By Paul Krugman
If you had to identify a place and time where the humanitarian dream — the vision of a society offering decent lives to all its members — came closest to realization, that place and time would surely be Western Europe in the six decades after World War II. It was one of history’s miracles: a continent ravaged by dictatorship, genocide and war transformed itself into a model of democracy and broadly shared prosperity.
Indeed, by the early years of this century Europeans were in many ways better off than Americans. Unlike us, they had guaranteed health care, which went along with higher life expectancy; they had much lower rates of poverty; they were actually more likely than we were to be gainfully employed during their prime working years.
But now Europe is in big trouble. So, of course, are we. In particular, while democracy is under siege on both sides of the Atlantic, the collapse of freedom, if it comes, will probably happen here first. But it’s worth taking a break from our own Trumpian nightmare to look at Europe’s woes, some but not all of which parallel ours.
Many of Europe’s problems come from the disastrous decision, a generation ago, to adopt a single currency. The creation of the euro led to a temporary wave of euphoria, with vast amounts of money flowing into nations like Spain and Greece; then the bubble burst. And while countries like Iceland that retained their own money were able to quickly regain competitiveness by devaluing their currencies, eurozone nations were forced into a protracted depression, with extremely high unemployment, as they struggled to get their costs down.
This depression was made worse by an elite consensus, in the teeth of the evidence, that the root of Europe’s troubles was not misaligned costs but fiscal profligacy, and that the solution was draconian austerity that made the depression even worse.
Some of the victims of the euro crisis, like Spain, have finally managed to claw their way back to competitiveness. Others, however, haven’t. Greece remains a disaster area — and Italy, one of the three big economies remaining in the European Union, has now suffered two lost decades: G.D.P. per capita is no higher now than it was in 2000.
So it isn’t really surprising that when Italy held elections in March, the big winners were anti-European Union parties — the populist Five Star Movement and the far-right League. In fact, the surprise is that it didn’t happen sooner.
Those parties are now set to form a government. While the policies of that government aren’t completely clear, they’ll surely involve a break with the rest of Europe on multiple fronts: a reversal of fiscal austerity that may well end with exit from the euro, along with a crackdown on immigrants and refugees.
Nobody knows how this will end, but developments elsewhere in Europe offer some scary precedents. Hungary has effectively become a one-party autocracy, ruled by an ethnonationalist ideology. Poland seems well down the same path.
So what went wrong with the “European project” — the long march toward peace, democracy and prosperity, underpinned by ever-closer economic and political integration? As I said, the giant mistake of the euro played a big role. But Poland, which never joined the euro, sailed through the economic crisis pretty much unscathed; yet democracy there is collapsing all the same.
I would suggest, however, that there’s a deeper story here. There have always been dark forces in Europe (as there are here). When the Berlin Wall fell, a political scientist I know joked, “Now that Eastern Europe is free from the alien ideology of Communism, it can return to its true path: fascism.” We both knew he had a point.
What kept these dark forces in check was the prestige of a European elite committed to democratic values. But that prestige was squandered through mismanagement — and the damage was compounded by unwillingness to face up to what was happening. Hungary’s government has turned its back on everything Europe stands for — but it’s still getting large-scale aid from Brussels.
And here, it seems to me, is where we see parallels with developments in America.
True, we didn’t suffer a euro-style disaster. (Yes, we have a continentwide currency, but we have the federalized fiscal and banking institutions that make such a currency workable.) But the bad judgment of our “centrist” elites has rivaled that of their European counterparts. Remember that in 2010-11, with America still suffering from mass unemployment, most of the Very Serious People in Washington were obsessed with … entitlement reform.
Meanwhile our centrists, along with much of the news media, spent years in denial about the radicalization of the G.O.P., engaging in almost pathological false equivalence. And now America finds itself governed by a party with as little respect for democratic norms or rule of law as Hungary’s Fidesz.
The point is that what’s wrong with Europe is, in a deep sense, the same thing that’s wrong with America. And in both cases, the path to redemption will be very, very hard.
Che succede in Europa? di Paul Krugman
New York Times 21 maggio 2018
Se doveste individuare un posto e un’epoca dove il sogno umanitario – la visione di una società che offra esistenze decenti a tutti i suoi membri – giunse più vicino a realizzarsi, quel posto e quell’epoca sarebbero certamente l’Europa occidentale nei sei decenni successivi alla Seconda Guerra Mondiale. Fu uno dei miracoli della storia: un continente devastato dalle dittature, dal genocidio e dalla guerra che si trasformò in un modello di democrazia e di prosperità ampiamente condivisa.
In effetti, nei primi anni di questo secolo gli europei, in molti sensi, stavano meglio degli americani. Diversamente da noi, avevano l’assistenza sanitaria garantita, che si accompagnava ad una aspettativa di vita più alta; avevano tassi di povertà molto più bassi; avevano in realtà più probabilità di noi di essere proficuamente occupati durante i loro primi anni lavorativi.
