Nov 9, 2018
BARRY EICHENGREEN
BRUSSELS – Following Emmanuel Macron’s election as president of France in May 2017, global elites breathed a sigh of relief. The populist wave, they reassured themselves, had crested. Voters had regained their sanity. Helped along by an electoral system in which the two leading candidates faced off in a second round, the “silent majority” had united behind the centrist candidate in the runoff.
But now we have Brazil’s presidential election, in which Jair Bolsonaro, who displays the authoritarian, anti-establishment, and anti-other tendencies of a textbook populist, won decisively in the second round. A two-round electoral system in which the runoff pits a populist outsider against the last mainstream candidate standing is no guarantee, evidently, that the center will hold.
A similar lesson flows from Italy’s election earlier this year. The country’s electoral rules had been reformed to add a majoritarian element to its proportional representation system, the goal being to encourage pre-election coalition building among mainstream parties. Instead, it brought to power a coalition of the populist left and right. Electoral engineering, it would seem, is not only ineffective in beating back the extremist threat; it can have unintended, counterproductive consequences.
Containing populism, it follows, requires more than fine-tuning the electoral system. It requires addressing the basic grievances responsible for voters’ rejection of mainstream politicians and parties in the first place.
Unfortunately, there is little agreement about the nature of those grievances and therefore no consensus on how to respond.
One view, naturally favored by economists, is that economic complaints are at the root of the populist revolt. Italy has experienced stagnant productivity growth for more than two decades, while unemployment – particularly youth unemployment – has risen to devastating levels. Brazil, having only recently become accustomed to the status of a fast-growing economy, experienced a massive recession in 2015-2016, and 2018 is shaping up to be another bleak year.
But the US fits awkwardly into this mold. By the time of the 2016 election that brought President Donald Trump to power, the US economy had been expanding for six consecutive years. This is a reminder that populism is about more than economic growth. It is also about distribution, something that is equally a problem in Italy and Brazil. And it is about economic insecurity: Even those who are benefiting now have doubts about whether they – and their children – will benefit in the future.
Still, the booming US economy should at least give pause to those who favor the narrowly economic interpretation of the current wave of populism.
Alternatively, the current wave of populism has been viewed as a response to the perceived threat, as much political as economic, from so-called outsiders to the dominant cultural group. For Italian populists like Matteo Salvini, this means immigrants, primarily dark-skinned people from Africa who wear their outsider status on their sleeves. For Bolsonaro, it means racial minorities, women, and other groups that challenge the hegemony of the white working class. Trump displays both tendencies, claiming without substantiation that Middle East terrorists are among the migrants and asylum seekers from Central America, while reinforcing the racial, religious, and anti-feminist animus of his base.
Again, however, actual electoral behavior does not fall neatly along predicted lines. Bolsonaro received a surprising degree of support from black voters. Trump gained a strong plurality from women in an election held shortly after the release of the notorious “Access Hollywood” tape, on which Trump was heard boasting about sexual assaults he had committed.
What unites supporters of these upstart politicians, therefore, must be something else. In fact, the main ingredient is revulsion against the corruption of the political process. Voters are attracted to political outsiders – the more authoritarian the better – who promise to “drain the swamp.” Herein lies the appeal of Trump and Bolsonaro, who promise to clean up their countries’ “mess” by whatever means necessary. The corruption and ineffectiveness of a succession of mainstream coalitions, and the promise of outsiders to do better, whether credible or not, similarly motivates Italian supporters of the right-wing League party and the left-wing Five Star Movement.
Unfortunately, voters have no way of gauging who is truly committed to rooting out corruption. And, by delegating this task to a leader with authoritarian tendencies, they empower him to repopulate the swamp rather than draining it – to simply replace the mainstream’s alligators with his own. We have already seen this tendency in the US. We are about to see it in Italy and Brazil.
Voters will learn the hard way that authoritarianism exacerbates rather than mitigates corruption, because it abolishes checks and balances on those pulling the levers of power. Once they learn this lesson, they are likely to give mainstream politicians and the democratic process another chance. Unfortunately, political institutions and civil society can suffer very considerable damage in the interim.
Il comune denominatore del populismo,
di Barry Eichengreen
BRUXELLES – Seguendo l’elezione di Emmanule Macron come Presidente della Francia, le elite globali avevano tirato un sospiro di sollievo. L’ondata di populismo, si confortarono, aveva raggiunto il punto piiù alto. Gli elettori avevano recuperato buon senso. Aiutata da un sistema elettorale nel quale i due principali candidati si confrontano in un secondo round, la “maggioranza silenziosa” nello spareggio si era riunita dietro il candidato centrista.
Ma adesso abbiamo le elezioni presidenziali in Brasile, nelle quali Jair Bolsonaro, che esibisce le tendenze autoritarie, ostili alle classi dirigenti e a tutto il resto proprie di un populista da libro di testo, ha vinto con nettezza il secondo turno. Un sistema elettorale nel quale lo spareggio mette a confronto un outsider populista contro l’ultimo candidato convenzionale rimasto in pedi, evidentemente, non costituisce alcuna garanzia della tenuta del centro.
