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Il Partito senza idee, di Paul Krugman (New York Times 24 settembre 2018)

 

Sept. 24 2018

The Party of No Ideas

By Paul Krugman

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Democrats will almost certainly receive more votes than Republicans in the midterm elections. But gerrymandering and other factors have severely tilted the playing field, so they would need to win the popular vote by a wide margin to retake the House, and a huge margin to retake the Senate. I don’t know how it will turn out — or what will happen to the perceived legitimacy of the federal government if all three branches are controlled by people the voters rejected. Neither does anyone else.

One thing we do know, however, is that Republicans have decisively lost the battle of ideas. All of their major policy moves, on health care, taxes and tariffs, are playing badly with voters.

In fact, Republican policies are so unpopular that the party’s candidates are barely trying to sell them. Instead, they’re pretending to stand for things they actually don’t — like protecting health coverage for Americans with pre-existing conditions — or trying to distract voters with culture war and appeals to white racial identity. The G.O.P. has become the party of no ideas.

Start with health care. Not that long ago attacks on Obamacare were a winning tactic for the G.O.P., but last year’s attempt to repeal the Affordable Care Act seems to have concentrated the public’s mind, making many people aware of how much they might lose if it went away. Public support for the act is near all-time highs, with many now saying that the law didn’t go far enough — and Democrats have a large lead as the party that’s better on health care as an issue.

Then there’s taxes. The last time Republicans rammed through big tax cuts, under George W. Bush, they were fairly popular. And the party’s leaders seem to have imagined that the same would be true now. “If we can’t sell this to the American people, we ought to go into another line of work,” declared Mitch McConnell, the Senate majority leader, last December.

Have they sent out their job applications? Because the American people aren’t buying. A few weeks ago an internal G.O.P. survey found that “we’ve lost the messaging battle” on the legislation, with voters overwhelmingly believing that the tax cuts went to corporations and the rich, and many worried that increased deficits will endanger Social Security and Medicare.

Finally, there’s the Donald Trump twist — the one area where he is somewhat at odds with G.O.P. orthodoxy: His economic nationalism, embodied in a rapidly expanding set of import tariffs.

After the 2016 election, many commentators argued that Trump’s Electoral College win reflected a backlash against globalization. And that suggested that his protectionist turn might prove popular. But it hasn’t.

Specifically, trade war is causing Republicans considerable grief in farm country. Meanwhile, tariffs appear to be unpopular in industrial states, too. In fact, it’s hard to find any large group that likes Trump’s trade policy.

Why are Republican policy ideas falling so flat? At one level, the answer is obvious: G.O.P. policies are unpopular because they hurt far more Americans than they help. Why should anyone expect cutting taxes on the rich while taking health care away from the sick to be popular?

The question is why such policies were ever popular. The answer, I think, is that in the past, voters didn’t see the connections.

When Bush pushed through his tax cut, we had a budget surplus, so it wasn’t clear to voters that less revenue might mean cuts to programs they count on. When you push through big tax cuts in the face of a budget deficit — and when your own party has spent years warning about imminent fiscal doom and demanding spending cuts — the implications are more obvious.

In the case of health care, it was a lot easier to peddle scare stories about Obamacare before it went into effect, insuring tens of millions, than it is to defend taking away coverage people already have.

And Trump’s tariffs suffer politically because some Americans are already being hurt, while the supposed beneficiaries have good reason to doubt whether they will be helped. In fact, even as Trump boasts that his steel tariffs have revived the industry, two major steelworker unions have voted to go on strike — because while corporate profits have surged, workers’ wages haven’t.

In short, the American public seems to have wised up; voters seem to have recognized the G.O.P.’s reverse Robin Hood agenda of taking from ordinary families and giving to the rich for what it is.

Of course, Republicans aren’t giving up. If they can’t win on the issues, they’ll try to win on something else — and we know what that something else is. Across America, voters are being barraged with Republican ads showing scary dark people. In Texas, Ted Cruz thinks even a clip of Beto O’Rourke saying perfectly reasonable things to black churchgoers will help his flailing campaign.

