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Gli uomini della moneta forte, all’improvviso si inteneriscono, di Paul Krugman (New York Times, 20 dicembre 2018)

 

Dec. 20, 2018

Hard-Money Men, Suddenly Going Soft

By Paul Krugman

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I have a confession to make: I have been insufficiently cynical about modern conservative economics.

Longtime readers may find this hard to believe. After all, I declared Paul Ryan a “flimflam man” back when all the cool kids were gushing about his courage and honesty, giving him awards for fiscal responsibility. (Events have settled the issue: Yes, he was and is a flimflam man.) I predicted early and often that Republican cries about the evils of debt would vanish as soon as they held the White House; sure enough, after forcing the U.S. into job-destroying austerity when the economy was weak, once in power they blew up the budget deficit with a tax cut for corporations and the wealthy, despite low unemployment.

But while I yield to nobody in my appreciation of the right’s fiscal fraudulence, I took its monetary hawkishness seriously. I thought that all those dire warnings about the inflationary consequences of the Federal Reserve’s efforts to fight high unemployment, the constant harping on the evils of printing money, were grounded in genuine — stupid, but genuine — concern.

Silly me.

It’s no surprise that Individual-1, who lambasted the Fed for keeping interest rates low while Barack Obama was president, is demanding that it keep rates low now that he’s in the White House. After all, nobody has ever accused Donald Trump of having consistent, principled views about monetary policy (or anything else).

But it is a shock to see so many conservative voices — including, incredibly, the editorial page of The Wall Street Journal — echoing Trump’s demands.

It’s hard to overstate just how consistent and intense The Journal and others of like mind used to be in their attacks on easy money. Many commentators have noted that three years ago The Journal declared that low interest rates are bad for the economy. But that was minor compared with the newspaper’s pronouncements during the financial crisis. For example, it attacked and ridiculed Ben Bernanke for cutting interest rates in December 2008 — that is, at a time when the economy was in free fall, and desperately needed all the support it could get.

Now, you might say that the explanation for the right’s about-face on monetary policy is the same as the explanation of its about-face on deficits. That is, Republicans want pain and suffering when there’s a Democratic president, but a nonstop party when one of their own sits in the White House. And that is indeed how it looks now. But I used to think there was something more to the story.

You see, as a pundit who, well, gets a lot of hate mail, I’ve learned that the issue of whether it sometimes makes sense to print money stirs more visceral emotions on the right than anything else. Declare that Trump is a corrupt Russian puppet, and you get a fair bit of blowback, but nothing like what you get if you say that returning to the gold standard would be a bad idea, or that monetary easing isn’t necessarily inflationary. A lot of people on the right just go crazy at any suggestion that money is something to be managed, not treated as a sacred trust with which mortals must not meddle.

The only thing I know that brings comparable blowback is criticism of Bitcoin, a topic that combines some of the same libertarian derp with a hefty infusion of technobabble.

And the right’s emotional response to Fed policy — its hatred for using the printing press to boost the economy, no matter what the circumstances — always seemed real to me. I never believed that Paul Ryan really cared about the deficit, but I did believe his assertion that his views on monetary policy were derived from the denunciation of paper money as a form of looting in Ayn Rand’s “Atlas Shrugged.”

Furthermore, the view that printing money is always a terrible thing seemed extremely durable, despite an uninterrupted track record of predictive failure. People who warned about looming inflation in 2009 continued to warn about it year after year, even as it kept not happening.

Then Trump decided to pressure the Fed, and many of the erstwhile hard-money men became easy-money men overnight. I mean that more or less literally. Consider the case of Kevin Warsh, a former member of the Federal Reserve Board who was for a time considered a likely Fed chairman. Up until two months ago he was always for higher interest rates — but this week he suddenly wrote an op-ed article calling on the Fed to stop rate hikes.

There is, by the way, a reasonable case (which I accept) that the Fed should, indeed, pause its campaign of raising rates, and even that this week’s hike was a mistake. But this case should be made on the basis of fundamental economic principles, not in pursuit of short-term political advantage, and least of all because it’s what Donald Trump wants.

Yet that’s how it’s going. These days the G.O.P. is all about power; there are no principles it will adhere to if they involve any political cost. And it’s a party that belongs to Trump: What he says is the party line, on any and every issue.

