Aug. 30, 2018
By Paul Krugman
“What’s in a name?” asked Shakespeare. But hey, I’m an economist, so let me ask a somewhat different question: What’s in a number?
Quite a lot, suggest Senators Chuck Schumer and Martin Heinrich. This week they introduced a bill that would direct the Bureau of Economic Analysis, which produces estimates of gross domestic product, to produce estimates telling us who benefits from growth — for example, how much is going to the middle class.
This is a really good idea.
Now, I’m not one of those people who think G.D.P. is a terribly flawed or useless statistic. It’s a number we need for many purposes. But on its own it isn’t an adequate measure of economic success.
There are a number of reasons this is true, but one key issue is that it tells you only what’s happening to average income, which isn’t always relevant to how most people live. If Jeff Bezos walks into a bar, the average wealth of the bar’s patrons suddenly shoots up to several billion dollars — but none of the non-Bezos drinkers have gotten any richer.
There was a time when asking who benefits from economic growth didn’t seem urgent, because income was rising steadily for just about everyone. Since the 1970s, however, the link between overall growth and individual incomes seems to have been broken for many Americans. On one side, wages have stagnated for many; adjusted for inflation, the median male worker earns less now than he did in 1979. On the other side, some have seen their incomes grow much faster than the income of the nation as a whole. Thus C.E.O.s at the largest companies now make 270 times as much as the average worker, up from 27 times as much in 1980.
A similar disconnect between overall growth and individual experience seems to lie behind the public’s lack of enthusiasm for the current state of the economy and its disdain for the 2017 tax cut. G.D.P. numbers have been good in recent quarters, but much of the growth has gone to soaring corporate profits, while median real wages have gone nowhere.
But how do facts like these fit into the overall story of economic growth? To answer this question, we need “distributional national accounts” that track how growth is allocated among different segments of the population.
Producing such accounts is hard but not impossible. In fact, the economists Thomas Piketty, Emmanuel Saez and Gabriel Zucman have already produced estimated accounts with considerable detail over the past half century. The main message is one of growth going disproportionately to the top and not shared with the bottom half of the population, but there are also some surprises in the other direction. For example, the middle class, while still lagging, has done better than some common measures indicated thanks to fringe benefits.
But there’s a big difference between estimates produced by independent economists and regular reports from the U.S. government, both because the government has the resources to do the job more easily, and because people (and politicians) will pay more attention. That’s why the Washington Center for Equitable Growth, a progressive think tank, has been campaigning for something like the Schumer-Heinrich bill.
So why not do this?
Some might argue that creating distributional accounts is tricky, that it requires making some educated guesses about how to pool different sources of information. But that’s true of the process used to create existing national accounts, including estimates of G.D.P., too! Economic numbers don’t have to be perfect or above all criticism to be extremely useful.
In a reasonable world, then, something like the Schumer-Heinrich bill would become law in the near future. In the real world, of course, the proposal will go nowhere for the time being — because Republicans don’t want anyone to know what distributional national accounts might reveal.
By now everyone knows that conservatives routinely yell “socialist!” whenever anyone proposes doing something to help less fortunate members of our society — which is a key reason so many Americans now think favorably of socialism: If guaranteed health care is socialism, bring it on. But the right doesn’t just cry foul at any attempt to limit inequality; it does the same thing whenever anyone tries to talk about economic class, or measure how different classes are faring.
My favorite example here is still former senator Rick Santorum, who denounced the term “middle class” as “Marxism talk.” But that was just an especially ludicrous version of a general attempt on the right to suppress talk about and research into where the economy’s money goes. The G.O.P.’s basic position is that what you don’t know can’t hurt it.
And to be fair, progressives like the idea of distributional accounts in part because they believe that more knowledge in this area would help their own cause. But here’s the thing: Knowledge is objectively better than ignorance. And in modern America, knowing who actually benefits from economic growth is really, truly important. So let’s make finding that out, and disseminating the results, part of the government’s job.
Per chi cresce l’economia? Di Paul Krugman
New York Times 30 agosto 2018
“Cosa c’è in un nome?”, chiedeva Shakespeare. Ma va detto che io sono un economista, dunque lasciatemi porre una domanda un po’ diversa: cosa c’è in un numero?
C’è parecchio, suggeriscono i Senatori Chuck Schumer e Martin Heinrich. Questa settimana hanno presentato una proposta di legge che indirizzerebbe l’Ufficio di Analisi Economica, che produce stime del prodotto interno lordo, a farne altre che ci dicano chi trae vantaggio dalla crescita – ad esempio, quanto di essa sta andando alla classe media.
Questa è realmente una buona idea.
Ora, io non sono tra coloro che pensano che il PIL sia una statistica terribilmente difettosa o inutile. È un dato di cui abbiamo bisogno per molti scopi. Ma di per sé non è una misura adeguata del successo economico.
Ci sono un certo numero di ragioni per questo, ma una questione fondamentale è che essa rivela soltanto quello che sta accadendo al reddito medi0, il che non è sempre rilevante per come vive la maggioranza delle persone. Se Jeff Bezos entra in un bar, la ricchezza media dei frequentatori del bar sale all’improvviso a svariati milioni di dollari, senza che i clienti che non sono Bezos siano diventati in alcun modo più ricchi.
