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L’America vera contro l’America del Senato, di Paul Krugman (New York Times, 8 novembre 2018)

 

Nov. 8, 2018

Real America Versus Senate America

By Paul Krugman

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Everyone is delivering post-mortems on Tuesday’s elections, so for what it’s worth, here’s mine: Despite some bitter disappointments and lost ground in the Senate, Democrats won a huge victory. They broke the Republican monopoly on federal power, and that’s a very big deal for an administration that has engaged in blatant corruption and abuse of power, in the belief that an impenetrable red wall would always protect it from accountability. They also made major gains at the state level, which will have a big impact on future elections.

But given this overall success, how do we explain those Senate losses? Many people have pointed out that this year’s Senate map was unusually bad for Democrats, consisting disproportionately of states Donald Trump won in 2016. But there was actually a deeper problem, one that will pose long-term problems, not just for Democrats, but for the legitimacy of our whole political system. For economic and demographic trends have interacted with political change to make the Senate deeply unrepresentative of American reality.

How is America changing? Immigration and our growing racial and cultural diversity are only part of the story. We’re also witnessing a transformation in the geography of our economy, as dynamic industries increasingly gravitate to big metropolitan areas where there are already large numbers of highly educated workers. It’s not an accident that Amazon is planning to put its two new headquarters in New York and the Washington D.C. metropolitan area, both places with an existing deep pool of talent.

Obviously not everyone lives — or wants to live — in these growth centers of the new economy. But we are increasingly a nation of urbanites and suburbanites. Almost 60 percent of us live in metropolitan areas with more than a million people, more than 70 percent in areas with more than 500,000 residents. Conservative politicians may extol the virtues of a “real America” of rural areas and small towns, but the real real America in which we live, while it contains small towns, is mostly metropolitan.

But here’s the thing: The Senate, which gives each state the same number of seats regardless of population — which gives fewer than 600,000 people in Wyoming the same representation as almost 40 million in California — drastically overweights those rural areas and underweights the places where most Americans live.

I find it helpful to contrast the real America, the place we actually live, with what I think of as “Senate America,” the hypothetical nation implied by a simple average across states, which is what the Senate in effect represents.

As I said, real America is mainly metropolitan; Senate America is still largely rural.

Real America is racially and culturally diverse; Senate America is still very white.

Real America includes large numbers of highly educated adults; Senate America, which underweights the dynamic metropolitan areas that attract highly educated workers, has a higher proportion of non-college people, and especially non-college whites.

None of this is meant to denigrate rural, non-college, white voters. We’re all Americans, and we all deserve an equal voice in shaping our national destiny. But as it is, some of us are more equal than others. And that poses a big problem in an era of deep partisan division.

Not to put too fine a point on it: What Donald Trump and his party are selling increasingly boils down to white nationalism — hatred and fear of darker people, with a hefty dose of anti-intellectualism plus anti-Semitism, which is always part of that cocktail. This message repels a majority of Americans. That’s why Tuesday’s election in the House — which despite gerrymandering and other factors is far more representative of the country as a whole than the Senate — produced a major Democratic wave.

But the message does resonate with a minority of Americans. These Americans are, of course, white, and are more likely than not to reside outside big, racially diverse metropolitan areas — because racial animosity and fear of immigration always seem to be strongest in places where there are few nonwhites and hardly any immigrants. And these are precisely the places that have a disproportionate role in choosing senators.

So what happened Tuesday, with Republicans getting shellacked in the House but gaining in the Senate, wasn’t just an accident of this year’s map or specific campaign issues. It reflected a deep division in culture, indeed values, between the American citizenry at large and the people who get to choose much of the Senate.

This divergence will have profound implications, because the Senate has a lot of power, especially when the president — who, let us not forget, lost the popular vote — leads the party that controls it. In particular, Trump and his Senate friends will spend the next couple of years stuffing the courts with right-wing loyalists.

We may, then, be looking at a growing crisis of legitimacy for the U.S. political system — even if we get through the constitutional crisis that seems to be looming over the next few months.

 

L’America vera contro l’America del Senato,

di Paul Krugman

Tutti stanno compiendo le loro analisi a posteriori delle elezioni di martedì, dunque, per quello che vale, questa è la mia: a parte qualche amara delusione e il terreno perso al Senato, i democratici si sono aggiudicati un’ampia vittoria. Hanno rotto il monopolio repubblicano del potere federale, e questa è una faccenda davvero importante per una Amministrazione coinvolta in una sfacciata corruzione e in abusi di potere, nella convinzione che una barriera ‘rossa’ [1] l’avrebbe sempre protetta dal renderne conto. I democratici hanno anche realizzato importanti vittorie al livello degli Stati, il che avrà un grande impatto sulle elezioni future.