Trumpism, it turns out, trumps everything else — even Ayn Rand.

 

 

 

Gli uomini della moneta forte, all’improvviso si inteneriscono,

di Paul Krugman

Devo fare una confessione: non sono stato sufficientemente cinico sull’economia odierna dei conservatori.

I lettori di lunga data possono trovarlo difficile da credere. Dopo tutto, dichiarai in passato che Paul Ryan era un “uomo degli imbrogli”, quando tutti gli individui disinvolti smaniavano per il suo coraggio e la sua onestà, dandogli premi per la responsabilità in materia di finanza pubblica (i fatti hanno risolto la faccenda: era effettivamente un uomo degli imbrogli). Avevo previsto, spesso e dagli inizi, che i pianti dei repubblicani sui danni del debito sarebbero svaniti appena avessero conquistato la Casa Bianca; di fatto, dopo aver costretto gli Stati Uniti ad una austerità devastante quando l’economia era debole, una volta al potere hanno fatto esplodere il deficit di bilancio con tagli delle tasse alle società e ai ricchi, nonostante la bassa disoccupazione.

Ma mentre non sono stato secondo a nessuno nella mia valutazione sulla disonestà della destra quanto a finanza pubblica, ho preso sul serio la sua rigidità monetaria. Pensavo che tutti quei terribili ammonimenti sulle conseguenze inflazionistiche degli sforzi della Federal Reserve nel combattere l’elevata disoccupazione, quel continuo battere sul tasto dei mali dello stampare moneta, fossero basati su una preoccupazione genuina – stupida ma genuina.

Sono stato uno sciocco.

Non c’è niente di sorprendente nel fatto che Individual-1 [1], che strigliava la Fed per tenere bassi i tassi di interesse quando Obama era Presidente, adesso che è lui alla Casa Bianca chieda di tener bassi i tassi. Dopo tutto, nessuno ha mai accusato Donald Trump di avere opinioni coerenti, basate su principi, in politica monetaria (come su tutto il resto).

Ma lascia sbigottiti sentire tante voci conservatrici – inclusa, incredibilmente, la pagina editoriale del Wall Street Journal – che fanno eco alle richieste di Trump.

È difficile esagerare su quanta costanza e intensità il Journal ed altri di mentalità simile, erano soliti mettere nei loro attacchi sulla moneta facile. Molti commentatori hanno osservato che tre anni fa il Journal dichiarò che i bassi tassi di interesse erano negativi per l’economia. Ma questo restava secondario a confronto dei pronunciamenti del giornale durante la crisi finanziaria. Ad esempio, attaccò e ridicolizzò Ben Bernanke per il taglio ai tassi di interesse nel dicembre 2008 – cioè, in un tempo nel quale l’economia era in caduta libera e aveva un disperato bisogno di tutto il sostegno che poteva ricevere.

Ora, potreste dire che la spiegazione per il voltafaccia della destra sulla politica monetaria sia la stessa del suo voltafaccia sui deficit. Ovvero, i repubblicani vogliono pena e sofferenza quando c’è un Presidente democratico, ma una festa senza fine quando uno di loro è alla Casa Bianca. E così in effetti sembra. Ma io ero solito pensare che ci fosse qualcosa di più nella storia.

Vedete, come commentatore che, diciamolo, si prende una gran quantità di odio nella sua posta, ho imparato che il tema della eventualità che qualche volta abbia senso stampare moneta provoca nella destra reazioni viscerali maggiori di ogni altro tema. Dichiarate che Trump è un burattino corrotto dai Russi, e avrete una discreta quantità di rimostranze, ma niente di simile a quello che avrete se affermate che il ritorno al gold standard sarebbe una pessima idea, o che la facilitazione monetaria non è necessariamente inflazionistica. Una gran quantità di individui della destra vanno proprio fuori di sé ad ogni accenno che la moneta sia qualcosa che si può gestire, anziché trattarla come un sacro simulacro sul quale i mortali non debbono mettere le mani.

La sola cosa che provoca una reazione paragonabile sono le critiche sul Bitcoin, un oggetto che unisce un po’ della stessa ottusità [2] libertariana  con un robusta infusione di chiacchiere tecnicistiche.

