CAMBRIDGE – A recurrent topic in the financial press for much of 2018 has been the rising risks in the emerging market (EM) asset class. Emerging economies are, of course, a very diverse group. But the yields on their sovereign bonds have climbed markedly, as capital inflows to these markets have dwindled amid a general perception of deteriorating conditions.
Historically, there has been a tight positive relationship between high-yield US corporate debt instruments and high-yield EM sovereigns. In effect, high-yield US corporate debt is the emerging market that exists within the US economy (let’s call it USEM debt). In the course of this year, however, their paths have diverged (see Figure 1). Notably, US corporate yields have failed to rise in tandem with their EM counterparts.
What’s driving this divergence? Are financial markets overestimating the risks in EM fixed income (EM yields are “too high”)? Or are they underestimating risks in lower-grade US corporates (USEM yields are too low)?
Taking together the current trends and cycles in global factors (US interest rates, the US dollar’s strength, and world commodity prices) plus a variety of adverse country-specific economic and political developments that have recently plagued some of the larger EMs, I am inclined to the second interpretation.
In what is still a low-interest-rate environment globally, the perpetual search for yield has found a comparatively new and attractive source in the guise of collateralized loan obligations (CLOs) within the USEM world. According to the Securities Industry and Financial Markets Association, new issues of “conventional” high-yield corporate bonds peaked in 2017 and are off significantly this year (about 35% through November). New issuance activity has shifted to the CLO market, where the amounts outstanding have soared, hitting new peaks almost daily. The S&P/LSTA US Leveraged Loan 100 Index shows an increase of about 70% in early December from its 2012 lows (see Figure 2), with issuance hitting record highs in 2018. In the language of emerging markets, the USEM is attracting large capital inflows.
These CLOs share many similarities with the mortgage-backed securities that set the stage for the subprime crisis a decade ago. During that boom, banks bundled together loans and shed risk from their balance sheets. Over time, this fueled a surge in low-quality lending, as banks did not have to live with the consequences.
Likewise, for those procuring corporate borrowers and bundling corporate CLOs, volume is its own reward, even if this means lowering standards for borrowers’ creditworthiness. The share of “Weakest Links” – corporates rated B- or lower (with a negative outlook) – in overall activity has risen markedly since 2013-2015. Furthermore, not only are the newer issues coming from a lower-quality borrower, the covenants on these instruments – provisions designed to ensure compliance with their terms and thus minimize default risk – have also become lax. Covenant-lite issues are on the rise and now account for about 80% of the outstanding volume.
As was the case during the heyday of mortgage-backed securities, there is great investor demand for this debt, reminiscent of the “capital inflow problem” or the “bonanza” phase of the capital flow cycle. A recurring pattern across time and place is that the seeds of financial crises are sown during good times (when bad loans are made). These are good times, as the US economy is at or near full employment.
The record shows that capital-inflow surges often end badly. Any number of factors can shift the cycle from boom to bust. In the case of corporates, the odds of default rise with mounting debt levels, erosion in the value of collateral (for example, oil prices in the case of the US shale industry), and falling equity prices. All three sources of default risk are now salient, and, lacking credible guarantees, the CLO market (like many others) is vulnerable to runs, because the main players are lightly regulated shadow banking institutions.
And then there are the old and well-known concerns about shadow banking in general, which stress both its growing importance and the opaqueness of its links with other parts of the financial sector. Of course, we also hear that a virtue of financing debt through capital markets rather than banks is that the shock of an abrupt re-pricing or write-off will not impair the credit channel to the real economy to the degree that it did in 2008-2009. Moreover, compared to mortgage-backed securities (and the housing market in general), the scale of household balance sheets’ exposure to the corporate-debt market is a different order of magnitude.
A decade after the subprime bubble burst, a new one seems to be taking its place – a phenomenon aptly characterized by Ricardo Caballero, Emmanuel Farhi, and Pierre-Olivier Gourinchas as “Financial ‘Whac-a-Mole.’” A world economy geared toward increasing the supply of financial assets has hooked us into a global game of waiting for the next bubble to emerge somewhere.
Like the synchronous boom in residential housing prior to 2007 across several advanced markets, CLOs have also gained in popularity in Europe. Higher investor appetite for European CLOs has predictably led to a surge in issuance(up almost 40% in 2018). Japanese banks, desperately seeking higher yields, have swelled the ranks of buyers. The networks for financial contagion, should things turn ugly, are already in place.
