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I democratici radicali sono abbastanza ragionevoli, dal blog di Paul Krugman, 3 luglio 2018.

 

July 3, 2018

Radical Democrats Are Pretty Reasonable

By Paul Krugman

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Alexandria Ocasio-Cortez’s upset primary victory has produced a huge amount of punditry about the supposed radicalization of the Democratic party, how it’s going to hurt the party because her positions won’t sell in the Midwest (and how well would Steve King’s positionssell in the Bronx?), etc., etc.. But I haven’t seen much about the substance of the policies she advocates, which on economics are mainly Medicare for All and a federal job guarantee.

So here’s what you should know: the policy ideas are definitely bold, and you can make some substantive arguments against them. But they aren’t crazy. By contrast, the ideas of Tea Party Republicans are crazy; in fact, Ocasio-Cortez’s policy positions are a lot more sensible than those of the Republican mainstream, let alone the GOP’s more radical members.

Since Ocasio-Cortez is being compared to Dave Brat, who unseated Eric Cantor, consider this: Brat favors a constitutional amendment forcing a balanced budget every year, which 96 percent of economists think is a really bad idea. Also, by the way, remember that Republicans won big in the midterms that followed Cantor’s demise.

So, about Ocasio-Cortez’s positions: Medicare for all is a deliberately ambiguous phrase, but in practice probably wouldn’t mean pushing everyone into a single-payer system. Instead, it would mean allowing individuals and employers to buy into Medicare – basically a big public option. That’s really not radical at all.

And if we’re talking economics rather than politics, every advanced country except America has some form of guaranteed health insurance; decades of experience show that these systems are workable; and they all have lower costs than we do. Calling for us to do what everyone else has managed to do is perfectly reasonable.

What about a jobs guarantee? Ocasio-Cortez’s proposal can be thought of as a rise in the national minimum wage to $15, combined with a sort of public option for employment in case that wage rise leads either to private-sector job losses or an increase in labor force participation.

Now, there’s a huge amount of evidence to the effect that minimum wage hikes don’t significantly reduce employment. To be fair, however, $15 is outside the range of historical experience, and you can make a plausible case that in low-productivity regions like much of the south there would be some job losses. On the other hand, those are precisely the regions that could really use some aid.

And even progressive economists like Josh Bivens aren’t sure whether a job guarantee is a good idea, mainly because they wonder whether the government can figure out how to manage large numbers of workers hired under the program and are uncertain about the cost. For what it’s worth, I’m pretty much with Bivens here, although I think he may be overstating the difficulties a bit; the goal of the jobs guarantee is laudable, but there are better ways to get there.

Also for what it’s worth, estimates by the leading academic advocates of a jobs guarantee – Paul, Darity, and Hamilton – say that it would be expensive, costing more than $500 billion a year, although they believe that part of this cost would be offset by lower spending on safety-net programs and higher tax receipts.

My own take is that they’re both too optimistic and too pessimistic. On one side, they believe that a huge number of people would enter the work force — that U6, the broadest measure of unemployment, would fall to just 1.5 percent, far below anything we’ve seen even at the peak of previous booms:

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My guess is that they’re way too optimistic here, that many of those not working still wouldn’t be working for a variety of reasons even with a guaranteed job.

But if fewer people than they think took those guaranteed jobs, the program’s cost would be correspondingly lower. Say it only ended up costing half their projection, $270 billion a year: how irresponsible would that be?

Well, the Trump tax cut, according to CBO, will increase the fiscal 2019 deficit by $280 billion. And it will do that while delivering little or nothing to working-class families. Whether or not you support Ocasio-Cortez here, she’s advocating a more responsible policy than that actually enacted by Republican in Congress.

The point, in any case, is that while a jobs guarantee is probably further than most Democrats, even in the progressive wing, are willing to go, it’s a response to real problems, and it’s not at all a crazy idea.

So next time you hear someone on the right talk about the “loony left,” or some centrist pundit pretend that people like Ms. Ocasio-Cortez are the left equivalent of the Tea Party, ignore them. Radical Democrats are actually pretty reasonable.

 

I democratici radicali sono abbastanza ragionevoli, di Paul Krugman

La impressionante vittoria alle primarie di Alexandria Ocasio-Cortez ha provocato una grande quantità di commentatori sul tema della presunta radicalizzazione del Partito Democratico, su come essa sia destinata a danneggiare il partito perché le sue posizioni non saranno accettate nel Midwest (e con quanto favore le posizioni di Steve King [1] saranno accettate nel Bronx?) etc. etc. … Ma non ho visto granché sulla sostanza delle politiche che essa sostiene, che in economia sono fondamentalmente ‘Medicare per tutti’ e una garanzia federale sul posto di lavoro.

Ecco dunque qualcosa che dovreste sapere: le idee politiche sono di sicuro audaci, e contro di esse potete avanzare argomenti di una certa sostanza. Ma non sono folli. All’opposto, le idee dei repubblicani del Tea Party sono folli; di fatto le posizioni politiche di Ocasio-Cortez sono molto più sensate di quelle che prevalgono tra i repubblicani, per non dire di quelle dei componenti più radicali del Partito Repubblicano.

