By Paul Krugman
Remember “The Manchurian Candidate”? The 1959 novel, made into a classic 1962 film (never mind the remake), involved a plot to install a Communist agent as president of the United States. One major irony was that the politician in question was modeled on Senator Joe McCarthy — that is, he posed as a superpatriot even while planning to betray America.
It all feels horribly relevant these days. But don’t worry: This isn’t going to be another piece on Donald Trump’s collusion with Russia, which is being ably covered by other people. What I want to talk about instead are Trump’s actions on international trade — which are starting to have a remarkably similar feel.
On one side, the “Make America Great Again” president is pursuing protectionist policies, supposedly in the name of national security, that will alienate many of our democratic allies. On the other side, he seems weirdly determined to prevent action against genuine national security threats posed by foreign dictatorships — in this case China. What’s going on?
Some background: International trade is governed by a system of multinational agreements that countries are not supposed to break unilaterally. But when that system was created (under U.S. leadership) in 1947, its framers realized that it had to have a bit of flexibility, a few escape valves to let off political pressure. So nations were allowed to impose tariffs and other trade barriers under certain limited conditions, like sudden import surges.
Meanwhile, the U.S. created a domestic system of trade policy designed to be consistent with these international rules. Under that system, the White House can initiate investigations into possible adverse effects of imports and, if it chooses, impose tariffs or other measures on the basis of these investigations.
As I said, the conditions under which such actions are allowable are limited — with one big exception. Both the international rules and domestic law — Article XXI and Section 232, respectively — let the U.S. government do pretty much whatever it wants in the name of national security.
Historically, however, this national security exemption has been invoked very rarely, precisely because it’s so open-ended. If the U.S. or any other major player began promiscuously using dubious national security arguments to abrogate trade agreements, everyone else would follow suit, and the whole trading system would fall apart. That’s why there have been only a handful of Section 232 investigations over the past half century — and most of them ended with a presidential determination that no action was warranted.
But Trump is different. He has already imposed tariffs on steel and aluminum in the name of national security, and he is now threatening to do the same for autos.
The idea that imported cars pose a national security threat is absurd. We’re not about to refight World War II, converting auto plants over to the production of Sherman tanks. And almost all the cars we import come from U.S. allies. Clearly, Trump’s invocation of national security is a pretext, a way to bypass the rules that are supposed to limit arbitrary executive action.
And their economic side effects aside, the proposed auto tariffs would further undermine our allies’ rapidly eroding faith in U.S. trustworthiness.
Which is not to say that national security should never be a consideration in international trade. On the contrary, there’s a very clear-cut case right now: the Chinese company ZTE, which makes cheap phones and other electronic goods.
ZTE products include many U.S.-made high-technology components, some of which are prohibited from being exported to sanctioned regimes. But the company systematically violated these export rules, leading the Commerce Department to ban sales of those components to the company. And the Pentagon has banned sales of ZTE phones on U.S. military bases, warning that the phones could be used to conduct espionage.
Yet Trump is pulling out all the stops in an effort to reverse actions against ZTE, in defiance of lawmakers from both parties.
What’s behind his bizarre determination to help an obvious bad actor? Is it about personal gain? China approved a huge loan to a Trump-related project in Indonesia just before rushing to ZTE’s defense; at the same time, China granted valuable trademarks to Ivanka Trump. And don’t say that it’s ridiculous to suggest that Trump can be bribed; everything we know about him says that yes, he can.
And if we do have a president who’s bribable, that’s going to give dictators a leg up over democracies, which can’t do that sort of thing because they operate under the rule of law.
Of course, there might be other explanations. Maybe President Xi Jinping told Trump that he needed to abase himself on this issue to get a trade deal he can call a “win.” Somehow this doesn’t sound much better.
Whatever the true explanation, what we’re getting is Manchurian trade policy: a president using obviously fake national security arguments to hurt democratic allies, while ignoring very real national security concerns to help a hostile dictatorship.
La politica commerciale manciuriana di Trump, di Paul Krugman
New York Times 28 maggio 2018
Vi ricordate “Il candidato manciuriano”? Il romanzo del 1959, riadattato in un film classico del 1962 (il remake non è mai importante [1]), riguardava un complotto per collocare un agente comunista al posto di Presidente degli Stati Uniti. Particolarmente ironico era il fatto che l’uomo politico in questione veniva raffigurato nelle vesti del Senatore Joe McCarthy – ovvero, si atteggiava a super patriota anche mentre si proponeva di tradire l’America.
In giorni come questi, tutto ciò appare terribilmente rilevante. Ma non vi preoccupate: questo non vuole essere un ennesimo articolo sulle collusioni di Donald Trump con la Russia, tema che viene trattato con competenza da altre persone. Ciò di cui voglio parlare sono invece le iniziative di Trump sul commercio internazionale – che cominciano a produrre sensazioni considerevolmente somiglianti.
Da una parte, il Presidente del “Facciamo di nuovo grande l’America” sta perseguendo politiche protezionistiche, che si presumono nel nome della sicurezza nazionale, che ci allontaneranno da molti nostri alleati democratici. D’altra parte, egli sembra in modo bizzarro determinato ad escludere un’iniziativa contro effettive minacce alla sicurezza nazionale messe in atto da dittature straniere – in questo caso la Cina. Cosa sta accadendo?
