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La caduta dell’impero americano, di Paul Krugman (New York Times, 18 luglio 2018)

 

June 18, 2018

Fall of the American Empire

By Paul Krugman

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The U.S. government is, as a matter of policy, literally ripping children from the arms of their parents and putting them in fenced enclosures (which officials insist aren’t cages, oh no). The U.S. president is demanding that law enforcement stop investigating his associates and go after his political enemies instead. He has been insulting democratic allies while praising murderous dictators. And a global trade war seems increasingly likely.

What do these stories have in common? Obviously they’re all tied to the character of the man occupying the White House, surely the worst human being ever to hold his position. But there’s also a larger context, and it’s not just about Donald Trump. What we’re witnessing is a systematic rejection of longstanding American values — the values that actually made America great.

America has long been a powerful nation. In particular, we emerged from World War II with a level of both economic and military dominance not seen since the heyday of ancient Rome. But our role in the world was always about more than money and guns. It was also about ideals: America stood for something larger than itself — for freedom, human rights and the rule of law as universal principles.

Of course, we often fell short of those ideals. But the ideals were real, and mattered. Many nations have pursued racist policies; but when the Swedish economist Gunnar Myrdal wrote his 1944 book about our “Negro problem,” he called it “An American Dilemma,” because he viewed us as a nation whose civilization had a “flavor of enlightenment” and whose citizens were aware at some level that our treatment of blacks was at odds with our principles.

And his belief that there was a core of decency — maybe even goodness — to America was eventually vindicated by the rise and success, incomplete as it was, of the civil rights movement.

But what does American goodness — all too often honored in the breach, but still real — have to do with American power, let alone world trade? The answer is that for 70 years, American goodness and American greatness went hand in hand. Our ideals, and the fact that other countries knew we held those ideals, made us a different kind of great power, one that inspired trust.

Think about it. By the end of World War II, we and our British allies had in effect conquered a large part of the world. We could have become permanent occupiers, and/or installed subservient puppet governments, the way the Soviet Union did in Eastern Europe. And yes, we did do that in some developing countries; our history with, say, Iran is not at all pretty.

But what we mainly did instead was help defeated enemies get back on their feet, establishing democratic regimes that shared our core values and became allies in protecting those values.

The Pax Americana was a sort of empire; certainly America was for a long time very much first among equals. But it was by historical standards a remarkably benign empire, held together by soft power and respect rather than force. (There are actually some parallels with the ancient Pax Romana, but that’s another story.)

And while you might be tempted to view international trade deals, which Trump says have turned us into a “piggy bank that everyone else is robbing,” as a completely separate story, they are anything but. Trade agreements were meant to (and did) make America richer, but they were also, from the beginning, about more than dollars and cents.

In fact, the modern world trading system was largely the brainchild not of economists or business interests, but of Cordell Hull, F.D.R.’s long-serving secretary of state, who believed that “prosperous trade among nations” was an essential element in building an “enduring peace.” So you want to think of the postwar creation of the General Agreement on Tariffs and Trade as part of the same strategy that more or less simultaneously gave rise to the Marshall Plan and the creation of NATO.

So all the things happening now are of a piece. Committing atrocities at the border, attacking the domestic rule of law, insulting democratic leaders while praising thugs, and breaking up trade agreements are all about ending American exceptionalism, turning our back on the ideals that made us different from other powerful nations.

And rejecting our ideals won’t make us stronger; it will make us weaker. We were the leader of the free world, a moral as well as financial and military force. But we’re throwing all that away.

What’s more, it won’t even serve our self-interest. America isn’t nearly as dominant a power as it was 70 years ago; Trump is delusional if he thinks that other countries will back down in the face of his threats. And if we are heading for a full-blown trade war, which seems increasingly likely, both he and those who voted for him will be shocked at how it goes: Some industries will gain, but millions of workers will be displaced.

So Trump isn’t making America great again; he’s trashing the things that made us great, turning us into just another bully — one whose bullying will be far less effective than he imagines.

 

La caduta dell’impero americano, di Paul Krugman

New York Times, 18 luglio 2018

Il Governo degli Stati Uniti, come strategia politica, sta letteralmente strappando i bambini dalle braccia dei loro genitori e mettendoli in recinti chiusi (che, secondo i dirigenti, non sarebbero affatto gabbie). Il Presidente degli Stati Uniti sta chiedendo che nella applicazione della legge si fermino le indagini sui suoi soci e piuttosto si perseguano i suoi avversari politici. Sta offendendo gli alleati democratici ed elogia dittatori sanguinari. Una guerra commerciale globale sembra sempre più probabile.

Che cosa hanno in comune questi racconti? Ovviamente sono tutti legati al carattere dell’uomo che occupa la Casa Bianca, di sicuro il peggiore individuo che abbia mai occupato quella carica. Ma c’è anche un contesto più ampio, e non riguarda soltanto Donald Trump. Stiamo assistendo ad un sistematico rigetto dei valori americani che vengono da lontano – i valori che effettivamente hanno reso grande l’America.

