Oct. 1, 2018
By Paul Krugman
When Matt Damon did his Brett Kavanaugh imitation on “Saturday Night Live,” you could tell that he nailed it before he said a word. It was all about the face — that sneering, rage-filled scowl. Kavanaugh didn’t sound like a judge at his Senate hearing last week, let alone a potential Supreme Court justice; he didn’t even manage to look like one.
But then again, Lindsey Graham, who went through the hearing with pretty much the same expression on his face, didn’t look much like a senator, either.
There have been many studies of the forces driving Trump support, and in particular the rage that is so pervasive a feature of the MAGA movement. What Thursday’s hearing drove home, however, was that white male rage isn’t restricted to blue-collar guys in diners. It’s also present among people who’ve done very well in life’s lottery, whom you would normally consider very much part of the elite.
In other words, hatred can go along with high income, and all too often does.
At this point there’s overwhelming evidence against the “economic anxiety” hypothesis — the notion that people voted for Donald Trump because they had been hurt by globalization. In fact, people who were doing well financially were just as likely to support Trump as people who were doing badly.
What distinguished Trump voters was, instead, racial resentment. Furthermore, this resentment was and is driven not by actual economic losses at the hands of minority groups, but by fear of losing status in a changing country, one in which the privilege of being a white man isn’t what it used to be.
And here’s the thing: It’s perfectly possible for a man to lead a comfortable, indeed enviable life by any objective standard, yet be consumed with bitterness driven by status anxiety.
You might think that this is impossible, that having a good job and a comfortable life would inoculate someone against envy and hatred. That is, you might think that if you knew nothing of human nature and the world.
I’ve spent my whole adult life in rarefied academic circles, where everyone has a good income and excellent working conditions. Yet I know many people in that world who are seething with resentment because they aren’t at Harvard or Yale, or who actually are at Harvard or Yale but are seething all the same because they haven’t received a Nobel Prize.
And this sort of high-end resentment, the anger of highly privileged people who nonetheless feel that they aren’t privileged enough or that their privileges might be eroded by social change, suffuses the modern conservative movement.
It starts, of course, at the top, with that walking, talking, golfing bundle of resentment that is Donald Trump. You might imagine that a man who lives in the White House would no longer feel the need to, for example, make false claims about his college record. But Trump still doesn’t get the respect he obviously craves.
Indeed, it seems apparent that his jihad against Barack Obama was fueled by envy: Obama was a black man who was also a class act, with all the grace and poise Trump lacks. And Trump couldn’t stand it.
Kavanaugh is clearly cut from the same cloth, and not just because he rivals Trump in his propensity for lying about matters great and small.
As a lot of reporting shows, the angry face Kavanaugh presented to the world last week wasn’t something new, brought on by the charges of past abuse. Classmates from his Yale days describe him as a belligerent heavy drinker even then. His memo to Ken Starr as he helped harass Bill Clinton — in which he declared that “it is our job to make his pattern of revolting behavior clear” — shows rage as well as cynicism.
And Kavanaugh, like Trump, is still in the habit of embellishing his academic record after all these years, declaring that he got into Yale despite having “no connections.” In fact, he was a legacy student whose grandfather went there.
Indeed, my guess is that his privileged roots are precisely why he’s so angry.
I very much ran with the nerds during my own time at Yale, but I did encounter people like Kavanaugh — hard-partying sons of privilege who counted on their connections to insulate them from any consequences from their actions, up to and including abusive behavior toward women. And that kind of elite privilege still exists.
But it’s privilege under siege. An increasingly diverse society no longer accepts the God-given right of white males from the right families to run things, and a society with many empowered, educated women is finally rejecting the droit de seigneur once granted to powerful men.
And nothing makes a man accustomed to privilege angrier than the prospect of losing some of that privilege, especially if it comes with the suggestion that people like him are subject to the same rules as the rest of us.
So what we got last week was a view into the soul of Trumpism. It’s not about “populism” — it would be hard to find a judge as anti-worker as Brett Kavanaugh. Instead, it’s about the rage of white men, upper class as well as working class, who perceive a threat to their privileged position. And that rage may destroy America as we know it.
Il raggruppamento degli uomini bianchi arrabbiati,
di Paul Krugman
Quando Matt Damon ha fatto la sua imitazione di Brett Kavanaugh a “Saturday Night Live”, si poteva dire che l’avesse azzeccata prima che aprisse bocca. L’aveva tutta sulla faccia – quel cipiglio beffardo, pieno d’ira. Kavanaugh, la scorsa settimana, non sembrava un giudice alla sua audizione al Senato, per non dire un potenziale giudice alla Corte Suprema; non si sforzava neanche di assomigliargli.
D’altronde, Lindsey Graham, passato attraverso l’audizione praticamente con la stessa espressione sulla faccia, neanche lui assomigliava granché ad un Senatore [1].
Ci sono stati molti studi sui fattori che hanno determinato il sostegno a Trump, e in particolare sulla rabbia, che è un aspetto così pervasivo del movimento MAGA [2]. Quello che l’audizione di giovedì ci ha fatto ben capire, tuttavia, è che la rabbia dei maschi bianchi non riguarda soltanto gli operai che frequentano le trattorie. È anche presente tra individui che hanno avuto soddisfazioni nella lotteria dell’esistenza, che di solito considerereste soprattutto componenti della elite.
In altre parole l’odio può andare di pari passo con i redditi elevati, e così accade anche troppo spesso.
