Aug. 27, 2018
By Paul Krugman
Soon after the fall of the Berlin Wall, a friend of mine — an expert on international relations — made a joke: “Now that Eastern Europe is free from the alien ideology of Communism, it can return to its true historical path — fascism.” Even at the time, his quip had a real edge.
And as of 2018 it hardly seems like a joke at all. What Freedom House calls illiberalism is on the rise across Eastern Europe. This includes Poland and Hungary, both still members of the European Union, in which democracy as we normally understand it is already dead.
In both countries the ruling parties — Law and Justice in Poland, Fidesz in Hungary — have established regimes that maintain the forms of popular elections, but have destroyed the independence of the judiciary, suppressed freedom of the press, institutionalized large-scale corruption and effectively delegitimized dissent. The result seems likely to be one-party rule for the foreseeable future.
And it could all too easily happen here. There was a time, not long ago, when people used to say that our democratic norms, our proud history of freedom, would protect us from such a slide into tyranny. In fact, some people still say that. But believing such a thing today requires willful blindness. The fact is that the Republican Party is ready, even eager, to become an American version of Law and Justice or Fidesz, exploiting its current political power to lock in permanent rule.
Just look at what has been happening at the state level.
In North Carolina, after a Democrat won the governorship, Republicans used the incumbent’s final days to pass legislation stripping the governor’s office of much of its power.
In Georgia, Republicans tried to use transparently phony concerns about access for disabled voters to close most of the polling places in a mainly black district.
In West Virginia, Republican legislators exploited complaints about excessive spending to impeach the entire State Supreme Court and replace it with party loyalists.
And these are just the cases that have received national attention. There are surely scores if not hundreds of similar stories across the nation. What all of them reflect is the reality that the modern G.O.P. feels no allegiance to democratic ideals; it will do whatever it thinks it can get away with to entrench its power.
What about developments at the national level? That’s where things get really scary. We’re currently sitting on a knife edge. If we fall off it in the wrong direction — specifically, if Republicans retain control of both houses of Congress in November — we will become another Poland or Hungary faster than you can imagine.
This week Axios created a bit of a stir with a scoop about a spreadsheet circulating among Republicans in Congress, listing investigations they think Democrats are likely to carry out if they take the House. The thing about the list is that every item on it — starting with Donald Trump’s tax returns — is something that obviously should be investigated, and would have been investigated under any other president. But the people circulating the document simply take it for granted that Republicans won’t address any of these issues: Party loyalty will prevail over constitutional responsibility.
Many Trump critics celebrated last week’s legal developments, taking the Manafort conviction and the Cohen guilty plea as signs that the walls may finally be closing in on the lawbreaker in chief. But I felt a sense of deepened dread as I watched the Republican reaction: Faced with undeniable evidence of Trump’s thuggishness, his party closed ranks around him more tightly than ever.
A year ago it seemed possible that there might be limits to the party’s complicity, that there would come a point where at least a few representatives or senators would say, no more. Now it’s clear that there are no limits: They’ll do whatever it takes to defend Trump and consolidate power.
This goes even for politicians who once seemed to have some principles. Senator Susan Collins of Maine was a voice of independence in the health care debate; now she sees no problem with having a president who’s an unindicted co-conspirator appoint a Supreme Court justice who believes that presidents are immune from prosecution. Senator Lindsey Graham denounced Trump in 2016, and until recently seemed to be standing up against the idea of firing the attorney general to kill the Mueller investigation; now he’s signaled that he’s O.K. with such a firing.
But why is America, the birthplace of democracy, so close to following the lead of other countries that have recently destroyed it?
Don’t tell me about “economic anxiety.” That’s not what happened in Poland, which grew steadily through the financial crisis and its aftermath. And it’s not what happened here in 2016: Study after study has found that racial resentment, not economic distress, drove Trump voters.
The point is that we’re suffering from the same disease — white nationalism run wild — that has already effectively killed democracy in some other Western nations. And we’re very, very close to the point of no return.
Perché può accadere anche qua, di Paul Krugman
New York Times 27 agosto 2018
Subito dopo la caduta del Muro di Berlino, un mio amico – un esperto di relazioni internazionali – scherzava: “Ora che l’Europa dell’Est si è liberata dall’estranea ideologia del comunismo, può tornare al suo indirizzo tradizionale – il fascismo”. Anche all’epoca, la sua battuta aveva una effettiva perspicacia.
E con il 2018 essa non sembra affatto una battuta. Quello che Freedom House definisce illiberalismo è in crescita in tutta l’Europa Orientale. Il fenomeno include la Polonia e l’Ungheria, entrambi ancora membri dell’Unione Europea, nei quali la democrazia come normalmente la intendiamo è già morta.
In entrambi i paesi i partiti al potere – ‘Legge e Giustizia’ in Polonia e ‘Fidesz’ in Ungheria – hanno stabilito regimi che mantengono la forma delle elezioni popolari, ma hanno distrutto l’indipendenza del potere giudiziario, soppresso la libertà di stampa, istituzionalizzato una corruzione su larga scala ed efficacemente delegittimato il dissenso. Sembra probabile che il risultato sia un partito unico al potere nell’immediato futuro.
