July 10, 2018
By Paul Krugman
These days I’m writing a lot about trade policy. I know there are more crucial topics, like Alan Dershowitz. Maybe a few other things? But getting and spending go on; and to be honest, in a way I’m doing trade issues as a form of therapy and/or escapism, focusing on stuff I know as a break from the grim political news.
Anyway, as Britain’s self-inflicted Brexit crisis (self-inflicted with some help from Putin, it seems) comes to a head, it seems to me worth trying to explain some aspects of the economics involved that should be obvious – surely are obvious to many British economists – but aren’t, apparently, as obvious either to Brexiteers or to the general public.
These aspects explain why Theresa May is trying to do a soft Brexit or even, as some say, BINO – Brexit In Name Only; and why the favored alternative of Brexiteers, trade agreements with the United States and perhaps others to replace the EU, won’t fly.
Now, many of the arguments for Brexit were lies pure and simple. But their claims about trade, both before and after the vote, may arguably be seen as misunderstandings rather than sheer dishonesty.
In the world according to Brexiteers, Britain needn’t lose much by leaving the EU, because it can still negotiate a free trade agreement with the rest of Europe, or, at worst, face the low tariffs the EU imposes on other non-EU economies. Meanwhile, Britain can negotiate better trade deals elsewhere, especially the US, that will make up for any losses on the EU side.
What’s wrong with this story? The first thing to understand is that the EU is not a free trade agreement like NAFTA; it’s a customs union, which is substantially stronger and more favorable to trade.
What’s the difference? In NAFTA, most Mexican products can enter the U.S. tariff-free. But Mexico and the U.S. don’t charge the same tariffs on imports from third parties. This means that Mexican goods entering the U.S. still have to face a customs inspection, to make sure that they’re actually Mexican, not, say, Chinese goods unloaded in Mexico and trucked across the border to bypass U.S. tariffs.
And actually it’s worse than that, because what is a Mexican good, anyway? NAFTA has elaborate rules about how much Mexican content is required to qualify for zero tariffs, and this adds a lot of paperwork and frictions to intra-NAFTA trade.
By contrast, the EU sets common external tariffs, which means that once you’re in, you’re in: once goods are unloaded at Rotterdam they can be shipped on to France or Germany without further customs checks. So there’s much less friction.
And frictions, not tariffs, are what businesses are complaining about as Brexit draws near. For example, the British auto industry relies on “just-in-time” production, maintaining low inventories of parts, because it has been able to count on prompt arrival of parts from Europe. If Britain leaves the customs union, the risk of customs delays would make this infeasible, substantially raising costs.
These frictions are also why estimates of the cost of Brexit are comparable to estimates of the cost of a global tariff war, even though the predicted reduction in trade volumes is much smaller.
Still, even if leaving the customs union would be costly, couldn’t Britain make up for that by getting a really good deal with Donald Trump’s America? No.
Certainly the U.S. couldn’t offer hugely valuable tariff reductions, for the simple reason that our tariffs on EU products – like EU tariffs on our products – are already quite low. You can find examples of high tariffs, like our 25 percent tariff on light trucks, but overall there just isn’t much to give.
What about a Britain-U.S. customs union? That would be hugely problematic, among other things because given the asymmetry in size Britain would effectively be giving Washington complete control over its policy. Beyond that, no deal with the U.S. could be worth as much as Britain’s customs union with its neighbors, because of gravity.
What? One of the best-established relationships in economics is the so-called gravity equation for trade between any two countries, which says that the amount of trade depends positively on the size of the two countries’ economies but negatively on the distance between them. You can see this very clearly in British exports. Here’s British exports to selected countries as a percentage of the importing country’s GDP, plotted against the distance to that country:
The point is that while America offers a market comparable in size to that of the EU, it’s much further away, so that even if the UK could make an incredible deal with us, it wouldn’t be worth nearly as much as the customs union they have.
All of this explains why May is trying to negotiate a deal that keeps the customs union intact. But that, of course, ain’t much of an exit: Brussels will still set UK trade policy, except that Britain will no longer have a vote. So what was the point of Brexit in the first place?
Good question. Too bad more people didn’t ask it before the referendum.
La Brexit incontra la forza di gravità, di Paul Krugman
In questi giorni sto scrivendo molto sulla politica commerciale. So che ci sono altri temi cruciali, come quello di Alan Dershowitz [1]. Forse poche altre cose? Ma la vita quotidiana procede e a essere onesti, in un certo senso mi sto occupando dei temi del commercio come una forma di terapia e/o di fuga, concentrandomi su cose che conosco come una pausa dalle cupe informazioni della politica.
In ogni modo, dato che l’autoprovocata crisi inglese della Brexit (auto inflitta con qualche aiuto, a quanto sembra, da parte di Putin) viene al pettine, mi sembra che sia il caso di cercar di spiegare alcuni aspetti dell’economia che la riguarda che dovrebbero essere evidenti – certamente sono evidenti per molti economisti inglesi – ma, a quanto sembra, non sono così evidenti per i sostenitori della Brexit o per l’opinione pubblica in generale.
Questi aspetti spiegano perché Theresa May stia cercando di adottare una Brexit leggera o persino, come alcuni dicono, una BINO (una Brexit solo di nome); e perché l’alternativa favorita dei sostenitori della Brexit, accordi commerciali con gli Stati Uniti e forse con altri per sostituire l’Unione Europea, non decollerà.
Ora, molti argomenti della Brexit erano pure e semplici bugie. Ma le loro tesi sul commercio, sia prima che dopo il voto, possono probabilmente essere considerate come incomprensioni, anziché come vera e propria disonestà.