A questo punto, c’è una prova schiacciante che smentisce l’ipotesi della “ansietà economica” – l’idea per la quale la gente votò per Trump perché era danneggiata dalla globalizzazione. Di fatto, le persone le cui finanze andavano a gonfie vele era proprio probabile che sostenessero Trump nello stesso modo di coloro che se la cavavano male.
Quello che ha distinto gli elettori di Trump è stato, piuttosto, il pregiudizio razziale. Inoltre, questo pregiudizio non è stato guidato da effettive perdite economiche a causa di gruppi minoritari, ma dalla paura di perdere il proprio status in un paese in mutamento, qualcosa per cui il privilegio di essere un uomo bianco non è più quello che era una volta.
E qua è il punto: è perfettamente possibile per un uomo condurre una esistenza confortevole, di fatto invidiabile secondo ogni criterio oggettivo, e tuttavia essere consumati da una acredine provocata da una ansietà di status.
Potreste pensare che non sia possibile, che avendo un buon posto di lavoro e una vita confortevole vaccinerebbe chiunque dall’invidia e dall’odio. Potreste pensarlo, se non sapeste niente della natura umana e del mondo.
Ho passato la mia vita da adulto in sofisticati ambienti accademici, nei quali tutti hanno un buon reddito e eccellenti condizioni di lavoro. Tuttavia conosco molta gente in quel mondo che freme di rabbia perché non ha studiato ad Harvard o a Yale, oppure che in effetti sono ad Harvard e a Yale ma fremono lo stesso di rabbia perché non hanno ricevuto un Premio Nobel.
E questa specie di risentimento esclusivo, la rabbia di individui con elevati privilegi che nondimeno sentono di non essere privilegiati abbastanza, o che i loro privilegi potrebbero essere insidiati dal cambiamento sociale, pervade il movimento conservatore moderno.
Ovviamente essa prende le mosse al vertice, con quel fascio di risentimento che cammina, dichiara e gioca a golf che è Donald Trump. Potreste immaginare, ad esempio, che un individuo che vive alla Casa Bianca non dovrebbe più sentire l’impulso a fabbricare pretese false sulle sue prestazioni universitarie. Ma Trump non ha ancora ricevuto quel rispetto che brama ardentemente.
Infatti, pare sia evidente che la sua guerra santa contro Barack Obama sia stata alimentata dall’invidia: Obama era una persona di colore e al tempo stesso un individuo eccellente, con tutta la grazia e il portamento che a Trump difetta. E Trump non può accettarlo.
Kavanaugh è evidentemente fatto della stessa stoffa, e non solo perché eguaglia Trump nella sua inclinazione a mentire su cose grandi e piccole.
Come mostrano una gran quantità di resoconti, la faccia irata che Kavanaugh ha mostrato al mondo la scorsa settimana non era qualcosa di inedito, provocato dalle accuse di abusi passati. I suoi compagni di classe dei giorni di Yale lo descrivono come un bevitore aggressivo e incallito anche allora. Il suo promemoria a Ken Starr quando dava il suo contributo a perseguitare Bill Clinton – nel quale dichiarava “è il nostro lavoro rendere chiaro il suo modello di comportamento rivoltante” – mostra rabbia oltre che cinismo.
E Kavanaugh, come Trump, dopo tutti questi anni non ha ancora perso l’abitudine di abbellire le sue prestazioni universitarie, dichiarando che era andato a Yale nonostante non avesse “nessuna relazione”. In realtà, era uno studente “ereditario”, suo nonno veniva dalla stessa Università.
In effetti, la mia impressione è che le sue radici privilegiate siano precisamente il motivo per il quale è così arrabbiato.
Durante il mio periodo a Yale frequentavo molto studenti ‘secchioni’, ma incontrai gente come Kavanaugh – figli privilegiati che se la spassavano e facevano conto sulle loro relazioni per stare al riparo dalle conseguenze delle loro azioni, sino a comprendere condotte di abuso sulle donne. E quel genere di privilegi da elite esistono ancora.
Ma si tratta di privilegi sotto assedio. Una società sempre più diversa non accetta più il diritto di origine divina dei maschi bianchi provenienti dalle famiglie giuste a fare di tutto, e una società con molte donne emancipate e istruite sta finalmente rigettando lo ius primae noctis un tempo garantito agli uomini potenti.
E niente rende più arrabbiato un uomo abituato al privilegio che la prospettiva di perdere qualcosa di quel privilegio, specialmente se esso deriva dall’impressione che le persone simili a lui siano soggette alle stesse regole del resto del genere umano.
Dunque, quello a cui abbiamo partecipato la scorsa settimana è stato uno sguardo dentro lo spirito del trumpismo. Non si è trattato di “populismo” – sarebbe difficile trovare un giudice altrettanto ostile ai lavoratori come Brett Kavanaugh. Piuttosto, ha riguardato la rabbia degli uomini bianchi, di tutte le classi, che sentono una minaccia alle loro posizioni privilegiate. E quella rabbia può distruggere l’America che conosciamo.
[1] Lindsey Graham è un senatore repubblicano che nel corso delle audizioni del Senato si è espresso in modo piuttosto sprezzante sulla accusa di molestie sessuali a Kavanaugh. Il programma televisivo è una sorta di “Crozza” americano, dove l’imitatore principale è l’attore Matt Damon, ma anche i personaggi che fanno da spalla sono molto riusciti.
[1] MAGA è un acronimo di “Make America Great Again”, il noto slogan favorito di Trump. Ma, prima di lui, anche di Ronald Reagan.
By mm
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