And it might work. After all, studies of the 2016 election clearly show that racial resentment, not “economic anxiety,” was what put Trump over the top.

But if the G.O.P. does win, it will have won very, very ugly. And American politics will become even worse.

 

Il Partito senza idee,

di Paul Krugman

Nelle elezioni di medio termine i democratici riceveranno certamente più voti dei repubblicani. Ma l’organizzazione truffaldina dei distretti elettorali e altri fattori hanno gravemente fatto pendere il campo da gioco, cosicché essi dovrebbero aggiudicarsi il voto popolare con un ampio margine per riprendere il controllo della Camera dei Rappresentanti e con un margine molto vasto per riconquistare il Senato. Non so come andrà a finire – o cosa accadrà alla percezione di legittimità del Governo Federale se tutti e tre i rami saranno controllati da persone che gli elettori hanno respinto. Nessuno lo sa.

Una cosa che in effetti sappiamo, tuttavia, è che i repubblicani hanno perduto una volta per tutte la battaglia delle idee. Tutte le loro principali iniziative politiche, sull’assistenza sanitaria, sulle tasse e sulle tariffe, non convincono gli elettori.

Di fatto, le politiche repubblicane sono così impopolari che i candidati del partito non si sforzano neanche di farle accettare agli elettori. Fingono, piuttosto, di battersi per cose che non vogliono – come proteggere l’assicurazione sanitaria per gli americani con patologie sanitarie preesistenti – oppure cercano di distrarre gli elettori con una cultura bellicosa e con appelli alla identità razziale dei bianchi. Il Partito Repubblicano è diventato un partito senza idee. Partiamo dalla assistenza sanitaria. Non molto tempo fa, gli attacchi sulla riforma di Obama furono una tattica vincente per i repubblicani, ma il tentativo dell’anno passato di abrogare la Legge sulla Assistenza Sostenibile sembra aver focalizzato l’intelligenza dell’opinione pubblica, rendendo molte persone consapevoli di quanto potevano perdere se esso fosse stato messo in atto. Il sostegno pubblico per la legge è vicino ai massimi storici, e molti adesso dicono che la legge non è andata avanti abbastanza – e i democratici hanno un ampio vantaggio dato che sono il partito che dà più importanza al tema della assistenza sanitaria.

Poi ci sono le tasse. L’ultima volta che i repubblicani imposero forti tagli alle tasse, sotto George W. Bush, erano discretamente popolari. E i dirigenti del partito sembra si siano immaginati che adesso sarebbe accaduto lo stesso. “Se con questo non saremo capaci di convincere gli americani, allora dovremo indirizzarci su un altro settore di lavoro”, dichiarò lo scorso dicembre Mitch McConnell, il leader della maggioranza al Senato.

Hanno spedito la loro domanda di impiego? Perché il popolo americano non l’ha bevuta. Poche settimane fa un sondaggio interno al Partito Repubblicano scoprì che “a(vevano) perso la loro battaglia di comunicazione” sulla legge, dato che gli elettori credevano in modo schiacciante che i tagli alle tasse andavano alle società ed ai ricchi, e molti erano preoccupati che i deficit accresciuti avrebbero messo in pericolo la Previdenza Sociale e Medicare.

Ci sono infine le contorsioni di Donald Trump – l’unica area nella quale è in qualche modo agli antipodi dell’ortodossia repubblicana: il suo nazionalismo economico, incarnato in un complesso di tariffe sulle importazioni in rapida espansione.

Dopo le elezioni del 2016, molti commentatori sostennero che la vittoria di Trump nel Collegio Elettorale [1] era stato il riflesso di un contraccolpo contro la globalizzazione. E che indicava che la sua svolta protezionista si sarebbe dimostrata popolare. Ma non è così.