Un po’ di contesto: il commercio internazionale è governato da un sistema di accordi multinazionali che non si suppone che i paesi possano violare in modo unilaterale. Ma quando quel sistema venne creato (sotto la guida degli Stati Uniti), i suoi estensori compresero che doveva avere un po’ di flessibilità, qualche valvola di sfogo per scaricare le pressioni politiche. Così alle nazioni venne consentito di imporre tariffe ed altre barriere commerciali a determinate condizioni, come la crescita improvvisa delle importazioni.
Nel frattempo gli Stati Uniti crearono un sistema interno di politiche commerciali concepito in coerenza con queste regole internazionali. Sotto quel sistema, la Casa Bianca può avviare indagini sui possibili effetti negativi delle importazioni e, se lo decide, allo scopo di imporre tariffe o altre misure sulla base di tali indagini.
Come ho detto, le condizioni per le quali tali iniziative sono consentite sono limitate – con una grande eccezione. Sia le regole internazionali che le leggi nazionali – rispettivamente, articolo XXI e Sezione 232 – consentono al Governo degli Stati Uniti di fare praticamente quello che vuole in nome della sicurezza nazionale.
Storicamente, tuttavia, questa esenzione per ragioni di sicurezza nazionale è stata invocata molto raramente, proprio perché è talmente indefinita. Se gli Stati Uniti o qualsiasi altro attore importante cominciassero in modo indiscriminato a utilizzare dubbi argomenti di sicurezza nazionale, tutti gli altri farebbero la stessa cosa e l’intero sistema commerciale cadrebbe a pezzi. È questa la ragione per la quale ci sono state solo una manciata di indagini della Sezione 232 nel mezzo secolo passato – e la maggioranza di esse si sono concluse con la decisione presidenziale secondo la quale non era giustificata alcuna iniziativa.
Ma con Trump è diverso. Egli ha già imposto tariffe sull’acciaio e sull’alluminio in nome della sicurezza nazionale, e ora sta minacciando di fare lo stesso per le automobili.
L’idea che le auto importate costituiscano una minaccia alla sicurezza nazionale è assurda. Non stiamo di nuovo combattendo la Seconda Guerra Mondiale, convertendo gli stabilimenti automobilistici nella produzione dei carri armati Sherman. E quasi tutte le automobili che importiamo vengono da alleati degli Stati Uniti. L’invocazione da parte di Trump della sicurezza nazionale è chiaramente un pretesto, un modo per aggirare le regole che si è pensato limitassero iniziative esecutive arbitrarie.
E, a parte i loro effetti economici collaterali, le proposte tariffe sulle auto metterebbero rapidamente a repentaglio la fiducia in rapida erosione dei nostri alleati sulla affidabilità degli Stati Uniti.
Il che non vuol dire che la sicurezza nazionale non dovrebbe mai essere considerata nel commercio internazionale. Al contrario, in questo momento c’è un esempio molto esplicito: la società cinese ZTE, che produce telefoni mobili ed altri prodotti elettronici economici.
I prodotti della ZTE includono molte componenti di alta tecnologia realizzate negli Stati Uniti, per alcune delle quali ci sono divieti di esportazione verso regimi oggetto di sanzioni. Ma la società ha violato in modo sistematico queste regole di esportazione, inducendo il Dipartimento del Commercio a mettere al bando la vendita di queste componenti alla società. E il Pentagono ha messo al bando la vendita dei telefoni della ZTE nelle basi militari statunitensi, ammonendo che essi potrebbero essere utilizzati per attività di spionaggio.
Tuttavia Trump sta ritirandosi da tutte quelle proibizioni nel tentativo di annullare le iniziative contro la ZTE, con un atteggiamento di disprezzo nei confronti di legislatori di entrambi i partiti.
Cosa c’è dietro questa bizzarra determinazione a dare una mano ad un soggetto evidentemente responsabile di atti illegali? Qualcosa che riguarda vantaggi personali? La Cina ha approvato un grande prestito ad un progetto in Indonesia collegato con Trump proprio prima di correre in difesa della ZTE; nello stesso tempo ha garantito scambi commerciali di notevole valore a Ivanka Trump. E non si dica che è ridicolo ipotizzare che Trump possa essere corrotto; tutto quello che sappiamo di quell’uomo ci dice che è effettivamente possibile.
E se abbiamo davvero un Presidente che è corruttibile, che è in procinto di dare a dittatori vantaggi rispetto alle democrazie, che cosa non può provocare quel genere di circostanza, considerato che essi operano nel rispetto della legge?
Ovviamente ci possono essere altre spiegazioni. Forse il Presidente Xi Jinping ha detto a Trump di aver bisogno di abbassarsi ad una pratica del genere in modo da fornirgli un accordo commerciale che egli possa definire una “vittoria”. In qualche modo, questo sarebbe ancora più sconfortante.
Qualunque sia la spiegazione, quello che ne riceviamo in cambio è una politica commerciale ‘manciuriana’: un Presidente che utilizza argomenti di sicurezza nazionale evidentemente falsi per colpire alleati democratici, mentre ignora preoccupazioni per la sicurezza nazionale molto realistiche per aiutare una dittatura ostile.
[1] Esistono due film ispirati al romanzo di Richard Condon: quello di John Frankenheimer del 1962 – con Frank Sinatra – e quello del 2004, sceneggiatura di Daniel Pyne, con Denzel Washington. Il secondo film, una rifacitura attualizzata, viene considerato, in quanto remake, non particolarmente significativo, almeno per la storia della ideazione.
By mm
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