Dal momento che Ocasio-Cortez viene paragonata a Dave Brat, che scalzò Eric Cantor, si consideri questo: Brat è a favore di un emendamento costituzionale che costringa ogni anno ad un bilancio in equilibrio, mentre il 96 per cento degli economisti pensa che sia una pessima idea. Si ricordi, per inciso, che i repubblicani vinsero alla grande le elezioni di medio termine successive alla caduta di Cantor.

Dunque, a proposito delle posizioni della Ocasio-Cortez: ‘Medicare per tutti’ è volutamente una frase ambigua, ma in pratica probabilmente non comporterebbe di spingere tutti ad un sistema con un unico centro di pagamenti. Invece comporterebbe di consentire agli individui ed ai datori di lavoro di investire su Medicare – fondamentalmente una grande opzione pubblica. In realtà, questo non è affatto radicale.

E se parliamo di economia anziché di politica, ogni paese avanzato ad eccezione dell’America ha qualche forma di assicurazione sanitaria garantita; decenni di esperienze mostrano che questi sistemi funzionano; ed hanno tutti costi inferiori di quelli che abbiamo noi. Chiamarci a fare quello che tutti gli altri sono riusciti a fare è perfettamente ragionevole.

Che dire della assicurazione sui posti di lavoro? La proposta di Ocasio-Cortez può essere pensata come una crescita del salario minimo nazionale a 15 dollari, combinata con una sorta di opzione pubblica per l’assicurazione nel caso che la crescita del salario porti ad una perdita di posti di lavoro o ad un incremento della partecipazione alla forza lavoro.

Ora, c’è una gran quantità di prove che aumenti del salario minimo non riducono in modo significativo l’occupazione. Onestamente, tuttavia, 15 dollari vanno oltre la gamma della esperienza storica, e potreste avanzare la tesi plausibile che nelle regioni a bassa produttività come gran parte del Sud ci sarebbero alcune perdite di posti di lavoro. D’altra parte, quelle sono precisamente le regioni che in realtà potrebbero avere qualche forma di aiuto.

E persino economisti progressisti come Josh Bivens non sono sicuri che la garanzia del posto di lavoro sia una buona idea, principalmente perché si chiedono se il Governo possa avere un’idea di come gestire grandi numeri di lavoratori assunti con quel programma e sono incerti sul costo. Per quello che vale, io sono in questo caso abbastanza d’accordo con Bivens, sebbene pensi che egli sopravvaluti un po’ le difficoltà; l’obbiettivo della garanzia dei posti di lavoro è encomiabile, ma ci sono altri modi per arrivarci.

Sempre per quello che vale, le stime da parte dei principali sostenitori accademici della garanzia del posto di lavoro – Paul, Darity ed Hamilton – dicono che essa sarebbe costosa, più di 500 miliardi di dollari all’anno, sebbene essi ritengano che in parte questo costo sarebbe compensato da una spesa minore sui programmi della sicurezza sociale e da più elevate entrate fiscali.

La mia posizione è che essi sono sia troppo ottimisti che troppo pessimisti. Da una parte, credono che un gran numero di persone entrerebbero nella forza di lavoro – che l’U6, la misura più larga della disoccupazione, cadrebbe appena all’1,5 per cento, molto al di sotto di quello che non si è mai visto nei punti più alti delle precedenti espansioni:

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La mia impressione è che in questo caso si sia troppo ottimisti, che molti di coloro che ancora non lavorano continuerebbero per varie ragioni a non lavorare anche con un posto di lavoro garantito.

Ma se un numero minore di persone di quelle che loro credono prendessero quei posti di lavoro garantiti, il costo del programma sarebbe corrispondentemente più basso. Diciamo che esso finirebbe per costare soltanto la metà della loro previsione, 270 miliardi di dollari all’anno: quanto sarebbe inaffidabile una tale previsione?

Ebbene, il taglio delle tasse di Trump, secondo l’Ufficio Congressuale del Bilancio, aumenterà il deficit della finanza pubblica per 280 miliardi di dollari. E lo farà portando poco o niente alle famiglie della classe lavoratrice. In questo caso, che voi appoggiate o meno la Ocasio-Cortez, ella sta sostenendo una politica più responsabile di quella effettivamente messa in atto dai repubblicani del Congresso.

Il punto, in ogni caso, è che mentre la garanzia dei posti di lavoro è probabilmente superiore a quella che la maggioranza dei democratici, persino nell’area progressista, è disponibile a mettere in atto, è una risposta a problemi reali, e non è affatto un’idea pazzesca.

Dunque, la prossima volta che sentite parlare qualcuno della destra di una “sinistra pazzesca”, o qualche commentatore centrista che pretende che persone come la Ocasio-Cortez siano l’equivalente di sinistra del Tea Parti, ignorateli. I democratici radicali sono in realtà abbastanza ragionevoli.

 

 

 

 

 

 

[1] Steve King è un repubblicano, membro del Congresso da lungo tempo, che interloquisce con i neonazisti e sostiene posizioni apertamente razzistiche sui musulmani.

 

 

 

 

 

 

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