In particolare, la guerra commerciale sta provocando tra i repubblicani un notevole problema nelle regioni agricole americane. Contemporaneamente, le tariffe sembrano impopolari anche negli Stati industriali. Di fatto, è difficile trovare qualche ampio gruppo che sia favorevole alla politica commerciale di Trump.

Perché le idee politiche repubblicane falliscono così miseramente? In un certo senso, la risposta è evidente: le politiche del Partito Repubblicano sono impopolari perché colpiscono molti più americani di quelli che aiutano. Perché ci si dovrebbe aspettare che i tagli alle tasse sui ricchi mentre si toglie l’assistenza sanitaria agli ammalati siano popolari?

La domanda è perché tali politiche siano mai state popolari. Penso che la risposta sia che nel passato gli elettori non vedevano le connessioni.

Quando Bush fece approvare i suoi tagli alle tasse, avevamo un bilancio in attivo, dunque non era chiaro per gli elettori che meno entrate potevano significare tagli ai programmi sui quali contavano. Quando si impongono grandi tagli alle tasse a fronte di un deficit di bilancio – e quando il vostro stesso partito ha messo in guardia per anni su un imminente andamento rovinoso della finanza pubblica chiedendo tagli alle spese – le implicazioni sono più evidenti.

Nel caso della assistenza sanitaria, era molto più facile mettere in circolazione racconti terribili sulla riforma di Obama prima che entrasse in funzione, dando l’assicurazione a milioni di persone, che non affermare che essa serve a difendere le persone dalla perdita di una assicurazione che hanno già.

E le tariffe di Trump sono politicamente in sofferenza perché alcuni americani già vengono danneggiati, nel mentre i presunti beneficiari hanno buone ragioni per dubitare che mai ci troveranno giovamento. Di fatto, anche se Trump si vanta che le sue tariffe sull’acciaio hanno rivitalizzato l’industria, due importanti sindacati dei lavoratori dell’acciaio hanno votato per entrare in sciopero – dato che mentre i profitti delle società sono saliti, i salari dei lavoratori sono rimasti stagnanti.

In breve, l’opinione pubblica americana sembra rinsavita; gli elettori sembrano aver riconosciuto per quello che è il programma del Partito Repubblicano che, all’opposto di quello di Robin Hood, sottrae alle famiglie ordinarie e regala ai ricchi.

Ovviamente, i repubblicani non si danno per vinti. Se non possono vincere su tali temi, cercheranno di vincere su qualcos’altro – e sappiamo cosa sia quel qualcos’altro. Dappertutto in America gli elettori sono sottoposti ad un fuoco di fila della propaganda repubblicana che mostra spaventosa gente di colore. In Texas, Ted Cruz ritiene che persino un video di Beto O’Rourke che dice cose perfettamente ragionevoli a persone di colore che vanno regolarmente in chiesa, aiuterà la sua agitata campagna elettorale.

E potrebbe funzionare. Dopo tutto, gli studi sulle elezioni del 2016 mostrano chiaramente che i sentimenti razzisti, non “l’ansietà economica”, furono il fattore che collocò Trump alla Casa Bianca.

Ma se il Partito Repubblicano vince, l’avrà vinta in modo davvero molto sgradevole. E la politica americana diventerà persino peggiore.

 

 

 

 

 

 

[1] Ovvero nella Assemblea che viene eletta con il voto popolare e che è delegata alla effettiva nomina del Presidente. In realtà, di solito, la nomina del Presidente – almeno per i media – la si deduce direttamente dai risultati delle elezioni, giacché coloro che sono eletti nel Collegio Elettorale non sono altri che i sostenitori dei due principali candidati. E, in effetti, di norma la elezione formale del Presidente è un passaggio burocratico e molto rapido, che passa quasi inosservato. Ma, nella storia, ci sono anche stati casi nei quali il voto del Collegio non è stato così scontato.

 

 

 

 

 

 

 

 

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