E la risposta emotiva della destra alla politica della Fed – il suo odio per l’utilizzo della macchina stampatrice per sostenere l’economia, a prescindere dalle circostanze – mi è sempre parso in buonafede. Non ho mai creduto che Paul Ryan di preoccupasse realmente del deficit, ma credevo nella sua ammissione che le sue opinioni di politica monetaria derivassero dalla denuncia dei soldi cartacei come una forma di sciacallaggio, dal libro “La rivolta di Atlante” di Ayn Rand [3].

Inoltre, il punto di vista secondo il quale stampare moneta è sempre una cosa terribile sembrava del tutto duraturo, nonostante un record ininterrotto di fallimenti previsionali. La gente che metteva in guardia su una incombente inflazione nel 2009, continuò a farlo anno dopo anno, anche se essa continuava a non materializzarsi.

Poi Trump ha deciso di fare pressione sulla Fed, e molti dei precedenti sostenitori della moneta forte sono diventati nottetempo sostenitori della moneta facile. Lo dico praticamente alla lettera. Si consideri il caso di Kevin Warsh, un passato componente del Comitato della Federal Reserve che un tempo era considerato un possibile Presidente della Fed. Sino a due mesi fa era sempre stato a favore di tassi di interesse più alti – ma questa settimana ha improvvisamente scritto un articolo sulla pagina dei commenti per chiedere alla Fed di fermare i rialzi nei tassi.

Per inciso, esiste un argomento ragionevole (che io accetto) secondo il quale la Fed dovrebbe, in effetti, sospendere la sua campagna di rialzo dei tassi, e secondo il quale persino quello di questa settimana sarebbe stato un errore. Ma questo argomento dovrebbe essere avanzato sulla base di principi economici fondamentali, non nel perseguimento di un vantaggio politico a breve termine, e meno di tutto perché è quello che vuole Trump.

Tuttavia è così che sta andando. In questi tempi il Partito Repubblicano si risolve tutto nel potere; non ci sono principi ai quali aderirà se comportano un costo politico. Ed è un partito che appartiene a Trump: quello che lui dice è la linea del Partito, di qualsiasi tema si tratti.

Il Trumpismo, si scopre, surclassa tutto il resto – persino Ayn Rand.

 

 

 

 

 

 

 

[1] È la definizione che le indagini sulla Russian Connection danno del supposto ruolo in quelle vicende di Trump, sia pure pudicamente non nominandolo. Di recente, Krugman è arrivato alla conclusione che tale qualifica è più adatta del chiamarlo Presidente.

[2] “Derp” è uno dei curiosi personaggi dei fumetti di South Park, che fece la sua comparsa con una immagine nella quale si batteva un martello in testa, quasi ad ammettere una condizione di confusione mentale. Il termine è diventato sinonimo di tante cose, ad esempio si dice “derp” per rispondere ad una affermazione sciocca o ovvia. Il sostantivo corrispondente potrebbe essere “ottusità”.

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[3] Ayn Rand, è lo pseudonimo di  Alisa Zinov’yevna Rosenbaum O’Connor (San Pietroburgo2 febbraio 1905 – New York6 marzo 1982);  scrittricefilosofa e sceneggiatrice statunitense di origine russa. La sua filosofia e la sua narrativa insistono sui concetti di individualismoegoismo razionale (“interesse razionale”) ed etica del capitalismo, nonché sulla sua opposizione al comunismo ed a ogni forma di collettivismo socialista e fascista. Il pensiero cosiddetto “oggettivista” della Rand ha – come anche tutto il “libertarianism” – molteplici origini liberali, anarchiche, antitotalitarie ed anche, più singolarmente, capitalistiche; spesso con esiti irreligiosi. (Wikipedia)

Ma il mito dell’industriale creativo soffocato dalla burocrazia e costretto ad una resistenza addirittura “partigiana” – che è il tema del suo romanzo “Atlas Shrugged” –  è certamente una passione americana, nel senso almeno che sarebbe arduo immaginarlo come tema di un romanzo, altrove. Più recentemente, il libro della Rand è stato indicato come riferimento favorito da parte di molti repubblicani americani.

 

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