Il più grande problema del debito del mercato emergente è in America,
di Carmen Reinhart
CAMBRIDGE – Un tema ricorrente nella stampa finanziaria per buona parte del 2018 sono stati i rischi crescenti nelle classi di investimento dei mercati emergenti (EM). Le economie emergenti, ovviamente, sono un gruppo molto diversificato. Ma i rendimenti nei bond sovrani sono saliti in modo rilevante, mentre questi mercati hanno oscillato nel mezzo di una percezione generale di condizioni che si deterioravano.
Storicamente, c’è stata una stretta correlazione positiva tra gli strumenti ad alto rendimento del debito delle società statunitensi e quelli dei debiti sovrani ad alto rendimento dei mercati emergenti. In sostanza, il debito ad alto rendimento delle società statunitensi è il mercato emergente che esiste nell’economia americana (chiamiamolo debito del mercato emergente negli Stati Uniti, o USEM). Nel corso di quest’anno, tuttavia, i loro andamenti sono stati divergenti (vedi Figura 1). È rilevante che i rendimenti delle società americane non siano cresciuti in coppia con i loro omologhi EM.
Cosa sta provocando questa divergenza? I mercati finanziari sovrastimano i rischi nel reddito invariabile dei mercati emergenti (i rendimenti degli EM sono “troppo elevati”)? Oppure sottostimano i rischi delle società statunitensi di più bassa qualità (i rendimenti degli USEM sono troppo bassi)? [1]
Considerando assieme le attuali tendenze e cicli nei fattori globali (i tassi di interesse statunitensi, la forza del dollaro USA e i prezzi delle materie prime mondiali), oltre ad una varietà di negativi sviluppi economici e politici dei singoli paesi che hanno recentemente afflitto alcuni dei più grandi mercati emergenti, io sono incline alla seconda interpretazione.
In quello che è ancora un contesto globale di bassi tassi di interesse, la continua ricerca di rendimento ha trovato una forma nuova e attraente nelle obbligazioni su prestiti collateralizzati [2] (CLO) all’interno del mondo del mercato emergente degli Stati Uniti. Secondo la Associazione del Settore dei Valori Mobiliari e dei Mercati Finanziari, le emissioni di obbligazioni “convenzionali” ad alto rendimento da parte di società hanno conosciuto un picco nel 2017 e quest’anno sono partite significativamente a razzo (circa un 35% all fine di novembre). L’attività delle nuove emissioni si è spostata verso i CLO, dove i quantitativi in sospeso sono molto saliti, raggiungendo nuove vette quasi quotidianamente. L’Indice 100 dei Prestiti a Leva Finanziaria Elevata degli Stati Uniti (S&P/LSTA) mostra un incremento di circa il 70% agli inizi di dicembre a confronto con i bassi livelli del 2012 (vedi Figura 2), con emissioni che nel 2018 raggiungono i massimi storici. Nel linguaggio dei mercati emergenti, gli USEM stanno attraendo grandi flussi di capitali.
Questi CLO presentano molte somiglianze con i titoli garantiti da ipoteche che occuparono la scena della crisi dei subprime un decennio fa. Durante quel boom, le banche raggrupparono assieme prestiti e rischi diffusi dai loro equilibri patrimoniali. Nel tempo, questo alimentò una fonte di prestiti di bassa qualità, al punto che le banche non ressero le conseguenze.
In modo analogo, per coloro che trovano le società in cerca di prestiti e le collegano ai CLO delle società, il premio effettivo consiste nel volume di affari, anche se questo comporta un abbassamento degli standard nella affidabilità dei creditori. La quota delle cosiddette “Connessioni più deboli” – società classificate di categoria B o più in basso ancora (con previsioni negative) – nella attività complessiva è cresciuta significativamente a partire dal 2013-2015. Inoltre, non si tratta solo delle emissioni più recenti che provengono da creditori di qualità più bassa; i contratti sulla base di questi strumenti – disposizioni rivolte ad assicurare la ottemperanza ai loro termini e quindi a minimizzare il rischio di default – sono diventati permissivi. Le emissioni covenant-lite (a protezione ridotta) sono in crescita ed oggi rappresentano circa l’80% dei volumi in sospeso.
