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Il debito non cresce a dismisura, (dal blog di Paul Krugman, 11 settembre 2018)

 

Sept. 11, 2018

On the Debt Non-Spiral

By Paul Krugman

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The debate between Joe Stiglitz and Larry Summers over secular stagnation is a somewhat embarrassing affair, which I hope will soon be forgotten. Joe, one of our greatest living economists, seems to have misunderstood what secular stagnation means – which is, to be fair, easy given how unintuitive the term is. And he accused Larry of inventing the doctrine to justify the Obama administration’s policy shortfalls.

Urk. Secular stagnation means that situations like 2008-16, in which monetary policy alone can’t restore full employment, should be seen as highly likely and maybe the norm. It doesn’t say that no policies can promote growth and employment. On the contrary, it’s a justification for more policy activism, especially on the fiscal front, not less – which is exactly what Larry has been saying.

And it’s hardly an excuse for Obama-era failures. I spent 2009-10 screaming that the stimulus was inadequate, precisely because I didn’t expect the slump to be rapidly self-correcting; I based this lack of faith partly on the tendency of financial crises to have long shadows, but I also simultaneously and independently arrived at the same secular stagnation conclusions as Larry did.

So can we just chalk this one up to communication problems, and let it go? And can we talk about more interesting implications of the economy’s apparent need for low real interest rates on average?

One implication, which I and others have pushed, is that the underlying case for a 2 percent inflation target is all wrong. That case rested in large part on the belief that at 2 percent inflation, zero-lower-bound episodes would be rare and transitory. That has clearly proved not to be the case, which makes the argument for a higher target so that real rates can go lower when bad things happen.

Another implication, which I don’t think has gotten enough attention, is that there is even less reason than before to obsess over government debt.

The usual scare story about debt warns about a debt spiral: deficits mean higher debt, which means higher interest payments, which means bigger deficits, which means faster growth in debt, and so on until confidence collapses. But this kind of debt spiral can only happen if the interest rate on the debt is higher than the economy’s growth rate.

And this hasn’t been true for a while. Here’s the average interest rate paid on federal debt:

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Federal Reserve Bank of St. Louis

These days that rate is well below 3 percent even when the economy is near full employment. Meanwhile, we think the U.S. economy has an underlying growth rate of maybe 2 percent, plus 2 percent inflation – which means 4 percent nominal growth.

What this means is that debt doesn’t spiral. On the contrary, it tends to fall as a share of GDP unless the government runs large primary deficits.

I’m not saying that we shouldn’t worry about debt at all, because there may be future contingencies when real interest rates rise and debt becomes an issue. But debt is way, way down on the list of things to worry about – absolutely trivial compared with, say, crumbling infrastructure, which should be fixed without worrying about paying as you go.

 

Il debito non cresce a dismisura,

di Paul Krugman

Il dibattito tra Joe Stiglitz e Larry Summers sulla stagnazione secolare è una faccenda in qualche modo imbarazzante, che io spero sarà presto dimenticata. Joe, uno dei nostri più importanti economisti viventi, sembra aver frainteso il significato della stagnazione secolare – la qual cosa è, ad esser giusti, facile considerato quanto sia una espressione non intuitiva. Ed ha accusato Larry di essersi inventato quella dottrina per giustificare gli insuccessi politici della Amministrazione Obama.

Per la miseria! La stagnazione secolare significa che situazioni come quelle del periodo 2008-2016, nelle quali la politica monetaria da sola non può ripristinare la piena occupazione, dovrebbe essere considerate come altamente probabili, se non come la norma. Questo non significa che nessuna politica possa promuovere crescita e occupazione. Al contrario, è una giustificazione per una maggiore e non minore iniziativa politica, soprattutto sul fronte della finanza pubblica – che è quanto Larry viene dicendo.

E non costituisce certo una scusante per gli insuccessi dell’epoca di Obama. Ho speso il 2009 e il 2010 strepitando che lo stimolo era inadeguato, precisamente perché non mi aspettavo che la recessione si correggesse rapidamente; basavo questa scarsa fiducia in parte sulla tendenza delle crisi finanziarie a lasciare lunghe ombre, ma contemporaneamente e per mio conto arrivavo alle stesse conclusioni di Larry.

Possiamo dunque ascrivere tutto questo ai problemi della comunicazione, e lasciar perdere? E possiamo parlare delle più interessanti implicazioni per l’apparente bisogno dell’economia di tassi di interesse reali in media bassi?

Una implicazione, che assieme ad altri ho avanzato, è che l’implicito argomento per un obbiettivo di inflazione al 2 per cento è completamente sbagliato. Quella tesi si basava in larga parte sul convincimento che con una inflazione al 2 per cento, gli episodi di tassi di interesse al livello inferiore dello zero sarebbero stati rari e transitori. Ma quello si è ampiamente dimostrato non essere il caso, il che rafforza l’argomento per un obbiettivo più elevato, in modo che i tassi reali possano scendere quando si delineano situazioni negative.

Un’altra implicazione, che penso non sia stata compresa a sufficienza, è che ci sono anche meno ragioni per essere ossessionati dal debito pubblico.

Il consueto racconto terribile sul debito mette in guardia dalla sua tendenza a crescere vertiginosamente: i deficit comportano un debito più alto, il che significa più elevati pagamenti sugli interessi, il che comporta deficit più grandi, il che significa una crescita più rapida del debito, e così di seguito sinché non c’è un collasso della fiducia. Ma questo genere di crescita vertiginosa del debito può accadere se il tasso di interesse sul debito è più elevato del tasso di crescita dell’economia.

E questo non è vero da un po’ di tempo. Ecco il tasso di medio di interesse pagato sul debito federale.

 

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  Federal Reserve, Banca di St. Louis

 

In questi giorni quel tasso è molto inferiore al 3 per cento, pur essendo l’economia vicina alla piena occupazione. Nello stesso tempo, pensiamo che l’economia statunitense abbia un sottostante tasso di crescita di circa il 2 per cento, più un 2 per cento di inflazione – il che significa un 4 per cento di crescita nominale.

Quello che questo comporta è che il debito non cresce a dismisura. Al contrario, esso scende come percentuale del PIL, a meno che il Governo non gestisca ampi deficit primari.

Non sto sostenendo che non dovremmo preoccuparci affatto del debito, giacché ci possono essere contingenze future allorché i tassi di interesse crescono e il debito diventa un problema. Ma il debito è del tutto in fondo alla lista delle cose di cui preoccuparci – del tutto irrilevante al confronto, ad esempio, con le infrastrutture fatiscenti, che dovrebbero essere rinnovate senza preoccuparsi, nel mentre lo si fa, di come pagarle.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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