E potrebbe accadere anche qua, anche troppo facilmente. C’era un periodo, non molto tempo fa, nel quale le persone erano solite dire che le nostre regole democratiche, la nostra orgogliosa storia di libertà, ci avrebbero protetto da un tale scivolamento nella tirannia. Di fatto, alcuni continuano a dirlo. Ma credere una cosa del genere al giorno d’oggi richiederebbe una cecità caparbia. Il fatto è che il Partito Repubblicano è pronto, persino desideroso, di diventare una versione americana di ‘Legge e Giustizia’ o di Fidesz, sfruttando il suo attuale potere politico per insediarsi al comando in permanenza.
Si guardi a quello che sta accadendo al livello degli Stati.
Nella Carolina del Nord, dopo che un democratico si è aggiudicato il Governatorato, i repubblicani hanno utilizzato i giorni finali del loro esponente in carica per approvare una legislazione che spoglia gran parte dell’ufficio del Governatore del suo potere.
In Georgia, i repubblicani hanno cercato di usare preoccupazioni chiaramente clientelari sull’accesso al voto dei disabili per chiudere la maggioranza dei seggi elettorali in un distretto fondamentalmente composto da gente di colore.
Nella Virginia Occidentale, i legislatori repubblicani hanno sfruttato lamentele per una spesa eccessiva per mettere in stato di accusa l’intera Corte Suprema dello Stato e sostituirla con sostenitori del loro partito.
E questi sono soltanto i casi che hanno ricevuto una attenzione nazionale. Ci sono sicuramente molte storie simili in giro per il paese, se non proprio centinaia. Quello che tutte testimoniano è la realtà dell’odierno Partito Repubblicano che non sente alcuna lealtà verso gli ideali democratici; esso farà qualsiasi cosa con cui pensa di ottenere lo scopo di consolidare il suo potere.
Che dire degli sviluppi al livello nazionale? Ovvero, laddove le cose stanno diventando davvero paurose. In questo momento siamo seduti su una lama di coltello. Se cadiamo da lì nella direzione sbagliata – in particolare, se i repubblicani mantengono il controllo di entrambi i rami del Congresso a novembre – diventeremo un’altra Polonia o Ungheria più rapidamente di quanto ci si possa immaginare.
Questa settimana Axios [1] ha provocato un po’ di trambusto con uno scoop su tabulati in circolazione presso i repubblicani del Congresso, con liste di indagini che è probabile che i democratici effettueranno se conquistano la Camera dei Rappresentanti. Il punto con queste liste è che tutte le voci che contengono – a partire dai versamenti fiscali di Donald Trump – sono cose che ovviamente dovrebbero essere oggetto di indagine, e sarebbero state indagate presso qualsiasi altro Presidente. Ma le persone che mettono in circolazione il documento semplicemente considerano garantito che i repubblicani non affronteranno nessuno di questi temi; la fedeltà al partito prevarrà sulla responsabilità costituzionale.
Molti critici di Trump hanno accolto con favore gli sviluppi legali della settimana scorsa, considerando la condanna di Manafort e l’ammissione di colpevolezza di Cohen come segni che i problemi stanno finalmente venendo al pettine per il trasgressore in capo. Ma ho provato un senso di più profonda paura quando ho osservato la reazione repubblicana: di fronte alla innegabile prova della criminosità di Trump, il suo partito ha stretto i ranghi attorno a lui più strettamente che mai.
Un anno fa sembrava possibile che ci potessero essere dei limiti alla complicità del partito, che sarebbe venuto un momento nel quale almeno pochi congressisti o senatori avrebbero detto, basta. Ora è chiaro che non ci sono limiti: faranno tutto quello che serve per difendere Trump e consolidare il potere.
Questo vale persino per i politici che un tempo sembrava avessero qualche principio. La Senatrice Susan Collins del Maine era una voce indipendente nel dibattito sulla assistenza sanitaria; adesso ella non vede alcun problema ad avere un Presidente, che è un componente non posto in stato di accusa di una cospirazione, che nomina un giudice alla Corte Suprema che crede che i Presidenti non siano perseguibili. Il Senatore Lindsey Graham denunciò Trump nel 2016 e sino al periodo più recente sembrava prendere posizione contro l’idea di licenziare il Procuratore Generale per eliminare l’indagine di Mueller; adesso viene segnalato che con tale licenziamento è perfettamente d’accordo.
Ma perché l’America, luogo di nascita della democrazia, è così vicina ad andar dietro alla guida di altri paesi che l’hanno recentemente distrutta?
Non parlatemi di uno “stato di ansia per l’economia”. Non è quello che è accaduto in Polonia, che è cresciuta regolarmente attraversando la crisi finanziaria e le sue conseguenze. E non è quello che accadde da noi nel 2016: uno studio dietro l’altro ha messo in evidenza che è stato il pregiudizio razziale, non la preoccupazione per l’economia, a guidare gli elettori di Trump.
Il punto è che stiamo soffrendo della stessa malattia – il nazionalismo bianco dilaga – che di fatto ha già liquidato la democrazia in alcune altre nazioni dell’Occidente. E siamo davvero molto vicini al punto di non ritorno.
[1] Un sito web americano di notizie e analisi fondato nel 2016.
By mm
E' possibile commentare l'articolo nell'area "Commenti del Mese"