By Paul Krugman
As I wrote the other day, Alexandria Ocasio-Cortez may call herself a socialist and represent the left wing of the Democratic party, but her policy ideas are pretty reasonable. In fact, Medicare for All is totally reasonable; any arguments against it are essentially political rather than economic.
A federal jobs guarantee is more problematic, and a number of progressive economists with significant platforms have argued against it: Josh Bivens, Dean Baker, Larry Summers. (Yes, Larry Summers: whatever you think of his role in the Clinton and Obama administrations, he’s a daring, unconventional thinker when not in office, with a strongly progressive lean.) And I myself don’t think it’s the best way to deal with the problem of low pay and inadequate employment; like Bivens and his colleagues at EPI, I’d go for a more targeted set of policies.
But I’m fine with candidates like AOC (can we start abbreviating?) proposing the jobs guarantee, for a couple of reasons. One is that realistically, a blanket jobs guarantee is unlikely to happen, so proposing one is more about highlighting the very real problems of wages and employment than about the specifics of a solution. Beyond that, some of the critiques are, I think, off base.
Here’s the way some of the critiques seem to run: a large share of the U.S. work force – Baker says 25 percent, but it looks like around a third to me – makes less than $15 an hour. So offering these workers a higher wage would bring a huge rush into public employment, implying a very expensive program.
What’s wrong with this argument? The key point is that all those sub-$15 workers aren’t just sitting around collecting paychecks: they’re producing goods and (mostly) services that the public wants. The public will still want those services even if the government guarantees alternative employment, so the firms providing those services won’t go away; they’ll just have to raise wages enough to hold on to their employees, who would now have an alternative.
Now, that doesn’t mean zero job loss. Employers might replace some workers with machines; they would have to raise prices, meaning that they would sell less; so private employment might go down.
But all this is true about increases in the minimum wage, too. And we have a lot of evidence on what minimum wage increases do, because we get a natural experiment every time a state raises its minimum wage but neighboring states don’t. What this evidence shows is that minimum wage hikes have very little effect on employment.
So if we think of a job guarantee as a minimum wage hike backstopped by a public option for employment, we should not expect a mass migration of workers from private to public jobs.
OK, a couple of caveats. First, while we have a lot of evidence on minimum wage hikes, these have generally been modest, leaving wages well below the level of the proposed federal guarantee. And even the leftiest of economists would agree that a sufficiently high minimum wage – say, $30 an hour – would reduce employment. Is $15 an hour high enough to get us into job-destroying territory? In high-income regions, probably not. But in America’s lagging, poorer regions there might be significant job losses.
Second, there are quite a few working-age adults who aren’t in the labor force at all, and at least some of them aren’t working because they see no job opportunities at all. A federal jobs guarantee might bring a substantial number of these non-working adults back into the work force. This would, of course, be a good thing from a social point of view – in fact, it’s kind of the point of the whole program – but could mean having to find work and money for a lot of new public employees.
How many? At its peak in 2001 the prime-aged employment rate was almost 3 percentage points above its current level. If a job guarantee brought such employment back to its peak, that would mean 3 ½ million additional workers. So we could be talking about a lot of people.
So I don’t want to minimize the potential problems with a job guarantee. But a wholesale migration from low-paid private to public employment isn’t one of those problems.
And to repeat what I said Tuesday, whatever problems you may have with the specifics of AOC’s proposals, they’re far more sensible than, say, Larry Kudlow or Sam Brownback-style voodoo economics, which passes for mainstream economic thinking on the other side of the aisle.
Ancora sulla garanzia del lavoro (per esperti), di Paul Krugman
Come ho scritto l’altro giorno, Alexandria Ocasio-Cortez può definirsi socialista e rappresentare l’ala sinistra del Partito Democratico, ma le sue idee politiche sono abbastanza ragionevoli. ‘Medicare per tutti’ è completamente ragionevole; ogni argomento contro di essa è sostanzialmente politico, piuttosto che economico.
Una garanzia federale sui posti di lavoro è più problematica, e un certo numero di economisti progressisti che hanno programmi impegnativi hanno avanzato obiezioni: Josh Bivens, Dean Baker, Larry Summers (sì, Larry Summers: qualsiasi cosa pensiate del suo ruolo nelle Amministrazioni Clinton e Obama, è una persona coraggiosa, un pensatore non convenzionale quando non ha una carica, con un orientamento fortemente progressista). Ed io stesso non penso che sia il modo migliore per misurarsi con i bassi salari e una occupazione inadeguata; come Bivens e i suoi colleghi dell’Istituto sulle Politiche dell’Occupazione, sarei a favore di un complesso di politiche più mirate.