Una lezione simile proviene dalle elezioni italiane degli inizi dell’anno. Le leggi elettorali del paese sono state riformate per aggiungere un elemento maggioritario al suo sistema rappresentativo proporzionale, con l’obbiettivo di incoraggiare la costruzione di coalizioni tra i partiti convenzionali. Invece, esse hanno consegnato il potere ad una coalizione della sinistra e della destra populista. L’ingegneria elettorale, a quanto sembra, non solo è inefficace nel respingere la minaccia estremista; può avere conseguenze indesiderate e controproducenti.
Ne consegue che contenere il populismo richiede altro che non messe a punto dei sistemi elettorali. Richiede di aggredire l’insoddisfazione di fondo che è anzitutto responsabile del rigetto da parte degli elettori degli uomini politici e dei partiti convenzionali.
Sfortunatamente, c’è poco accordo sulla natura di queste insoddisfazioni e di conseguenza non c’è alcun consenso su come rispondere.
Un punto di vista, naturalmentre visto con favore dagli economisti, è che il malessere economico è alla radice della rivolta populista. L’Italia ha conosciuto una crescita stagnante della produttività da più di due decenni, mentre la disoccupazione – in particolare quella giovanile – è salita a livelli devastanti. Il Brasile, che si era abituato alla condizione di economia in rapida crescita, nel 2015-2016 ha conosciuto una massiccia recessione, e il 2018 si sta avviando ad essere un altro anno cupo.
Ma gli Stati Uniti si adattano malamente a questo modello. Prima delle elezioni del 2016 che portarono il Presidente Donald Trump al potere, l’economia degli Stati Uniti ha avuto per sei anni consecutivi una espansione. Questa è una osservazione che mostra che il populismo riguarda qualcosa di più che la crescita economica. Riguarda la distribuzione dei redditi, che è egualmente un problema in Italia e in Brasile. E riguarda l’insicurezza economica: persino coloro che stanno avendo vantaggi adesso hanno dubbi sul fatto che loro e i loro figli ne trarranno vantaggi in futuro.
In ogni caso, l’economia in espansione degli Stati Uniti dovrebbe almeno offrire una pausa a coloro che sono favorevoli ad una intrepretazione economica in senso stretto dell’attuale ondata di populismo.
In alternativa, l’attuale ondata di populismo è stata interpretata come una risposta alla presunta minaccia, sia politica che economica, da parte dei cosiddetti emarginati dal gruppo culturale dominante. Per i populisti italiani come Matteo Salvini, questo significa gli immigrati, soprattutto le persone di colore dall’Africa che hanno stampato in fronte il loro status di stranieri. Per Bolsonaro, significa le minoranze razziali, le donne e gli altri gruppi che sfidano l’egemonia della classe lavoratrice bianca. Trump esibisce entrambe le tendenze, affermando senza prove che i terroristi del Medio Oriente sono tra gli emigranti e i cercatori di asilo dal Centro America, in tal modo rafforzando le tendenze razzistiche, religiose ed antifemministe della sua base.
Tuttavia, la condotta elettorale effettiva non si colloca precisamente sulle linee previste. Bolsonaro ha ricevuto un sorprendente grado di sostegno dagli elettori neri. Trump ha guadagnato una forte maggioranza relativa in elezioni che si sono tenute subito dopo la famigerata registrazione “Ingresso a Hollywood”, nella quale Trump veniva sentito vantarsi delle aggressioni sessuali che aveva commesso.
Di conseguenza, quello che unisce questi uomini politici di recente fama deve essere qualcosa d’altro. Di fatto, l’ingrediente principale è il disgusto per la corruzione nelle pratiche della politica. Gli elettori sono attratti verso gli sconosciuti della politica – più autoritari che sono, meglio è – che promettono di “prosciugare la palude”. È qua che si colloca l’attrazione di Trump e di Bolsonaro, che promette di ripulire il ‘casino’ dei loro paesi con tutti i mezzi necessari. La corruzione e l’inefficacia di una serie di coalizioni tradizionali, e la promessa di far meglio da parte di non addetti ai lavori, che sia credibile o meno, motiva in modo simile i sostenitori del partito di destra La Lega e il Movimento 5 Stelle di sinistra.
Sfortunatamente, gli elettori non hanno modo di valutare chi sia realmente impegnato a sradicare la corruzione. E, delegando questo compito a un leader con tendenze autoritarie, lo incoraggiano a ripopolare la palude anziché prosciugarla – semplicemente rimpiazzando gli alligatori tradizionli con i suoi propri. Abbiampo già visto queste tendenza negli Stati Uniti. Siamo prossimi a vederle in Italia e in Brasile.
Gli elettori apprenderanno con quanta durezza l’autoritarismo esacerbi anziché mitigare la corruzione, giacché esso abolisce i controlli e i contrappesi su coloro che detengono le leve del potere. Una volta appresa questa lezione, è probabile che essi diano un’altra possibilità ai politici tradizionali ed al processo democratico. Sfortunatamente, nel frattempo le istituzioni politiche e la società civile possono subire un danno considerevole.
By mm
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