C’era un tempo nel quale chiedere chi si avvantaggia dalla crescita dell’economia non sembrava urgente, dato che il reddito cresceva regolarmente per quasi tutti. A partire dagli anni ’70, tuttavia, la relazione tra la crescita complessiva e i redditi individuali sembra si sia interrotta per molti americani. Da una parte, in molti casi i salari hanno ristagnato; corretti per l’inflazione, il lavoratore mediano [1] americano guadagna meno oggi che nel 1979. D’altra parte, alcuni hanno visto i loro redditi crescere molto più rapidamente del reddito della nazione nel suo complesso. Quindi, gli amministratori delle più grandi società americane oggi guadagnano 270 volte il salario di un lavoratore medio, rispetto alle 27 volte del 1980.
Una disconnessione analoga tra crescita complessiva ed esperienza individuale sembra sia alla base della mancanza di entusiasmo dell’opinione pubblica per la condizione attuale dell’economia e del suo disprezzo per i tagli alle tasse del 2017. Nei recenti trimestri i dati del PIL sono stati positivi, ma gran parte della crescita è andata ai profitti delle società che sono schizzati in alto, mentre i salari mediani reali sono rimasti fermi.
Ma come si collocano questi fatti nel racconto generale della crescita dell’economia? Per rispondere a questa domanda abbiamo bisogno della “contabilità nazionale distributiva”, che indica come la crescita si distribuisce tra i differenti segmenti della popolazione.
Produrre tali dati è difficile ma non impossibile. Di fatto, gli economisti Thomas Piketty, Emmanuel Saez e Gabriel Zucman hanno già prodotto una stima di tale contabilità relativa all’ultimo mezzo secolo [2], con rilevante dettaglio. Il messaggio principale è quello di una crescita che finisce in modo sproporzionato i più ricchi e che non viene condivisa dalla metà non ricca della popolazione, ma ci sono anche alcune sorprese di segno diverso. Ad esempio, la classe media, se ancora resta indietro, ha fatto meglio di quanto non indicavano alcune comuni misurazioni, grazie alle indennità accessorie.
Ma c’è una grande differenza tra le stime prodotte da economisti indipendenti e i rapporti ufficiali del Governo statunitense, sia perché il Governo ha le risorse per fare quel lavoro più facilmente, sia perché la popolazione (ed i politici) ci presterebbero maggiore attenzione. Che è la ragione per la quale il Centro di Washington per una Crescita Equa, un centro di ricerche progressista, sta facendo una campagna a favore di qualcosa di simile alla proposta di legge Schumer-Heinrich.
Perché non farlo, dunque?
Alcuni potrebbero sostenere che creare questa contabilità della distribuzione sia complicato, che essa richiede che si facciano stime ragionate su come mettere in comune diverse fonti di informazione. Ma questo è vero anche per il processo per creare l’esistente contabilità nazionale, incluse le stime del PIL! I dati economici non devono essere perfetti o indenni da critiche per essere estremamente utili.
Quindi, in un mondo ragionevole qualcosa come la proposta Schumer-Heinrich dovrebbe diventare legge in un prossimo futuro. Nel mondo reale, ovviamente, la proposta non andrà da nessuna parte al momento presente – perché i repubblicani non vogliono che nessuno sappia quello che una contabilità nazionale sulla distribuzione del reddito potrebbe rivelare.
Tutti già sanno che i conservatori regolarmente strepitano al “socialismo!” ogni qualvolta qualcuno propone di fare qualcosa per aiutare i membri meno fortunati della nostra società – che è la ragione principale per la quale adesso molti americani cominciano a ragionare con favore del socialismo: se l’assistenza sanitaria garantita è socialismo, perché no? Ma la destra non solo grida allo scandalo ad ogni tentativo di limitare l’ineguaglianza; fa lo stesso ogni volta che qualcuno cerca di ragionare di classi economiche, o di misurare come le diverse classi se la passano.
In questo caso il mio esempio favorito è ancora il passato Senatore Rick Santorum, che denunciava il termine “classe media” come “linguaggio marxista”. Ma quella era soltanto una versione particolarmente comica di un tentativo generale della destra di sopprimere ogni ragionamento e ricerca su dove vanno i soldi dell’economia. La posizione di fondo del Partito Repubblicano è che quello che non si conosce non può danneggiarlo.
E, ad essere giusti, ai progressisti in parte piace l’idea di una contabilità redistributiva perché credono che una maggiore conoscenza di questo settore aiuterà la loro stessa causa. Ma il punto è lì: la conoscenza è obiettivamente migliore dell’ignoranza. E nell’America odierna sapere chi effettivamente trae vantaggio dalla crescita economica è davvero realmente importante. Dunque, consentire che lo si conosca e pubblicare i risultati è un aspetto del lavoro del Governo.
[1] Il reddito “mediano” (“median”) di un lavoratore non è il suo reddito “medio” (“average”): il primo è il reddito di coloro che si collocano in una posizione intermedia, ovvero che si collocano grosso modo nel quinto decile dei redditi di lavoro, o nel cinquantesimo percentile, il secondo è il reddito complessivo diviso per tutti i lavoratori.
Questa tabella indica in estrema sintesi i risultati di quella ricerca, con i dati che si riferiscono ad un periodo di 34 anni. Essa mostra la crescita media annuale di tutte le categorie di reddito (cento categorie, perché divise in percentili; ogni cerchietto ne mostra uno). Come si vede, la crescita del reddito è molto superiore per i più ricchi, i cui redditi crescono in modo verticale: dal doppio sino a sei volte quella dei redditi inferiori. La crescita della media della popolazione adulta è tra l’1 e il 2 per cento. I cerchietti in rosso indicano i dati relativi ai redditi prima delle tasse, quelli in celeste i dati dopo le tasse. Tra i due valori scompare ogni differenza per le categorie più ricche, a conferma che la tassazione non produce sostanziale redistribuzione dei redditi.
By mm
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