Ma sono d’accordo con candidati come AOC (possiamo cominciare ad abbreviare il nome?) che propongono garanzie per i posti di lavoro, per un paio di ragioni. Una è che realisticamente, è improbabile che una copertura della garanzia dei posti di lavoro, cosicché proporne una riguarda soprattutto il mettere in evidenza i problemi assai reali dei salari e dell’occupazione che non i dettagli di una soluzione. Oltre a ciò, penso che alcuni critici siano in errore.
Ecco il modo in cui i critici sembrano ragionare: una larga quota del lavoro negli Stati Uniti – Baker dice il 25 per cento, ma a me sembra più vicina ad un terzo – realizza meno di 15 dollari all’ora. Dunque offrire a questi lavoratori un salario più elevato porterebbe ad un vasto esodo nell’occupazione pubblica, comportando un programma molto costoso.
Cosa c’è di sbagliato in questo argomento? Il punto chiave è che tutti quei lavoratori che sono sotto i 15 dollari non se ne stanno seduti in cerchio a raccogliere assegni: producono beni e soprattutto servizi che la gente richiede. La gente continuerà a volere tali servizi anche se il Governo garantisce una occupazione alternativa, cosicché le imprese che forniscono tali servizi non scompariranno; dovranno soltanto elevare i salari abbastanza da mantenere i loro occupati, che a quel punto avrebbero una alternativa.
Ora, questo non significa nessuna perdita di posti di lavoro. I datori di lavoro potrebbero sostituire i lavoratori con le macchine; potrebbero alzare i prezzi, giacché venderebbero di meno; in tal modo l’occupazione privata scenderebbe.
Ma tutto questo è vero anche nel caso di aumenti del minimo salariale. E abbiamo molte prove su ciò che provocano gli aumenti del minimo salariale, perché abbiamo un esperimento naturale ogni volta che uno Stato aumenta il suo minimo salariale mentre non lo aumentano gli Stati vicini. Quello che queste prove dimostrano è che gli aumenti del minimo salariale hanno un minimo effetto sull’occupazione.
Dunque, se pensiamo alla garanzia del posto di lavoro come un aumento del minimo salariale sorretto da una scelta pubblica per l’occupazione, non dovremmo aspettarci un esodo di massa di lavoratori dal lavoro privato a quello pubblico.
Però, un paio di avvertimenti. Il primo, mentre abbiamo molte prove sugli aumenti dei minimi salariali, in genere questi ultimi sono stati modesti, lasciando i salari molto al di sotto della proposta di garanzia federale. E persino gli economisti più di sinistra sarebbero d’accordo che un minimo salariale sufficientemente alto – diciamo, 30 dollari all’ora – ridurrebbe l’occupazione. 15 dollari all’ora sono sufficienti per avere una situazione di devastazione occupazionale? Nelle aree ad alto reddito, probabilmente no. Ma nell’America che resta indietro, nelle regioni più povere ci potrebbero essere perdite di occupazione significative.
In secondo luogo, c’è un buon numero di adulti in età lavorativa che non sono per niente nella forza lavoro, e almeno alcuni di loro non stanno lavorando perché non vedono affatto alcuna opportunità di lavoro. Una garanzia federale di posti di lavoro porterebbe un numero sostanziale di questi adulti che non lavorano nelle forze di lavoro. Questa, naturalmente, da un punto di vista sociale sarebbe una cosa buona – di fatto, in un certo senso è l’aspetto fondamentale dell’intero programma – ma potrebbe comportare di dover trovare lavoro e denaro per una grande quantità di occupati pubblici.
Quanti? Al suo punto più alto nel 2001, il tasso di occupazione nel principale periodo lavorativo era quasi di tre punti percentuali al di sopra del suo livello attuale. Se il lavoro garantito riportasse tale occupazione al suo livello più elevato, comporterebbe 3 milioni e mezzo di lavoratori aggiuntivi. Dunque, potremmo star ragionando di molte persone.
Dunque, non intendo minimizzare i problemi potenziali di una garanzia di lavoro. Ma un esodo su larga scala dal settore privato meno pagato al pubblico impiego non è uno di quei problemi.
E, per ripetere quello che ho detto martedì, qualsiasi problemi potete avere con i dettagli delle proposte di Alexandra Ocasio-Cortez, esse sono assai più ragionevoli, ad esempio, dell’economia di stile voodoo di Larry Kudlow o di Sam Brownback, che passa come il principale pensiero economico sull’altro versante dello schieramento politico.
By mm
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