Come avvenne nel pieno fulgore dei titoli garantiti da ipoteche, c’è una grande domanda degli investitori per questo tipo di debito, in reminiscenza della “questione del flusso in entrata di capitali”, ovvero della fase di “manna” del ciclo dei flussi di capitale. Uno schema ricorrente nel tempo e nei luoghi è che i semi delle crisi finanziarie sono gettati nei tempi buoni (quando vengono fattio i cattivi prestiti). Questi sono tempi buoni, dato che l’economia americana è, o è prossima, alla piena occupazione.
La serie storica mostra che gli aumenti dei flussi in ingresso dei capitali spesso vanno a finir male. Un qualsiasi ammontare di fattori può spostare il ciclo dal boom allo scoppio della bolla. Nel caso delle società le probabilità di default crescono con i livelli del debito in salita, con l’erosione del valore dei collaterali (per esempio, i prezzi del petrolio nel caso del settore statunitense degli scisti bituminosi) e con i prezzi dei titoli in caduta. Tutte e tre quelle fonti di rischio di default sono oggi rilevanti e, in mancanza di garanzie credibili, il mercato dei CLO (come molti altri) è vulnerabile agli assalti agli sportelli, a causa del fatto che gli attori principali sono istituti bancari ombra con poca regolamentazione.
Ed esistono anche le tradizionali e ben note preoccupazioni sulle banche ombra in generale, che mettono in rilievo sia la sua crescente importanza che l’opacità dei suoi collegamenti con altre componenti del settore finanziario. Ovviamente, si sente anche sostenere che l’importanza del finanziamento del debito attraverso il mercato dei capitali anziché attraverso le banche è che i traumi di una improvvisa ridefinizione dei prezzi o dismissione non comprometterà il canale del credito verso l’economia reale nella misura in cui lo fece nel 2008-2009. Inoltre, a confronto con i titoli garantiti da ipoteche (e con il settore immobiliare in generale), la dimensione della esposizione degli equilibri patrimoniali delle famiglie rispetto al mercato del debito delle società ha un diverso ordine di grandezza.
Un decennio dopo lo scoppio della bolla dei subprime, sembra che il suo posto venga occupato da un fenomeno nuovo – appropriatamente definito da Ricardo Caballero, Emmanuel Farhi e Pierre-Olivier Gourinchas come “il gioco finanziario del Whac-a-mole” [3]. Un’economia globale pensata come un accrescimento costante dell’offerta di asset finanziari ci ha catturato in un gioco globale che consiste nell’attendere che da qualche parte emerga la prossima bolla.
Come, prima del 2007, il contemporaneo boom nel settore immobiliare abitativo in vari mercati avanzati, i CLO hanno guadagnato popolarità anche in Europa. Il più elevato appetito degli investitori per il CLO europei ha portato ad una prevedibile impennata nelle emissioni (salita nel 2018 di circa il 40%). Le banche giapponesi, alla ricerca disperata di rendimenti superiori, hanno gonfiato le fila dei compratori. Le reti del contagio finanziario, se le cose dovessero mettersi male, sono già al loro posto.
[1] Ovviamente, trattandosi di mercati nei quali si ‘compra’ il debito, i rendimenti crescono con il maggiore supposto rischio per gli investitori, mentre calano con un rischio che si immagina minore.
[2] Le CLO (Collateralized Loan Obligation) sono strumenti appartenenti alla categoria degli ABS (asset backed securities) di cui rappresentano una specifica tipologia. In poche parole le CLO sono strumenti di debito che sono state emesse su un portafoglio con varie attività, diverse l’una dall’altra, composte da obbligazioni, titoli di vario tipo e strumenti di debito. Questi prodotti finanziari provengono da processi di cartolarizzazione e sono caratterizzato dalla presenza nel portafoglio di crediti di istituti di credito e di altre società. Le CLO vengono solitamente emesse conseguentemente a operazioni di cessione di crediti da una società (chiamata Sponsor) ad un’altra che è stata appositamente costituita per l’acquisto di questi crediti (chiamata SPV, ovvero Special Purpose Vehicle). La società creata in questa specifica operazione finanzia l’acquisto del portafoglio dall’altra società emettendo sul mercato i cosiddetti CLO.
[3] Un gioco inventato nel 1976 (letteralmente “colpisci la talpa”), che consiste nell’abbattere gli animaletti che fuoriescono dalle loro tane con colpi di martello, appena spuntano fuori:
By mm
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