L’America è stata per lungo tempo una nazione potente. In particolare, venimmo fuori dalla Seconda Guerra Mondiale con un livello di predominio economico e militare che non si era mai visto dal periodo di maggiore forza dell’antica Roma. Ma il nostro ruolo nel mondo non è mai consistito soltanto nel denaro e nelle armi. Riguardava anche gli ideali: l’America si è sempre battuta per qualcosa che era più grande di essa stessa – per la libertà, per i diritti umani e per lo stato di diritto in quanto principi universali.

Naturalmente, spesso non siamo stati all’altezza di questi principi. Ma gli ideali erano autentici e furono importanti. Molte nazioni hanno perseguito politiche razziste: ma quando l’economista svedese Gunnar Myrdal scrisse nel 1944 il suo libro sul nostro “problema negro”, lo definì una “dilemma americano”, perché ci considerava una nazione che si ispirava ad “una sorta di illuminismo” e i cui cittadini erano in qualche modo consapevoli che il nostro trattamento della popolazione di colore era l’opposto dei nostri principi.

E la sua convinzione era che per l’America ci fosse in sostanza una forma di decenza – forse persino una integrità morale – che alla fine era risarcita dalla crescita e dal successo, per quanto insufficienti, del movimento per i diritti civili.

Ma questa integrità americana – pure reale, anche se troppo spesso riconosciuta nella infrazione delle regole – ha a che vedere con la potenza americana, per non dire col commercio mondiale? La risposta è che per 70 anni la moralità americana e la sua grandezza hanno proceduto mano nella mano. I nostri ideali, e il fatto che altri paesi riconoscessero che noi avevamo tali ideali, facevano di noi un caso diverso di grande potenza, che ispirava fiducia.

Ci si rifletta. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, in effetti noi e i nostri alleati inglesi abbiamo conquistato un’ampia parte del mondo. Avremmo potuto divenire degli occupanti permanenti, e/o installare obbedienti Governi fantoccio, come fece l’Unione Sovietica nell’Europa Orientale. E in effetti lo facemmo in alcuni paesi in via di sviluppo; la nostra storia, ad esempio nel caso dell’Iran, non è stata affatto pulita.

Ma quello che invece facemmo fu invece di aiutare i nostri nemici sconfitti a rimettersi in piedi, realizzando regimi democratici che condivisero i nostri valori fondamentali e divennero nostri alleati nella protezione di quei valori.

La Pax Americana fu in un certo senso un impero; certamente per lungo tempo l’America fu soprattutto prima inter pares. Ma essa fu, secondo i riferimenti storici, un impero considerevolmente benigno, tenuto assieme da un potere leggero e dal rispetto, piuttosto che dalla forza (effettivamente ci sono alcune somiglianza con l’antica Pax Romana, ma quella è un’altra storia).

Ma mentre sareste tentati di considerare gli accordi commerciali internazionali, che secondo Trump ci hanno trasformato in una “banca ingorda rapinata da tutti gli altri”, come una storia completamente distinta, essi sono tutt’altro. Gli accordi commerciali sono stati concepiti per rendere l’America più ricca ed hanno avuto quella funzione, ma sono anche stati, sin dall’inizio, relativi ad altro che non solo al denaro.

Di fatto, il sistema commerciale mondiale non è stato un parto dell’ingegno degli economisti o degli interessi delle imprese, ma di Cordell Hull, il Segretario di Stato per lungo tempo al servizio di Franklin Delano Roosevelt, che riteneva che un “commercio prospero tra le nazioni” fosse un elemento essenziale nella costruzione di una “pace duratura”. In tal modo, si deve pensare alla creazione post bellica dell’Accordo Generale sulle Tariffe e sul Commercio come un aspetto della stessa strategia che più o meno contemporaneamente consentì lo sviluppo del Pian Marshall e la creazione della NATO.

Così tutte le cose che stanno oggi accadendo fanno parte di un tutto. Commettere atrocità ai confini, attaccare lo stato di diritto nazionale, insultare i leader democratici mentre si elogiano i malviventi e rompere gli accordi commerciali, sono tutti fatti che riguardano la fine dell’eccezionalismo americano, il metterci alle spalle gli ideali che ci hanno resi diversi da altre potenti nazioni.

E rigettare i nostri ideali non ci renderà più forti; ci renderà più deboli. Noi siamo stati la guida del mondo libero, sia la guida morale che quella finanziaria e militare. Ma stiamo gettando via tutto questo.

Ancora più importante, ciò non sarà neppure al servizio dei nostri interessi. L’America non è per nulla una potenza dominante come era 70 anni fa; Trump si illude se pensa che altri paesi torneranno indietro di fronte alle sue minacce. E se ci stiamo indirizzando verso una guerra commerciale indiscriminata, il che sembra sempre più probabile, sia lui che coloro che l’hanno votato saranno stupefatti da come finirà: alcune industrie ci guadagneranno, ma milioni di lavoratori saranno delocalizzati.

Dunque Trump non sta rendendo l’America di nuovo grande; sta distruggendo le cose che ci hanno resi grandi, trasformandoci semplicemente in altri prepotenti – persone la cui prepotenza sarà assai meno efficace di quanto lui immagina.

 

 

 

 

 

 

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