May 14, 2018
By Paul Krugman
Last week we learned that Novartis, the Swiss drug company, had paid Michael Cohen — Donald Trump’s personal lawyer — $1.2 million for what ended up being a single meeting. Then, on Friday, Trump announced a “plan” to reduce drug prices.
Why the scare quotes? Because the “plan” was mostly free of substance, controlled or otherwise. (O.K., there were a few ideas that experts found interesting, but they were fairly marginal.) During the 2016 campaign Trump promised to use the government’s power, including Medicare’s role in paying for prescription drugs, to bring drug prices down. But none of that was in his speech on Friday.
And if someone tries to convince you that Trump really is getting tough on drug companies, there’s a simple response: If he were, his speech wouldn’t have sent drug stocks soaring.
None of this should come as a surprise. At this point, “Trump Breaks Another of His Populist Promises” is very much a dog-bites-man headline. But there are two substantive questions here. First, should the U.S. government actually do what Trump said he would do, but didn’t? And if so, why haven’t we taken action on drug prices?
The answer to the first question is a definite yes. America pays far more for drugs than any other major nation, and there’s no good reason we should. Basically, when it comes to drugs, we’re Big Pharma’s sucker of last resort.
Bear in mind that the way the drug business works can’t and doesn’t bear any resemblance to the Econ 101, supply-and-demand stories beloved by free-market enthusiasts. What we have, instead, is a patent system in which the company that develops a drug is granted a temporary legal monopoly over sales of that drug. That system is O.K., or at least defensible, as a way to reward innovation; but nothing about the logic of the patent system says that patent owners should be free to exploit their monopolies to the max.
There is, in fact, a very strong case for government action to limit the prices drug companies can charge, just as there is a strong case for limiting monopoly power in general. And the fact that taxpayers pay a large share of drug costs both reinforces the case for limiting drug prices and gives the government a lot of leverage it could use to achieve that goal.
Of course, draconian controls on drug prices could discourage innovation. But that’s not what anyone is talking about, and the benefits of moderate action would almost surely exceed the costs, for a variety of reasons: Drug companies would make less per unit but sell more, they would spend less developing drugs that largely duplicate existing medication, and more. Oh, and America, with its unique unwillingness to bargain over drug prices, is basically subsidizing the rest of the world. Wasn’t Trump supposed to hate that sort of thing?
So why aren’t we doing something about drug prices?
It’s true that simply granting Medicare the right to negotiate prices wouldn’t do much by itself. We’d also have to give Medicare some bargaining power, probably including the right to refuse to cover drugs whose prices are exorbitant. And before you denounce this as “rationing,” remember that before 2003, Medicare didn’t pay for drugs at all.
Still, saying no might anger some Medicare recipients; polls show overwhelming public support (92 percent!) for allowing Medicare to negotiate lower prices, but that support might erode once people realized what effective negotiation requires.
But questions about the details aren’t what’s stopping action on drug prices, since we haven’t even gotten to the point of letting Medicare try to bring prices down. And the reason we haven’t gotten to that point is, sadly, both simple and crude: Pharma has bought itself enough politicians to block policies that might reduce its profits.
I’m not just talking about campaign contributions, either. I’m talking about the personal enrichment of politicians who serve pharma’s agenda.
After all, who put together the 2003 Medicare Modernization Act, which put taxpayers on the hook for seniors’ prescription drug costs but specifically prohibited Medicare from negotiating prices? The answer is that it was largely devised by then-Representative Billy Tauzin, Republican of Louisiana — who shortly thereafter left Congress to become the highly paid president of the Pharmaceutical Research and Manufacturers Association, the industry’s main lobbying group. If that sounds remarkably raw, that’s because it is.
And Trump, far from draining this swamp, invited it in to the executive branch. Tom Price, his first secretary of health and human services, was forced out because of his lavish travel spending — but his pharma-related conflicts of interest were actually a much bigger deal. And his successor, Alex Azar, is … a former drug company executive whose stated views on drug pricing are completely at odds with everything Trump said in the campaign.
The bottom line is that American exceptionalism has prevailed again: We’re still the only major nation that lets the drug companies charge whatever they like.
Dire solo dei sì alle società farmaceutiche, di Paul Krugman
New York Times 14 maggio 2018
La scorsa settimana abbiamo appreso che Novartis, la società farmaceutica svizzera, ha pagato 1.200 milioni di dollari a Michael Cohen – l’avvocato personale di Donald Trump – per quello che alla fine è stato un solo incontro. Poi, venerdì, Trump ha annunciato un “programma” per ridurre i prezzi dei farmaci.
Perché le virgolette di presa di distanza? Perché il “programma” era in gran parte privo di sostanza, prevedibile oppure di tutt’altro genere (è vero, c’erano poche idee che gli esperti hanno trovato originali, ma erano abbastanza marginali). Durante la campagna elettorale del 2016 Trump aveva promesso di utilizzare il potere di governo, incluso il ruolo di Medicare nei pagamenti per la prescrizione di farmaci, per abbassare i prezzi dei farmaci. Ma nel suo discorso di venerdì non c’era niente di tutto questo.
E se qualcuno cercasse di convincervi che Trump sta davvero diventando duro con le società farmaceutiche, c’è una risposta semplice: se fosse così, il suo discorso non avrebbe spedito alle stelle le azioni di quelle società.
