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Virilità, soldi, McConnell e il trumpismo, di Paul Krugman (New York Times, 13 dicembre 2018)

 

Dec. 13,2018

Manhood, Moola, McConnell and Trumpism

By Paul Krugman

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After Tuesday’s testy exchange between Donald Trump and Democratic leaders, it seems quite possible that the tweeter in chief will shut down the government in an attempt to get funding for a wall on the Mexican border. What’s remarkable about this prospect is that the wall is an utterly stupid idea. Even if you’re bitterly opposed to immigration, legal or otherwise, spending tens of billions of dollars on an ostentatious physical barrier is neither a necessary nor an effective way to stop immigrants from coming.

So what’s it about? Nancy Pelosi, almost sure to be the next speaker of the House, reportedly told colleagues that for Trump, the wall is a “manhood thing.” That sounds right. But that got me thinking. What other policies are driven by Trump’s insecurity? What’s driving this administration’s policy in general?

The answer to these questions, I’d argue, is that there are actually three major motives behind Trumpist policy, which we can label Manhood, McConnell and Moola.

By McConnell I mean the standard G.O.P. agenda, which basically serves the interests of big donors, both wealthy individuals and corporations. This agenda consists, above all, of tax cuts for the donor class, with cuts in social programs to make up for some of the lost revenue. It also includes deregulation, especially for polluters but also for financial institutions and dubious players like for-profit colleges.

During the 2016 campaign, Trump posed as a different kind of Republican, someone who would protect the safety net and raise taxes on the rich. In office, however, his domestic policy has been totally orthodox. His only significant legislative victory in the first two years has been a tax cut that heavily favored the rich; he has done all he can to undermine health care for lower- and middle-income Americans; he has gutted both environmental protection and financial regulation.

Trump’s foreign policy has, however, made a break, not just with previous Republican practice, but with everything America used to stand for. Previous presidents may have made realpolitik accommodations with unsavory regimes, but we’ve never seen anything like Trump’s obvious preference for brutal despots over democratic allies, his willingness to make excuses for whatever people like Vladimir Putin or Mohammed bin Salman do, up to and including murder.

Some of this may reflect personal values: Putin, bin Salman and other strongmen are just Trump’s kind of people. But it’s hard to escape the suspicion that Moola — financial payoffs to Trump personally via the Trump Organization — plays an important role. After all, unlike leaders of democracies, dictators and absolute monarchs can direct lots of cash to Trump properties and offer the Trump family investment opportunities without having to explain their actions to pesky elected representatives.

So where does Manhood come in? The wall is an obvious example. The giveaway is the administration’s focus on how the “big, beautiful wall” will look, as opposed to what it will do. When Customs and Border Protection solicited bids from contractors, it specified that the wall be “physically imposing,” and further that “The north side of wall (i.e. U.S. facing side) shall be aesthetically pleasing.” It didn’t say that the structure should bear huge signs reading TRUMP WALL, but that may have been an oversight.

But I’d argue that Trump’s desire to assert his manhood is playing a big role in other areas, too, most notably trade policy.

I’ve been tracking the adventures of Tariff Man, and what strikes me is not just the overwhelming view on the part of economists that the Trump tariffs are a bad idea, but the fact that the tariffs are a political dud. That is, there doesn’t seem to be any large constituency demanding a confrontation with our trading partners.

Who wants a trade war? Not corporate interests — stocks fall whenever trade rhetoric heats up and rise when it cools down. Not farmers, hit hard by retaliatory foreign tariffs. Not working-class voters in the Rust Belt states that were crucial to Trump’s 2016 victory: A plurality of likely voters in those states say that tariffs hurt their families. Belligerence on trade, it turns out, is pretty much a one-man affair: It’s what Trump wants, and that’s about it.

True, given how U.S. trade law works, a president can have a trade war (as opposed to, say, a border wall) without congressional approval. But what’s Trump’s motivation? Well, he made trade his signature issue, and he wants to claim that he’s achieved big things. It’s telling that even when he leaves policy mostly the same he insists on a name change. That way he can go around pretending that the “U.S.-Mexico-Canada Agreement” — or as Pelosi calls it, the “trade agreement formerly known as Prince” — is completely different from Nafta, and that he had a big win.

So major affairs of state are being decided not by the national interest, nor even by the interests of major groups within the nation, but by the financial interests and/or ego of the man in the White House. Is America amazing, or what?

 

 

Virilità, soldi, McConnell e il trumpismo,

di Paul Krugman

Dopo la scontrosa conversazione di martedì tra Donald Trump e i dirigenti democratici, sembra abbastanza probabile che il twittatore in capo farà chiudere i rubinetti al Governo nel tentativo di ottenere il finanziamento per un muro sul confine messicano [1]. Quello che è rilevante in questa prospettiva è che il muro è un’idea completamente stupida. Se anche vi opponete con asprezza all’immigrazione, legale o no, spendere decine di miliardi di dollari per una esibizionistica barriera fisica non è necessario e non è neanche un modo efficace per fermare l’ingresso degli immigranti.

Dunque, a che serve? Sembra che Nancy Pelosi, quasi certamente la futura speaker della Camera, abbia detto ai suoi colleghi che per Trump il muro è “una cosa virile”. Il che sembra giusto, ma mi ha fatto riflettere. Quali altre politiche sono dettate dall’insicurezza di Trump? Più in generale, cos’è che guida la politica di questa Amministrazione?

Direi che la risposta a queste domande è che in sostanza ci sono tre principali motivi dietro la politica trumpista, che possiamo etichettare come: la virilità, McConnell e il denaro.

