Nov. 29, 2018
By Paul Krugman
Let’s face it: Make America Great Again was a brilliant political slogan. Why? Because it could mean different things to different people.
For many supporters of Donald Trump, MAGA was basically a promise to return to the good old days of raw racism and sexism. And Trump is delivering on that promise.
But for at least some Trump voters, it was a promise to restore the kind of economy we had 40 or 50 years ago — an economy that still offered lots of manly jobs in manufacturing and mining. Unfortunately for those who trusted Mr. Art of the Deal, Trump never had any idea how to deliver on that promise. And even if he had a clue about policymaking, he couldn’t have changed the long-term trajectory of our economy, which is moving steadily away from making physical stuff and toward providing services.
As a result, Trump, who cares above all about image, is now getting headlines that make a mockery of his campaign posturing — headlines about closing auto plants and lost jobs. Now, autos are a special case; overall manufacturing employment is still rising, although not especially fast. But relative to his grand promises, what’s happening is an embarrassing bust.
Why was the vision of revived manufacturing nonsense? Talking about what Donald Trump doesn’t know is, of course, a vast task, since his ignorance is both broad and deep. But he seems to have misunderstood three specific things about manufacturing.
First, he believes that trade deficits are the reason we’ve shifted away from manufacturing. But they aren’t.
To be fair, those deficits have played some role in shrinking U.S. industrial employment. If we could eliminate our current trade imbalance, we’d probably have around 20 percent more workers in the manufacturing sector than we actually do. But that would reverse only a small part of manufacturing’s relative decline, from more than a quarter of the work force in 1970 to less than 10 percent now.
Indeed, even countries that run huge trade surpluses, like Germany, have seen big declines in manufacturing as a share of employment. Trade just isn’t the main story. What’s happening instead is that as overall spending grows, an increasing share goes to services, not goods. Consumption of manufactured goods keeps rising, but technological progress lets us produce those goods with ever fewer workers; so the economy shifts toward services.
By the way, if you want to know what “services” means: Of the four occupations the Department of Labor expects to add the most jobs over the next decade, three are some kind of nursing (food workers are the fourth). And if you can’t imagine how a prosperous economy can be built on services, bear in mind that health care is a large source of middle-class jobs, and could provide even more with the right policies.
Still, even if trade deficits are a distinctly secondary cause of manufacturing decline, can’t Trump help a little by getting tough on foreigners? That brings us to his second fallacy: No, trade deficits aren’t caused by unfair foreign trade practices.
The truth is that while tariffs and so on can affect trade in particular industries, the overall trade balance mainly reflects exchange rates, which in turn are mainly driven by capital flows: The dollar is strong because foreigners want to buy U.S. assets. And Trump’s policies — tax cuts for corporations, big deficits that drive up interest rates — are so far making the dollar even stronger.
Finally, Trump’s angry reaction to auto plant closings is a reminder of his third big policy misunderstanding: He believes that you can run the economy by yelling at people.
Why is he wrong? It’s not just that businesses have learned to discount his threats. More important, our economy is too big to make policy by singling out individual companies and ranting. How big is it? Around 1.7 million U.S. workers are fired or laid off every month. So even a president who spent less time golfing couldn’t bully or threaten enough employers to make a significant difference to the labor market.
Or to put it differently, running America isn’t like running a family business. It has to be done by setting broad policies and sticking to them, not by browbeating a few people whenever you see a bad headline.
So Trump’s promise to restore U.S. manufacturing was doomed to fail. Why did he make it in the first place?
For what it’s worth, I suspect that in this case Trump wasn’t actually trying to scam voters. My guess is that he genuinely believed that he could bring manufacturing, coal mining and so on roaring back, that others had failed to do so only because they weren’t tough enough.
You might wonder where his confidence came from, given how little he obviously knows about economics. The answer, probably, is the Dunning-Kruger effect: inept people are often confident in their abilities, because they’re too inept to know how badly they’re doing.
But the real question isn’t whether Trump will ever realize that he doesn’t know how to MAGA. It’s whether and when his supporters will figure it out. I guess we’ll learn the answer in the months ahead.