Ma adesso l’Europa è in un gran guaio. Naturalmente, noi siamo nella stessa situazione. In particolare, se la democrazia è assediata su entrambe le sponde dell’Atlantico, il collasso della libertà, se ci sarà, avverrà anzitutto da noi. Ma è il caso di prenderci una pausa dal nostro incubo trumpiano per osservare i dispiaceri dell’Europa, alcuni dei quali, ma non tutti, paralleli ai nostri.
Molti dei problemi dell’Europa derivano dalla decisione disastrosa, presa una generazione fa, di adottare una valuta unica. La creazione dell’euro portò ad una ondata di euforia, con grandi quantitativi di denaro che scorrevano verso nazioni come la Spagna e la Grecia; poi la bolla scoppiò. E mentre paesi come l’Islanda, che avevano mantenuto la loro valuta, furono capaci di riacquistare rapidamente competitività svalutando le loro monete, le nazioni dell’eurozona vennero costrette ad una prolungata depressione, con una disoccupazione estremamente elevata, mentre si sforzavano di tener bassi i loro costi.
Questa depressione fu resa peggiore dalla unanimità delle classi dirigenti che, alla faccia di ogni evidenza, stabilirono che alla radice dei guai dell’Europa non ci fossero costi disallineati, ma sperperi di finanza pubblica, e che la soluzione fosse una austerità draconiana, che rese la depressione persino peggiore.
Alcune delle vittime della crisi dell’euro, come la Spagna, sono finalmente riuscite a recuperare competitività. Altri, tuttavia, non ce l’hanno fatta. La Grecia resta in condizioni disastrose – e l’Italia, una delle tre grandi economie che rimangono nell’Unione Europea, a questo punto è in sofferenza da due decenni: il PIL procapite oggi non è più alto di quanto fosse nel 2000.
Dunque, non è davvero sorprendente che quando l’Italia ha tenuto le elezioni nel marzo scorso, i grandi vincitori siano stati i partiti contrari all’Unione Europea – il movimento populista Cinque Stelle e la Lega dell’estrema destra. Di fatto, la sorpresa era che non fosse avvenuto in precedenza.
Quei partiti sono oggi impegnati a formare un Governo. Se le politiche di quel Governo non sono del tutto chiare, esse certamente riguardano una rottura su molteplici fronti con il resto dell’Europa: una inversione dell’austerità della finanza pubblica che può ben concludersi con un’uscita dall’euro, assieme ad un giro di vite sugli immigrati e sui rifugiati.
Nessuno sa come andrà a finire, ma gli sviluppi in ogni altro posto in Europa offrono precedenti allarmanti. L’Ungheria è effettivamente diventata una autocrazia di un partito unico, governata da un’ideologia di nazionalismo etnico. La Polonia sembra seguire lo stesso indirizzo.
Dunque dove è fallito il “progetto europeo” – la lunga marcia attraverso la pace, la democrazia e l’austerità, sorretta da una integrazione economica e politica sempre più stretta? Come ho detto, il gigantesco errore dell’euro ha giocato un ruolo decisivo. Ma la Polonia, che non ha mai aderito all’euro, ha manovrato nella crisi economica quasi senza danni; tuttavia la democrazia anche là è al collasso, in un modo del tutto simile.
Direi, tuttavia, che qua c’è una storia più profonda. Ci sono sempre state forze oscure in Europa (come del resto da noi). Quando crollò il Muro di Berlino, un politologo che conosco disse scherzando: “Ora che l’Europa dell’Est si è liberata dalla ideologia aliena del comunismo, può tornare su suo vecchio sentiero: il fascismo”). Sapevamo entrambi che c’era una parte di verità.
Quello che teneva sotto controllo queste forze oscure era il prestigio di una classe dirigente europea impegnata sui valori democratici. Ma quel prestigio venne sperperato con cattive gestioni – e il danno fu aggravato dalla indisponibilità a misurarsi con quello che stava accadendo. Il Governo ungherese ha voltato le spalle a tutto quello che l’Europa rappresenta – eppure sta ancora ricevendo un aiuto su larga scala da Bruxelles.
Ed è qua, mi pare, che constatiamo paralleli con gli sviluppi in America.
È vero, noi non sopportiamo un disastro sul modello europeo (sì, abbiamo una valuta di dimensioni continentali, ma abbiamo un sistema di finanza pubblica federalizzato e istituzioni bancarie che rendono tale valuta funzionante). Eppure il cattivo giudizio delle nostre elite “centriste” ha rivaleggiato con quello delle loro controparti europee. Si ricordi che nel 2010-11, con l’America che ancora era in sofferenza per una disoccupazione di massa, la maggioranza delle Persone Molto Serie a Washington era ossessionata con … la riforma del sistema dei diritti sociali.
Nel frattempo, i nostri centristi assieme ad una gran parte dei media dell’informazione, hanno speso anni negando la radicalizzazione del Partito Repubblicano, impegnandosi in modo quasi patologico con il falso argomento dell’equivalenza dei principali partiti. E adesso l’America si ritrova governata da un partito che ha un rispetto minimo delle regole democratiche o dello stato di diritto come il Fidezs ungherese.
Il punto è che quello che è sbagliato in Europa è lo stesso che è sbagliato in America. E in entrambi i casi, la strada per un ravvedimento sarà davvero molto difficile.
By mm
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