Con McConnell intendo l’agenda ordinaria del Partito Repubblicano, che fondamentalmente è al servizio degli interessi dei suoi finanziatori, sia gli individui molto ricchi che le società. Questa agenda consiste soprattutto nei tagli alle tasse per la categoria dei finanziatori, assieme a tagli ai programmi sociali per mettere assieme una parte delle entrate perdute. Ciò include anche la deregolamentazione, in particolare per chi inquina ma anche per le istituzioni finanziarie e per attori discutibili come le università a fini di lucro.

Durante la campagna elettorale del 2016, Trump si atteggiò come un genere di repubblicano diverso, qualcuno che voleva proteggere le reti della sicurezza sociale e alzare le tasse sui ricchi. Una volta in carica, tuttavia, la sua politica è stata pienamente ortodossa. In due anni, la sua unica vittoria legislativa è stato un taglio delle tasse che ha pesantemente favorito i ricchi; ha fatto tutto quello che poteva per mettere a repentaglio l’assistenza sanitaria per gli americani con redditi più bassi e medi; ha demolito sia la protezione dell’ambiente che la regolamentazione finanziaria.

Tuttavia, la politica estera di Trump è stata una rottura, non solo con la prassi precedente dei repubblicani, ma con tutto quello per cui l’America era solita battersi. I precedenti Presidenti possono aver messo in atto intese da realpolitik con regimi disgustosi, ma non abbiamo mai visto niente come l’evidente preferenza di Trump per despoti brutali rispetto agli alleati democratici, come la sua disponibilità ad accampare scuse per qualsiasi cosa facciano persone come Putin o Mohammed bin Salman, sino a includere gli assassinii.

Una parte di questo può riflettere valori personali: Putin, bin Salman e altri uomini forti sono precisamente il genere di individui che Trump gradisce. Ma è difficile sfuggire al sospetto che i soldi – i vantaggi finanziari che vanno personalmente a Trump attraverso la Trump Organization – giochino un ruolo importante. Dopo tutto, diversamente dai dirigenti delle democrazie, i dittatori ed i monarchi assoluti possono indirizzare grandi quantità di contanti a Trump e offrire alla sua famiglia opportunità di investimenti senza dover spiegare le loro azioni a molesti rappresentanti eletti.

E poi, come entra in scena la virilità? Il muro è un ottimo esempio. La dimostrazione è nel come la Amministrazione si concentra su come il muro apparirà “grande e bello”, anziché sulla sua utilità. La Protezione delle dogane e dei confini ha sollecitato offerte dalle imprese appaltatrici, specificando che il muro dovrà essere “fisicamente imponente”, e inoltre che “Il lato settentrionale del muro (ovvero quello che guarda gli Stati Uniti) sarà esteticamente piacevole”. Non ha detto che la struttura dovrebbe recare enormi cartelli indicanti il MURO TRUMP, ma quella potrebbe essere stata una svista.

Eppure, direi che il desiderio di Trump di affermare la sua virilità sta giocando un ruolo importante anche in altre aree, la più considerevole quella della politica del commercio.

Sono venuto seguendo le avventure dell’Uomo delle Tariffe, e quello che mi ha stupito non è solo l’opinione schiacciante da parte degli economisti per i quali le tariffe di Trump sono una pessima idea, ma il fatto che quelle tariffe, da un punto di vista politico, facciano cilecca. Ovvero, non sembra esserci alcuna ampia base elettorale che chiede uno scontro con i nostri partner commerciali.

Chi vuole una guerra commerciale? Non gli interessi delle società – le azioni cadono ogni qualvolta la retorica sul commercio si surriscalda e salgono quando si raffredda. Non gli agricoltori, colpiti duramente dalle ritorsioni delle tariffe straniere. Non gli elettori della classe lavoratrice negli Stati della ‘cintura della ruggine’ che furono fondamentali per la vittoria di Trump del 2016: molti dei probabili elettori in quegli Stati dicono che le tariffe danneggiano le loro famiglie. Si scopre che la belligeranza sul commercio è praticamente una faccenda di un singolo individuo: è quello che vuole Trump, e non riguarda altro.

È vero che per come funziona la legge commerciale degli Stati Uniti, un Presidente può decidere una guerra commerciale (all’opposto, ad esempio, di un muro su un confine). Ma quale è la motivazione di Trump? Ebbene, lui ha fatto del commercio il suo tema distintivo, e vuole sostenere che ha realizzato grandi cose.  Ciò spiega perché, anche quando mette da parte quella politica, di solito insiste per un cambiamento dei nomi. Il quel modo può andarsene in giro fingendo che l’”Accordo Stati Uniti-Messico-Canada” – o come lo chiama la Pelosi, “l’accordo commerciale in precedenza conosciuto come Prince” [2] – è completamente diverso dal NAFTA, e che ha ottenuto un grande vittoria.

Dunque, importanti affari di Stato vengono decisi non per l’interesse nazionale, e nemmeno per gli interessi di gruppi potenti all’interno della nazione, ma per gli interessi finanziari e/o l’ego dell’uomo alla Casa Bianca. L’America è sorprendente, o che altro?  

 

 

 

 

 

 

[1] Nel senso che tale questione rientra tra i poteri della Camera dei Rappresentanti, oggi a maggioranza democratica, e Trump potrebbe sfidare i democratici a tale misura estrema (tecnicamente conseguente alla non approvazione del tetto del debito federale; una misura che i repubblicani minacciarono e applicarono varie volte, contro Clinton e Obama, quando avevano loro la maggioranza).

[2] Vedi la nota 1 alla traduzione “L’arte dell’accordo immaginario”.

 

 

 

 

 

 

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