Quando la fantasia del “Fare-di-nuovo-grande-l’America” incontra la realtà della ‘Cintura della ruggine’ [1],
di Paul Krugman
Guardiamo le cose per quello che sono: “Fare-di-nuovo-grande-l’America” (MAGA) è stato un brillante slogan politico. Perché? Perché poteva significare cose diverse per le diverse persone.
Per molti sostenitori di Donald Trump, il MAGA fu fondamentalmente una promessa di ritorno ai bei tempi andati del razzismo e del sessismo. E Trump sta mantenendo quella promessa.
Ma almeno per alcuni elettori di Trump, era stata una promessa di ripristinare il tipo di economia che avevamo 40 o 50 anni fa – un’economia che ancora offriva ai maschi tanti posti di lavoro nel manifatturiero e nelle miniere. Sfortunatamente per coloro che credettero al Signor Artista degli Accordi, Trump non ha mai avuto la minima idea di come mantenere quella promessa. E persino se avesse avuto un’idea di come fare una politica del genere, non avrebbe potuto cambiare la traiettoria di lungo termine della nostra economia, che si sta allontanando stabilmente dal produrre cose materiali e indirizzando alla fornitura di servizi.
Di conseguenza Trump, che si preoccupa soprattutto della sua immagine, adesso riceve titoli di giornale che ironizzano sui suoi atteggiamenti in campagna elettorale – titoli sulla chiusura di stabilimenti automobilistici e sui posti di lavoro persi. Ora, le automobili sono un caso particolare: la complessiva occupazione manifatturiera è ancora in crescita, sebbene non particolarmente veloce. Ma in rapporto alle sue grandiose promesse, ciò che accade è un fallimento imbarazzante.
Perché era un nonsenso quella visione di un manifatturiero rivitalizzato? Parlare di cosa Donald Trump non conosce, naturalmente, è un compito smisurato, dato che la sua ignoranza è tanto vasta quanto profonda. Ma egli sembra aver frainteso tre cose particolari sul manifatturiero.
In primo luogo, crede che i deficit commerciali siano la ragione per la quale siamo usciti da quel settore. Ma non è dipeso dai deficit.
Ad esser giusti, quei deficit hanno giocato un qualche ruolo nel restringimento dell’occupazione industriale degli Stati Uniti. Se potessimo eliminare il nostro attuale squilibrio commerciale, avremmo probabilmente circa un 20 per cento di lavoratori del settore manifatturiero in più di quelli che abbiamo effettivamente. Ma ciò avrebbe invertito solo una piccola parte del declino relativo delle manifatture, da più di un quarto della forza lavoro nel 1970 a meno del dieci per cento di oggi.
Infatti, persino i paesi che hanno vasti surplus commerciali, come la Germania, hanno conosciuto grandi riduzioni nel manifatturiero, come quota dell’occupazione totale. Il commercio, semplicemente, non è la spiegazione principale. Quello che invece sta accadendo è che la spesa complessiva cresce, con una quota crescente che va ai servizi, non ai prodotti. Il consumo dei beni manifatturieri continua a crescere, ma il progresso tecnologico ci consente di produrre quei beni con un numero di lavoratori inferiore a sempre; così l’economia si sposta verso i servizi.
Per inciso, se volete sapere cosa significano i “servizi”: dei quattro impieghi che il Dipartimento del Lavoro si aspetta aumentino nel prossimo decennio più di tutti gli altri, tre sono di tipo infermieristico (il quarto sono i lavoratori del settore alimentare). E se non riuscite a immaginare come un’economia prospera possa essere costruita sui servizi, tenete a mente che l’assistenza sanitaria è una ampia sorgente di posti di lavoro da classe media, e potrebbe darci anche di più con le politiche giuste.
Eppure, anche se i deficit commerciali sono chiaramente una causa secondaria del declino del manifatturiero, non può Trump dare un piccolo contributo mostrandosi duro con gli stranieri? Questo ci porta al secondo errore: non è vero che i deficit commerciali siano provocati da pratiche commerciali disoneste degli stranieri.