Nel mondo secondo i sostenitori della Brexit, l’Inghilterra non è destinata a rimetterci molto dall’abbandono dell’UE, giacché essa può ancora negoziare un accordo di libero commercio con il resto dell’Europa, o, nel peggiore dei casi, affrontare le basse tariffe che l’UE impone ad altre economie che non fanno parte dell’UE. Nel frattempo, l’Inghilterra può negoziare migliori accordi commerciali dappertutto, specialmente con gli Stati Uniti, che rimedieranno ad ogni perdita sul versante dell’UE.
Cosa non funziona in questa storia? La prima cosa da comprendere è che l’UE non è un accordo di libero commercio come il NAFTA; è un’unione doganale, ovvero qualcosa sostanzialmente più forte e più favorevole al commercio.
Qual è la differenza? Nel NAFTA, la maggioranza dei prodotti messicani possono entrare negli Stati Uniti senza pagare tariffe. Ma il Messico e gli Stati Uniti non caricano le stesse tariffe sulle importazioni da paesi terzi. Questo significa che i prodotti messicani che entrano negli Stati Uniti devono ancora far fronte ad una ispezione doganale per accertare che siano effettivamente messicani, e non, diciamo, prodotti cinesi caricati in Messico e trasportati su camion attraverso il confine per eludere le tariffe statunitensi.
E in realtà la seconda ipotesi è peggiore della prima, perché, in fin dei conti, cosa è un prodotto messicano? Il NAFTA contiene regole elaborate su quanto contenuto messicano è richiesto per essere idonei a nessuna tariffa, e questo aggiunge una gran quantità di scartoffie e di frizioni nel commercio all’interno del NAFTA.
All’opposto, l’UE stabilisce tariffe esterne comuni, il che significa che una volta che siete dentro, siete dentro: una volta che i prodotti sono scaricati a Rotterdam possono essere spediti per nave in Francia o in Germania senza ulteriori controlli doganali. Dunque c’è molta minore frizione.
E le frizioni, non le tariffe, sono ciò di cui le imprese si stanno lamentando nel momento in cui la Brexit si avvicina. Ad esempio, l’industria automobilista inglese si basa su una produzione “appena in tempo”, mantenendo una giacenza di componenti bassa, perché si è stati capaci di far conto su un rapido arrivo delle componenti dall’Europa. Se l’Inghilterra lascia l’unione doganale, i ritardi delle dogane renderanno questa soluzione impraticabile, elevando sostanzialmente i costi.
Queste frizioni sono anche la ragione per la quale le stime dei costi della Brexit sono paragonabili alle stime dei costi di una guerra commerciale, anche se la prevista riduzione del volume del commercio è molto più piccola.
Eppure, anche se lasciare l’unione doganale sarebbe costoso, l’Inghilterra non potrebbe compensarla ottenendo un accordo davvero buono con l’America di Donald Trump? No.
Certamente gli Stati Uniti non potrebbero offrire riduzioni delle tariffe di grande valore, per la semplice ragione che le nostre tariffe sui prodotti dell’UE – come le tariffe dell’UE sui nostri prodotti – sono già abbastanza basse. Si possono trovare esempi di alte tariffe, come la nostra tariffa del 25 per cento sui veicoli commerciali leggeri, ma nel complesso non c’è proprio molto da offrire.
Che cosa dire di un’unione doganale tra Inghilterra e Stati Uniti? Che sarebbe del tutto problematica, tra le altre cose perché l’asimmetria derivante dalle dimensioni dell’Inghilterra sarebbe sostanzialmente come dare a Washington il completo controllo sulla sua politica. Oltre a ciò, nessun accordo con gli Stati Uniti potrebbe valere altrettanto di una unione doganale dell’Inghilterra con i suoi vicini, per effetto della gravità.
Che cosa? Una delle relazioni meglio fondate in economia è la cosiddetta equazione di gravità per il commercio tra qualsiasi due paesi, che dice che la quantità di commercio dipende positivamente dalle dimensioni delle economie dei due paesi, ma negativamente dalla loro distanza. Lo si può vedere molto chiaramente nelle esportazioni inglesi. Ecco le esportazioni inglesi verso paesi selezionati sulla base della percentuale delle esportazioni sul PIL del paese importatore, e disegnata a confronto con la distanza verso quel paese:
Il punto è che mentre l’America offre nelle dimensioni un mercato paragonabile con quello dell’UE, essa è molto più distante, cosicché persino se l’Inghilterra potesse concordare con noi un accordo incredibile, esso non avrebbe neanche lontanamente il valore dell’unione doganale che essi hanno.
Tutto questo spiega perché la May sta cercando di negoziare un accordo che mantenga intatta l’unione doganale. Ma questa, ovviamente, non è proprio un’uscita: Bruxelles continuerà a stabilire la politica commerciale per il Regno Unito, sennonché l’Inghilterra non avrà più il diritto di voto. Qual’era, dunque, l’argomento per la Brexit agli inizi?
Bella domanda. Troppe persone mediocri non se lo chiesero prima del referendum.
[1] Alan Dershowitz, celebre avvocato e professore di Harvard, era considerato un liberal. Aveva votato prima per Barack Obama, poi per Hillary Clinton. Ma negli ultimi mesi, partecipando a show televisivi soprattutto sulla Foxnews, la rete pro-Trump, ha criticato l’inchiesta sul Russiagate del procuratore speciale Robert Mueller e ha sostenuto che il presidente non poteva essere incriminato per ostruzione della giustizia, ricevendo gli applausi della Casa Bianca. In compenso le posizioni dell’eccentrico avvocato-professore, che nel passato difese anche O.J. Simpson, non sono piaciute ai democratici. Dershowitz, in un editoriale su The Hill, ha parlato di nuovo “clima maccartista”.
Che sia un “tema cruciale” del momento sembra una battuta ironica.
By mm
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