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Trump contro i produttori di motociclette, di Paul Krugman (New York Times 28 giugno 2018)

 

June 28, 2018

Trump Versus the Hog-Maker

By Paul Krugman

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Harley-Davidson, the famed manufacturer of “hogs” — big motorcycles — made headlines this week when it announced that it would be moving some of its production out of the U.S. in the face of the growing tariff war between America and the European Union.

And Donald Trump made more headlines when he lashed out at a company “I’ve been very good to,” accusing of having “surrendered” to Europe. So he threatened it with punishment: “They will be taxed like never before.”

Now, in general I’m suspicious of news analyses, especially but not only in economics, that rely a lot on a supposedly revealing anecdote (such as, for example, analyses based on conversations with Trump supporters in diners). And the truth is that while Harley-Davidson may be something of an icon, it isn’t a big player in the U.S. economy. At the end of last year its motorcycle segment employed around 5,000 workers; that’s not much in an economy where around 250,000 people are hired every working day.

Nonetheless, I think the Harley story is one of those anecdotes that tells us a lot. It’s an early example of the incentives created by the looming Trumpian trade war, which will hurt many more American companies and workers than Trump or the people around him seem to realize. It’s an indication of the hysterical reactions we can expect from the Trump crew as the downsides of their policies start to become apparent — hysteria that other countries will surely see as evidence of Trump’s fundamental weakness.

And what Trump’s alleged experts have to say about the controversy offers fresh confirmation that nobody in the administration has the slightest idea what he or she is doing.

About that trade war: So far, we’re seeing only initial skirmishes in something that may well become much bigger. Nonetheless, what’s already happened isn’t trivial. The U.S. has imposed significant tariffs on steel and aluminum, causing their domestic prices to shoot up; our trading partners, especially the European Union, have announced plans to retaliate with tariffs on selected U.S. products.

And Harley is one of the companies feeling an immediate squeeze: It’s paying more for its raw materials even as it faces the prospect of tariffs on the cycles it exports. Given that squeeze, it’s perfectly natural for the company to move some of its production overseas, to locations where steel is still cheap and sales to Europe won’t face tariffs.

So Harley’s move is exactly what you’d expect to see given Trump policies and the foreign response.

But while it’s what you’d expect to see, and what I’d expect to see, it’s apparently not what Trump expected to see. His view seems to be that since he schmoozed with the company’s executives and gave its stockholders a big tax cut, Harley owes him personal fealty and shouldn’t respond to the incentives his policies have created. And he also appears to believe that he has the right to deal out personal punishment to companies that displease him. Rule of law? What’s that?

Now, I suppose it’s possible that Trump will, in fact, manage to bully Harley-Davidson into backing down on moving some production from the U.S. At the moment, however, there’s no sign of that.

And anyway, we’re talking about a few hundred jobs here out of around 10 million currently supported by exports, but put at risk by Trump policies. So if we’re talking about a serious trade war, we’re talking about thousands of Harley-Davidson-scale job losses. Even Trump can’t rage-tweet enough to make a significant dent in troubles of that dimension.

So what do Trump’s economists have to say about all of this? One answer is, what economists? There are hardly any left in the administration. But for what it’s worth, Kevin Hassett, the chairman of the Council of Economic Advisers, isn’t echoing Trump’s nonsense: He’s uttering completely different nonsense. Instead of condemning Harley’s move, he declares that it’s irrelevant given the “massive amount of activity coming home” thanks to the corporate tax cut.

That would be nice if it were true. But we aren’t actually seeing lots of “activity coming home”; we’re seeing accounting maneuvers that transfer corporate equity from overseas subsidiaries back to the home corporation but in general produce “no real economic activity.”

So the Harley incident reveals the pervasive cluelessness behind the administration’s signature economic policy. But it also reveals something else: the deep weakness at Trump’s core.

Think about it. Imagine that you’re Xi Jinping, the Chinese president, who has already been telling leaders of multinational corporations that he plans to “punch back” against Trump’s tariffs. How do you feel seeing Trump squealing over a few hundred jobs possibly lost in the face of European retaliation? Surely the spectacle inclines you to take a hard line: If such a small pinprick upsets Trump so much, the odds are pretty good that he’ll blink in the face of real confrontation.

So the Harley story, while quantitatively small, may tell us a lot about the shape of things to come. And none of what it tells us is good.

 

Trump contro i produttori di motociclette, di Paul Krugman

New York Times 28 giugno 2018

Questa settimana la Harley-Davidson, la famosa produttrice degli “hogs” – i grandi motocicli – è andata sui titoli dei giornali quando ha annunciato che starebbe spostando, a fronte della crescente guerra tariffaria tra l’America e l’Unione Europea, alcune produzioni fuori dagli Stati Uniti.

E Donald Trump ha ottenuto più ancora titoli, quando ha attaccato la società – verso la quale sarebbe stato “molto generoso” – accusandola di essersi “arresa” all’Europa. La ha dunque minacciata di una punizione: “Saranno tassati come non lo sono mai stati in precedenza”.