Ma, considerato questo complessivo successo, come si spiegano quelle perdite al Senato? Molte persone hanno messo in evidenza che la mappa del Senato di quest’anno era insolitamente negativa per i democratici, consistendo in modo sproporzionato di Stati nei quali Donald Trump vinse nel 2016. Ma in realtà c’è stato un problema più profondo, di quelli che provocheranno problemi di lungo termine, non solo ai democratici, ma alla legittimità dell’Intero sistema politico. Perché le tendenze economiche e demografiche hanno interagito con un cambiamento politico, in modo tale da rendere il Senato profondamente non rappresentativo della realtà americana.

In che modo sta cambiando l’America? L’immigrazione e la nostra crescente diversità razziale e culturale sono solo un aspetto della storia. Stiamo anche assistendo ad una trasformazione della geografia della nostra economia, dato che industrie dinamiche sempre di più gravitano verso le grandi aree metropolitane dove già ci sono numeri ampi di lavoratori altamente istruiti. Non è un caso se Amazon sta programmando di collocare le sue due nuove sedi centrali a New York e nell’area metropolitana di Washington D.C., entrambi luoghi dove già esiste un ampio parco di eccellenze.

Ovviamente non tutti vivono – o vogliono vivere – in questi centri della crescita della nuova economia. Ma siamo sempre di più una nazione di centri urbani e di periferie. Quasi il 60 per cento di noi vive in aree metropolitane con più di un milione di abitanti, più del 70 per cento in aree con più di 500.000 residenti. I politici conservatori possono esaltare le virtù di una “America vera” di aree rurali e di piccole cittadine, ma l’America davvero vera nella quale viviamo, se comprende piccole città, e in maggioranza metropolitana.

Ma quello è il punto: il Senato, che dà a ciascuno Stato lo stesso numero di seggi a prescindere dalla popolazione – che dà a meno di 600.000 persone del Wyoming la medesima rappresentanza dei 40 milioni della California – premia in modo impressionante quelle aree rurali e sottostima i luoghi nei quali vive la maggioranza degli americani.

Trovo che questo sia utile per mostrare le differenze tra l’America vera, il luogo dove effettivamente viviamo, e quella che mi pare sia “l’America del Senato”, la nazione ipotetica che consiste in una semplice media tra tutti gli Stati, che è quello che in effetti il Senato rappresenta.

Come ho detto, l’America vera è principalmente metropolitana; l’America del Senato è ampiamente rurale.

L’America vera è razzialmente e culturalmente diversa; l’America del Senato è ancora in buona misura bianca.

L’America comprende grandi numeri di adulti con elevata istruzione; l’America del Senato, che ha peso minore delle dinamiche aree metropolitane che attraggono lavoratori con elevata istruzione, ha in proporzione un numero più alto di persone sprovviste di istruzione universitaria, e particolarmente di bianchi senza istruzione superiore.

Tutto questo non significa denigrare gli elettori bianchi senza istruzione superiore dei distretti rurali. Siamo tutti americani, e meritiamo tutti di avere la stessa voce nel dare forma al destino della nazione. Ma per come è adesso, alcuni di noi sono più uguali degli altri. E questo costituisce una grande problema in un’epoca di profonde divisioni di parte.

Non vorrei dirlo in modo troppo gentile: quello che Donald Trump e il suo partito stanno sempre di più mettendo in circolazione si riduce al nazionalismo dei bianchi – odio e paura per la gente di colore, con una robusta dose di anti intellettualismo e in aggiunta di antisemitismo, che è sempre un ingrediente del cocktail. Questo messaggio disgusta una maggioranza degli americani. Quella è la ragione per la quale le elezioni di martedì alla Camera – che nonostante la delimitazione truffaldina dei distretti elettorali e altri fattori è più rappresentativa del paese nel suo complesso del Senato – ha prodotto una importante ondata democratica.

Ma il messaggio tocca nel profondo una minoranza di americani. Ovviamente, questi sono americani bianchi, che è più probabile risiedano all’esterno delle grandi aree metropolitane composte da varie etnie –  perché l’animosità razziale e la paura dell’immigrazione sembra essere sempre più forte nei luoghi dove ci sono pochi non bianchi e si trovano a fatica immigrati. E questi sono esattamente i luoghi che hanno un peso sproporzionato nella scelta dei Senatori.

Dunque quello che è accaduto martedì, quando i repubblicani hanno subito una mazzata alla Camera ma hanno vinto al Senato, non è stato solo un incidente della mappa elettorale di quest’anno o delle tematiche particolari della campagna elettorale. Ha riflesso una profonda divisione nella cultura, in effetti nei valori, tra gran parte della collettività americana e la popolazione che riesce a scegliere gran parte del Senato.

Questa divergenza avrà implicazioni profonde perché il Senato ha un grande potere, specialmente quando il Presidente – che, non dimentichiamolo, ha perso nel voto popolare – guida il partito che lo controlla. In particolare, Trump e i propri amici al Senato passeranno i prossimi due anni a riempire i Tribunali di fedeli della destra.

Possiamo, dunque, assistere ad una crescente crisi di legittimazione del sistema politico statunitense – persino se supereremo la crisi costituzionale che sembra incombere nei prossimi pochi mesi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] Perché il rosso è il ‘colore elettorale’ dei repubblicani, mentre il blu è dei democratici.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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