa giusta i democratici pagarono un prezzo – vi ricordate la parola d’ordine “stanno levando 500 miliardi di dollari da Medicare”? – mentre i repubblicani in apparenza non pagavano alcun prezzo per il loro cinismo. Gli elettori si concentravano sui soldi in più che finivano nelle loro tasche, ignorando le conseguenze di lungo periodo dei grandi sgravi fiscali sui ricchi.
Perché, dunque, questa volta è diverso?
Non penso che si tratti degli aspetti specifici della politica fiscale. Sia Bush che Trump hanno fatto approvare grandi sgravi fiscali per i ricchi assieme a tagli propagandistici per alcune famiglie della classe media. Se osservate le stime sulla distribuzione dei loro tagli alle tasse sulla base dei redditi delle famiglie, quei tagli di Bush e Trump appaiono piuttosto simili.
Il contesto politico, tuttavia, è assai diverso. Da una parte, nel 2000 gli Stati Uniti avevano un avanzo di bilancio e in relazione al PIL il debito stava calando, facendo apparire remote le preoccupazioni sull’impatto di lungo periodo sulla finanza pubblica. Di fatto, Alan Greenspan sostenne la tesi famigerata che un taglio fiscale era necessario per evitare che l’America pagasse il suo debito troppo rapidamente.
All’opposto, gli Stati Uniti gestivano ampi deficit all’indomani della crisi finanziaria, e le persone che gridavano ad alta voce su una imminente crisi del debito erano le stesse che avevano imposto un taglio fiscale di 1.500 miliardi di dollari. Almeno alcuni elettori sembra se ne siano accorti e che abbiano anche realizzato la connessione tra i tagli alle tasse e i tentativi dei repubblicani di minare Medicare e Medicaid.
Sospetto che ci siano anche un paio di questioni che riguardano in modo specifico Trump.
Bush, come ricordate, procedette con i suoi tagli fiscali sin dall’inizio. Trump, d’altra parte, pretendeva di essere un populista – sostenne persino che avrebbe aumentato le tasse sui ricchi – ed ha atteso di entrare in carica per mostrarsi semplicemente come un altro Robin Hood alla rovescia repubblicano. Questo deve aver creato qualche problema di credibilità.
Inoltre, se l’Amministrazione usò in modo sistematico l’inganno nel presentare il suo argomento per i tagli alle tasse (come per la guerra in Iraq, per la politica ambientale e per tutto il resto), i suoi raggiri in generale riguardavano una presentazione selettiva e fuorviante dei fatti, anziché bugie chiare e tonde. Trump e i suoi collaboratori non possono prendersi il disturbo di tali sottigliezze; semplicemente mentono, sfacciatamente, su ogni cosa. Anche qua, alcuni elettori sembrano essersene accorti.
Una cosa in particolare sospetto che gli elettori vengano realizzando in qualche modo, anche se non conoscono granché dei dettagli: il grottesco ottimismo delle promesse economiche di Trump. Le pretese dei repubblicani sui benefici dei tagli fiscali non sono soltanto in contrasto con le stime indipendenti; sono talmente distanti da ogni approssimazione da collocarsi su un altro pianeta.
In ogni modo, la morale della favola è che proprio non possono rivendere i tagli alle tasse come erano abituati a fare. Il che vi lascia con il dubbio di che cosa, esattamente, i repubblicani abbiano trascurato di mettere in atto.
È vero, i tagli alle tasse hanno meno a che fare con i trascorsi successi del Partito Repubblicano di quello che molti attivisti del partito si immaginano. Spesso sono stati molto più importanti altri fattori. Ma anche quegli altri fattori non sono quelli che erano un tempo.
Mi riferisco al fatto che le pretese di essere i difensori dei valori della famiglia hanno perso la loro forza in parte perché l’opinione pubblica è diventata assai più tollerante socialmente – gli americani oggi sostengono il matrimonio tra persone dello stesso sesso con una maggioranza di due ad uno! – e in parte perché l’attuale inquilino della Casa Bianca è forse il peggiore uomo di famiglia dell’America. Gli argomenti dello sventolare le bandiere per mostrarsi più patriottici dei democratici funzionarono bene per Reagan e Bush, ma oggi sono assai più problematici per un Partito Repubblicano che sembra sempre di più il partito di Putin.
Eppure, i repubblicani non hanno bisogno di disperarsi. Dopo tutto, possono sempre contare sul razzismo. E con il taglio alle tasse che perde colpi, prevedo che nei mesi a venire assisteremo a una gran quantità di appelli impliciti – e persino espliciti – al razzismo.
[1] Cioè, nel voto assoluto espresso da tutti gli elettori. Ma non nel voto finale di coloro che sono prescelti all’effettiva nomina del Presidente, che è una nomina di secondo livello.
[2] Letteralmente, “l’olio di serpente’.
By mm
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