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La Brexit e la Trumpit (per esperti), dal blog di Paul Krugman, 22 giugno 2018.

 

June 22, 2018

Brexit Versus Trumpit (Wonkish)

By Paul Krugman

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A correspondent asks a very good question. The other day I posted a wonkish piece about the economics of a trade war, which argued that there would be huge disruption but the overall cost would be smaller than many people imagine — maybe 2-3% of GDP. The correspondent asked how to reconcile this with typical estimates of the cost of Brexit.

Such estimates — I’ve done my own back-of-the-envelope version, which is more in less in the same ballpark (cricket field?) as other estimates — typically run somewhere around 2 percent of British GDP. Yet even pessimists predict a much smaller impact of Brexit on British trade than the huge declines I’ve been suggesting from a Trump-created trade war, which I have just decided to call Trumpit. Aren’t these estimates inconsistent?

No, not really, because Brexit isn’t about higher tariffs; it’s about higher trade costs, higher costs of doing business across borders. And that makes a huge difference.

Figure 1 shows the standard textbook picture (hey, I wrote the standard textbook!) of the effects of a tariff. A tariff helps domestic producers who compete with imports, hurts domestic consumers, and generates revenue for the government. These three effects add up to a net loss, because the tariff distorts incentives: the good is produced by firms who have higher costs than it would cost to import the good, consumers refrain from buying even though it’s worth more to them than its price on world markets. These distorted incentives — the “deadweight loss” from a tariff — are shown by the areas of the triangles in the figure.

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Figure 1

And these triangles correspond to the single triangle I used in the figure that went with my exercise in wonkdom, here shown as Figure 2.

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Figure 2

But Brexit won’t raise prices by imposing a tariff, which will generate government revenue. It will, instead, make doing business more expensive: extra paperwork, longer waits for trucks waiting to be onloaded and offloaded, higher invisible costs of trading services. So you need to add the rectangle in Figure 1 labeled “government revenue” to the overall economic losses.

Or to put it differently, you get a picture like Figure 3, in which higher trade costs as well as distorted incentives reduce real income. (The incentives aren’t actually distorted given Brexit, but they are compared with what you’d face without it.)

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Figure 3

How big a deal is that difference? I’ve previously guessed that Brexit will reduce British trade with the rest of Europe by a third, from 15 to 10 percent of GDP. If the elasticity of demand is 3, that would require trade costs on the order of 13 percent of import prices.

If that 13 percent number were a tariff, the overall cost would be 0.13*2.5 percent of GDP (half the import decline). That’s about 0.3 percent of GDP — not tiny, but fairly small.

But if we’re talking about higher trade costs, you need to multiply these by the average of pre- and post-Brexit imports, or 12.5 percent of GDP. Now we’re up to 1.6 percent of GDP.

So that’s why Brexit estimates are so much higher than trade-war logic might suggest. Brexit won’t tax trade, it will make it really, truly, deeply more expensive to conduct — and that’s a big deal.

 

La Brexit e la Trumpit (per esperti), dal blog di Paul Krugman

Un nostro interlocutore avanza un’ottima domanda. L’altro giorno ho pubblicato un pezzo per esperti sull’economia delle guerre commerciali, nel quale sostenevo che ci sarebbe stata una vasta turbolenza, ma il costo complessivo sarebbe stato inferiore a quello che molti immaginano – forse il 2-3% del PIL. L’interlocutore ora ci chiede come conciliare questa stima con quelle consuete sui costi della Brexit.

Tali stime – ho fatto una mia versione di un calcolo approssimativo che ha più o meno la stessa dimensione di campo di gioco di altre stime (un campo da cricket?) – si colloca come di consueto attorno al 2 per cento del PIL inglese. Tuttavia persino i pessimisti prevedono un impatto della Brexit sul commercio britannico molto minore di quel vasto decremento che io sto suggerendo per la guerra commerciale provocata da Trump, che ho appena deciso di chiamare Trumpit. Queste stime sono contraddittorie?