Niente di questo dovrebbe apparire sorprendente. A questo punto, “Trump infrange un’altra delle sue promesse populiste” è più che altro un titolo del genere di quello del cane che morde un uomo. Ma in questo caso ci sono due domande sostanziali. La prima: il Governo degli Stati Uniti dovrebbe davvero fare quello che Trump ha detto che avrebbe fatto, ma che non ha fatto? E se fosse così, perché non abbiamo assunto alcuna iniziativa sui prezzi dei farmaci?
La risposta alla prima domanda è chiaramente positiva. L’America paga per i farmaci assai di più di ogni altra importante nazione, e non c’è alcuna buona ragione perché sia così. Fondamentalmente, quando si arriva ai farmaci, noi siamo i babbei dell’ultima spiaggia delle grandi società farmaceutiche.
Si tenga a mente che il modo in cui procedono gli affari dei farmaci non somiglia per niente a quello che è scritto nei libri di economia, ai racconti sull’offerta e sulla domanda adorati dagli entusiasti del libero mercato. Quello che abbiamo, invece, è un sistema di brevetti nel quale alle società che producono farmaci viene garantito un temporaneo monopolio legale sulle vendite dei farmaci relativi. Quel sistema è comprensibile, o è almeno difendibile, come un modo per premiare l’innovazione; ma niente della logica del sistema dei brevetti dice che i proprietari dei brevetti debbano essere liberi di sfruttare illimitatamente le loro posizioni di monopolio.
Di fatto, c’è un argomento molto forte per un’iniziativa del Governo che limiti i prezzi che le società farmaceutiche possono far pagare, come c’è un forte argomento per limitare in generale il potere di monopolio. E il fatto che i contribuenti paghino una larga quota dei costi dei fermaci rafforza la tesi della limitazione dei prezzi sui farmaci e fornisce al Governo un notevole rapporto di indebitamento che potrebbe utilizzare per realizzare quell’obbiettivo.
Naturalmente, controlli draconiani sui prezzi dei farmaci potrebbero scoraggiare l’innovazione. Ma non è di questo che stiamo parlando, ed i benefici di una iniziativa contenuta quasi sicuramente eccederebbero i costi, per varie ragioni: le società farmaceutiche realizzerebbero meno per unità di prodotto ma venderebbero di più, esse spenderebbero di meno per sviluppare farmaci che in gran parte duplicano i medicinali esistenti, e altro ancora. Inoltre, l’America con la sua indisponibilità senza confronti a contrattare i prezzi dei farmaci, sta fondamentalmente sussidiando il resto del mondo. Non si supponeva che Trump detestasse cose del genere?
Perché, dunque, non si sta facendo niente sui prezzi dei farmaci?
È vero che semplicemente garantire a Medicare il diritto di negoziare i prezzi, di per sé, non cambierebbe granché. Dovremmo anche dare a Medicare un qualche potere di contrattazione, probabilmente includendo il diritto di rifiutare la copertura a farmaci i cui prezzi siano esorbitanti. E prima di denunciare questa soluzione come un “razionamento”, si ricordi che prima del 2013 Medicare non pagava per niente i farmaci.
Eppure, dire dei no potrebbe innervosire alcuni destinatari di Medicare; i sondaggi mostrano uno schiacciante sostegno pubblico (92 per cento!) per consentire a Medicaid di negoziare prezzi più bassi, ma quel sostegno potrebbe ridursi una volta che le persone comprendano che cosa comporta una negoziazione efficace.
Ma non sono i problemi di dettaglio che stanno bloccando l’iniziativa, dal momento che non siamo neppure arrivati al punto di consentire che Medicare provi ad abbassare i prezzi. E la ragione per la quale non siamo arrivati a quel punto è, è triste dirlo, semplice e greve: l’industria farmaceutica si è comprata un numero sufficiente di uomini politici per bloccare politiche che potrebbero ridurre i suoi profitti.
Non sto neppure solo parlando di contributi elettorali. Sto parlando dell’arricchimento personale di politici che sono al servizio dell’agenda delle società farmaceutiche.
Dopo tutto, chi mise assieme la Legge di Modernizzazione di Medicare del 2003, che mise al torchio i contribuenti per i costi della prescrizione dei farmaci delle persone anziane ma proibì a Medicare di negoziare i prezzi? La risposta è che tutto ciò venne in buona parte ideato dall’allora congressista Billy Tauzin, repubblicano della Louisiana – che dopo breve tempo lasciò il Congresso per divenire profumatamente pagato come Presidente della Associazione della Ricerca e dei Produttori di Farmaci, il principale gruppo lobbistico del settore. Se vi sembrasse eccessivamente rozzo, è perché si tratta proprio di quello.
E Trump, lungi dal prosciugare questo acquitrino, lo ha inserito nel ramo dei dirigenti. Tom Price, il suo primo Segretario alla Salute e ai Servizi alla Persona, è stato costretto ad andarsene per le sue sontuose spese di viaggio – ma i suoi conflitti di interesse connessi con l’industria dei farmaci erano una faccenda assai più grossa. E il suo successore, Alex Azar, è … un passato amministratore di una società farmaceutica, che espresse punti di vista sulla fissazione dei prezzi dei farmaci che erano completamente agli antipodi di tutto quello che Trump veniva dicendo in quella campagna elettorale.
La morale della favola è che l’eccezionalismo americano ha prevalso nuovamente: siamo ancora l’unica nazione importante che permette alle società farmaceutiche di far pagare quello che vogliono.
By mm
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