Ora, in genere io sono diffidente delle analisi giornalistiche che si basano su presunti aneddoti rivelatori, specialmente ma non soltanto in economia (come, ad esempio, le analisi basate su conversazioni in trattoria con i sostenitori di Trump). E la verità è che se la Harley-Davidson può essere una icona, non è una grande protagonista dell’economia americana. Alla fine dell’ultimo anno il suo segmento dei motocicli occupava circa 5.000 lavoratori; che non è granché in un’economia nella quale ogni giorno lavorativo vengono assunte circa 250.000 persone.

Ciononostante, penso che la storia della Harley sia uno di quegli aneddoti che ci dice molto. È un primo esempio degli incentivi creati dalla incombente guerra commerciale trumpiana, che porterà danni a molte più società e lavoratori americani di quanti Trump o le persone di cui si circonda sembrano comprendere. È un indicatore delle reazioni isteriche che possiamo aspettarci dalla ciurma di Trump allorché gli aspetti negativi delle loro politiche cominceranno a diventare evidenti – isteria che gli altri paesi sicuramente considereranno come una prova della debolezza di fondo di Trump.

E quello che i presunti esperti di Trump hanno da dire sulla controversia offre una conferma fresca che nessuno nella Amministrazione ha la più pallida idea di cosa sta facendo.

A proposito della guerra commerciale: sinora, stiamo solo assistendo alle iniziali schermaglie in una faccenda destinata a diventare assai più grande. Nondimeno, quello che è già accaduto non è banale. Gli Stati Uniti hanno imposto tariffe significative sull’acciaio e sull’alluminio, provocando un’impennata nei prezzi interni; i nostri partner commerciali, particolarmente l’Unione Europea, hanno annunciato programmi di ritorsione con tariffe su prodotti statunitensi selezionati.

E la Harley è una delle società che stanno sperimentando una stretta improvvisa: essa sta pagando di più per i suoi materiali grezzi anche se è di fronte alla prospettiva di tariffe sui motocicli che esporta. Data quella stretta, è perfettamente naturale che la società sposti qualcuna delle sue produzioni all’estero, in località nelle quali l’acciaio è ancora economico e le vendite in Europa non subiranno tariffe.

Dunque le scelte della Harley sono esattamente quello che ci si aspetterebbe, considerate le politiche di Trump e la risposta estera.

Ma mentre è quello che vi aspettereste di vedere, e che io mi aspetterei di vedere, sembra che non sia quello che Trump si aspettava. Il suo punto di vista sembra essere che, dato che coltivava buone relazioni con i dirigenti della società e aveva offerto ai suoi azionisti un grande taglio delle tasse, la Harley abbia nei suoi confronti un debito di fedeltà e non dovrebbe reagire agli incentivi creati dalle sue politiche. E sembra anche credere di avere tutto il diritto di dispensare punizioni mirate alle società che lo contrariano. Stato di diritto? Che cosa è mai?

Ora, ammettiamo che Trump riuscirà, nei fatti, a intimidire la Harley-Davidson e a retrocedere dal proposito di spostare una parte della produzione dagli Stati Uniti. Al momento, tuttavia, non c’è alcun cenno di tutto questo.

E in ogni modo, stiamo parlando di poche centinaia di posti di lavoro a fronte di circa 10 milioni di posti attualmente sostenuti dalle esportazioni, eppure messi a rischio dalle politiche di Trump. Se dunque stiamo ragionando di una seria guerra commerciale, stiamo parlando di migliaia di perdite di posti di lavoro della dimensione della Harley-Davidson. Persino Trump non può twittare a sufficienza la sua rabbia per fare alcunché in guai di quella dimensione.

Cosa hanno dunque da dire gli economisti di Trump su tutto questo? Una risposta potrebbe essere: quali economisti? A fatica ce n’è rimasto qualcuno nella sua Amministrazione. Ma per quello che vale, Kevin Hasset, il Presidente del Comitato dei Consulenti Economici, non sta convalidando quella sciocchezza: ne sta esternando una completamente diversa. Invece di condannare la mossa della Harley, egli dichiara che è irrilevante, considerato “il massiccio incremento di attività in ingresso” grazie al taglio fiscale sulle società.

Sarebbe grazioso se fosse vero. Ma in realtà, non stiamo assistendo a grandi quantità di “attività in ingresso”, stiamo assistendo a manovre contabili che trasferiscono le azioni delle società dalle sussidiarie estere alla società madre, ma in generale “non producono alcuna reale attività economica” [1].

Ci si rifletta. Immaginate di essere Xi Jinping, il Presidente cinese, che sta già dicendo ai dirigenti delle società multinazionali che sta programmando di “restituire il colpo” contro le tariffe di Trump. Come vi sentireste nel vedere Trump strepitare per poche centinaia di posti di lavoro probabilmente perduti a fronte delle ritorsioni europee? Certamente lo spettacolo vi spingerebbe a prendere una linea dura: se una tale piccola puntura di spillo turba tanto Trump, ci sono probabilità molto forti che egli sgranerà gli occhi a fronte di uno scontro reale.

Dunque, la storia della Harley, per quanto di modeste dimensioni, può dirci molto sulle cose in arrivo. E niente di quello che ci dice è positivo.

 

 

 

 

 

 

[1] La citazione è da un interessante articolo di Howard Gleckman su Tax Vox.

 

 

 

 

 

 

 

 

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