La verità è che mentre le tariffe e tutto il resto possono influenzare il commercio in alcune industrie, la complessiva bilancia commerciale principalmente riflette i tassi di cambio, che a loro volta sono principalmente guidati dai flussi dei capitali: il dollaro è forte perché gli stranieri vogliono comprare asset statunitensi. E le politiche di Trump – i tagli alle tasse alle società, i grandi deficit che spingono in alto i tassi di interesse – finora stanno rendendo il dollaro persino più forte.
Infine, la reazione irata di Trump alla chiusura degli stabilimenti di automobili segnala una terza incomprensione politica: lui crede che si possa governare l’economia urlando alla gente.
Perché sbaglia? Non si tratta solo del fatto che le imprese hanno imparato a mettere nel conto le sue minacce. Ancora più importante è che la nostra economia è troppo grande perché si possa fare politica isolando le società una ad una e imprecando. Quanto è grande? Circa 1,7 milioni di lavoratori statunitensi vengono licenziati o temporaneamente sospesi dal lavoro ogni mese. In tal modo, persino un Presidente che spendesse meno tempo nel giocare a golf non potrebbe intimidire o minacciare un numero sufficiente di datori del lavoro per provocare una differenza significativa sul mercato del lavoro.
Oppure, per dirla diversamente, governare l’America non è come governare un’impresa familiare. E qualcosa che va fatto definendo politiche generali e seguendole con rigore, non tiranneggiando una manciata di persone ogni qualvolta si legge un titolo di giornale negativo.
Dunque, la promessa di Trump di ripristinare il settore manifatturiero americano era destinata a fallire. Perché l’ha fatta sin dall’inizio?
Per quello che può valere, ho il sospetto che in questo caso egli non stesse effettivamente cercando di ingannare gli elettori. La mia impressione è che credesse di poter davvero riportare le manifatture, le miniere di carbone e tutto il resto ad un ruggente ritorno sulla scena, qualcosa che altri non erano riusciti a fare soltanto perché non erano stati abbastanza duri.
Potete chiedervi da dove venisse la sua fiducia, considerato quanto evidentemente poco conosce l’economia. La risposta, probabilmente, è l’effetto Dunning-Kruger [2]: persone inette sono spesso fiduciose nelle loro capacità, perché sono troppo inette per sapere quanto stiano male operando.
Ma la vera domanda non è se Trump mai realizzerà quello che non conosce, come Fare-di-nuovo-grande-l’America. È se e quando i suoi sostenitori lo capiranno. Penso che conosceremo la risposta nei prossimi mesi.
[1] Letteralmente la “Cintura della ruggine” è la grande area che comincia a New York e attraversa il settentrione passando per la Pennsylvania, la Virginia Occidentale, l’Ohio, l’Indiana e la parte più bassa della penisola del Michigan, per finire nella parte settentrionale dell’Illinois, in quella orientale dello Iowa e in quella sud orientale del Wisconsin. Ovvero, l’area che è stata caratterizzata maggiormente dai fenomeni della deindustrializzazione manifatturiera. Tale ‘Cintura’ è ben visibile in questa cartina da Wikipedia, dove le aree con una perdita maggiore di posti di lavoro manifatturieri sono segnate dal color marrone (perdite superiori al 58%) e in rosso (perdite dal 46 al 53%); mentre le aree con maggiori guadagni sono segnate dai colori verde chiaro e verde (i dati sono relativi al periodo dal 1954 al 2002):
[2] Uno psicologo statunitense che nel 1999 spiegò come l’incompetenza producesse un effetto multiplo in ogni lavoro: una minore qualità delle prestazioni, ma anche l’incapacità di vedere e correggere i propri errori, ritenendosi spesso perfettamente capaci di operare nel migliore dei modi. Egli studiò il comportamento delle maestranze di due imprese: dal 30 al 40 per cento degli intervistati ritenevano di far parte del 5 per cento dei lavoratori con maggiore professionalità. Non perché fossero vicini a tali prestazioni, ma proprio perché ne erano assolutamente distanti.
By mm
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