No, in realtà no, perché la Brexit non riguarda tariffe più alte; riguarda costi commerciali più alti, costi più elevati nel gestire imprese trans frontaliere. E questo provoca una grande differenza.

La Figura 1 mostra il quadro consueto di un libro di testo di economia (ricordatevi che quel tradizionale libro di testo l’ho scritto io!) sugli effetti di una tariffa. Una tariffa aiuta i produttori che competono con le importazioni, danneggia i consumatori nazionali e genera entrate per il Governo. Questi tre effetti si aggiungono ad una perdita netta, giacché la tariffa distorce gli incentivi: il bene è prodotto da imprese che hanno costi più elevati di quelli che avrebbero importando quel bene, i consumatori si astengono dal comprare anche se esso ha per loro più valore del suo prezzo sui mercati mondiali. La distorsione di questi incentivi – la “perdita inutile” derivante dalla tariffa – sono mostrate dalle aree dei triangoli nella figura.

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Figura 1 [1]

 

E questi triangoli corrispondono al singolo triangolo che avevo utilizzato nel diagramma che accompagnava il mio esercizio per esperti, qua mostrato come Figura 2.

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Figura 2 [2]

 

Ma la Brexit non alzerà i prezzi con l’imposizione di una tariffa, che produrrà entrate per lo Stato. Piuttosto, essa renderà più costosa l’attività dell’impresa: burocrazia aggiuntiva, le lunghe attese per i camion che aspettano di essere caricati e scaricati, superiori costi invisibili per i servizi commerciali. Dunque si deve aggiungere il rettangolo definito nella figura 1 come “entrate pubbliche” alle perdite economiche complessive. O, per dirla diversamente, si ottiene un quadro come quello della Figura 3, nel quale anche i maggiori costi del commercio, come gli incentivi distorti, riducono il reddito effettivo (gli incentivi non sono realmente distorti per effetto della Brexit, ma lo sono a confronto di quello che si avrebbe senza di essa).

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Figura 3

 

Quanto è grande quella differenza? Ho precedentemente ipotizzato che la Brexit ridurrà il commercio britannico con il resto dell’Europa di un terzo, dal 15 al 10 per cento del PIL. Se l’elasticità della domanda è pari a 3, ciò richiederebbe costi commerciali aggiuntivi nell’ordine del 13 per cento dei prezzi all’importazione.

Se la tariffa corrispondesse a quel dato del 13 per cento, il costo complessivo sarebbe pari a 0,13*2,5 del PIL (metà del declino delle importazioni). Ovvero, circa lo 0,3 per cento del PIL – non minuscolo, ma abbastanza modesto.

Ma se stiamo parlando di più alti costi commerciali, si devono moltiplicare questi per la media delle importazioni precedenti e successive alla Brexit, ovvero per il 12,5 per cento del PIL. Con il che si sale all’1,6 per cento del PIL.

Questa è la ragione per la quale le stime sulla Brexit sono così tanto più alte di quello che una logica da guerra commerciale suggerirebbe. La Brexit non tasserà il commercio, lo renderà realmente, effettivamente, seriamente più costoso da gestire – e questo sarà un problema grave.

 

 

 

 

 

 

[1] La Figura mostra l’effetto dell’aggiunta di una tariffa alla importazione di un bene. Sull’asse verticale il prezzo, su quello orizzontale la quantità. L’aggiunta di una tariffa, che comporta una entrata per lo Stato – il rettangolo delle entrate (‘revenue’) dello Stato che la impone ma anche due aree di aggiunta sul prezzo – i triangoli che sono “pesi morti” – provoca una diversa torsione all’intero diagramma.

[2] In pratica, nella figura 2, il triangolo definito “welfare loss” – che tradurrei con “vantaggio perduto” – ha la stessa dimensione dei due triangoli “pesi morti” della Figura 1, ma è al netto delle entrate pubbliche derivanti dai dazi maggiori.

 

 

 

 

 

 

 

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