Jan.7, 2019
By Paul Krugman
Almost 40 years have passed since Daniel Patrick Moynihan — a serious intellectual turned influential politician — made waves by declaring, “Of a sudden, Republicans have become a party of ideas.” He didn’t say that they were good ideas; but the G.O.P. seemed to him to be open to new thinking in a way Democrats weren’t.
But that was a long time ago. Today’s G.O.P. is a party of closed minds, hostile to expertise, aggressively uninterested in evidence, whose idea of a policy argument involves loudly repeating the same old debunked doctrines. Paul Ryan’s “innovative” proposals of 2011 (cut taxes and privatize Medicare) were almost indistinguishable from those of Newt Gingrich in 1995.
Meanwhile, Democrats have experienced an intellectual renaissance. They have emerged from their 1990s cringe; they’re no longer afraid to challenge conservative pieties; and there’s a lot of serious, well-informed intraparty debate about issues from health care to climate change.
You don’t have to agree with any of the various Medicare for All plans, or proposals for a Green New Deal, to recognize that these are important ideas receiving serious discussion.
The question is whether our media environment can handle a real party of ideas. Can news organizations tell the difference between genuine policy wonks and poseurs like Ryan? Are they even willing to discuss policy rather than snark about candidates’ supposed personality flaws?
Which brings me to the case of Elizabeth Warren, who is probably today’s closest equivalent to Moynihan in his prime.
Like Moynihan, she’s a serious intellectual turned influential politician. Her scholarly work on bankruptcy and its relationship to rising inequality made her a major player in policy debate long before she entered politics herself. Like many others, I found one of her key insights — that rising bankruptcy rates weren’t caused by profligate consumerism, that they largely reflected the desperate attempts of middle-class families to buy homes in good school districts — revelatory.
She has also proved herself able to translate scholarly insights into practical policy. Full disclosure: I was skeptical about her brainchild, the Consumer Financial Protection Bureau. I didn’t think it was a bad idea, but I had doubts about how much difference a federal agency tasked with policing financial fraud would make. But I was wrong: Deceptive financial practices aimed at poorly informed consumers do a lot of harm, and until President Trump sabotaged it, the bureau was by all accounts having a hugely salutary effect on families’ finances.
And Warren’s continuing to throw out unorthodox policy ideas, like her proposal that the federal government be allowed to get into the business of producing some generic drugs. This is the sort of thing that brings howls of derision from the right, but that actual policy experts consider a valuable contribution to the discussion.
Is there anyone like Warren on the other side of the aisle? No. Not only aren’t there any G.O.P. politicians with comparable intellectual heft, there aren’t even halfway competent intellectuals with any influence in the party. The G.O.P. doesn’t want people who think hard and look at evidence; it wants people like, say, the “economist” Stephen Moore, who slavishly reaffirm the party’s dogma, even if they can’t get basic facts straight.
Does all of this mean that Warren should be president? Certainly not — a lot of things determine whether someone will succeed in that job, and intellectual gravitas is neither necessary nor sufficient. But Warren’s achievements as a scholar/policymaker are central to her political identity, and clearly should be front and center in any reporting about her presidential bid.
But, of course, they aren’t. What I’m seeing are stories about whether she handled questions about her Native American heritage well, or whether she’s “likable.”
This kind of journalism is destructively lazy, and also has a terrible track record. I’m old enough to remember the near-universal portrayal of George W. Bush as a bluff, honest guy, despite the obvious lies underlying his policy proposals; then he took us to war on false pretenses.
Moreover, trivia-based reporting is, in practice, deeply biased — not in a conventional partisan sense, but in its implicit assumption that a politician can’t be serious unless he (and I mean he) is a conservative, or at most centrist, white male. That kind of bias, if it persists, will be a big problem for a Democratic Party that has never been more serious about policy, but has also never been more progressive and more diverse.
This bias needs to be called out — and I’m not just talking about Warren. Consider the contrast between the unearned adulation Ryan received and how long it took conventional wisdom to recognize that Nancy Pelosi was the most effective House speaker of modern times.
Again, I’m not arguing that Warren should necessarily become president. But she is what a serious policy intellectual looks and sounds like in 2019. And if our media can’t recognize that, we’re in big trouble.
Elizabeth Warren e il suo Partito delle idee,
di Paul Krugman
Sono passati quasi 40 anni da quando Daniel Patrick Moynihan – un serio intellettuale diventato un uomo politico influente – face scalpore dichiarando: “All’improvviso i repubblicani sono diventati un Partito delle Idee”. Egli non disse che erano buone idee; ma che il Partito Repubblicano gli sembrava aperto a nuovi ragionamenti in un modo in cui non lo erano i democratici.
Ma questo avveniva molto tempo fa. Oggi il Partito Repubblicano è un partito con una mentalità chiusa, ostile alle competenze, aggressivamente non interessato ai fatti, la cui idea degli argomenti della politica si basa sulla rumorosa insistenza sulle stesse vecchie screditate dottrine. Le proposte “innovative” di Paul Ryan del 2011 (tagli alle tasse e privatizzazione di Medicare) erano quasi indistinguibili da quelle di Newt Gingrich del 1995.
Nel frattempo, i democratici hanno conosciuto una rinascita intellettuale. Sono venuti fuori dalla loro condizione sottomessa degli anni ’90; non sono più intimoriti dalla sfida ai luoghi comuni della devozione conservatrice; e c’è un grande serio dibattito, ben argomentato, all’interno del partito su temi che vanno dalla assistenza sanitaria al cambiamento climatico.
Non è necessario essere d’accordo con tutti i vari programmi del genere Medicare-per-tutti, o sulle proposte per un New Deal Verde, per riconoscere che queste idee importanti stanno provocando un dibattito serio.
La domanda è se il nostro ambiente mediatico possa tollerare un vero partito di idee. Le agenzie giornalistiche sono nelle condizioni di spiegare la differenza tra genuini esperti di politica e gli atteggiamenti alla Ryan? Sono addirittura disponibili a discutere di politica anziché ironizzare sui presunti difetti delle personalità dei candidati?
Il che mi porta al caso di Elizabeth Warren, che al giorno d’oggi è probabilmente l’equivalente più vicino al Moynihan del suo periodo migliore.
Come Moynihan, ella è una seria intellettuale diventata una persona politica influente. Il suo lavoro di studiosa dei fallimenti bancari e delle loro relazioni con la crescente ineguaglianza fece di lei una importante protagonista del dibattito politico assai prima che entrasse in politica in prima persona. Come molti altri, trovai rivelatoria una delle sue intuizioni – il fatto che il crescente tasso di fallimenti bancari non fosse provocato dal consumismo scialacquatore, ma che riflettesse in buona misura i disperati tentativi delle famiglie di classe media di acquistare abitazioni in buoni distretti scolastici.
Ella si è anche dimostrata capace di tradurre le sue intuizioni di studiosa nella pratica politica. Devo ammetterlo: fui scettico sul parto del suo ingegno, l’Ufficio per la Protezione dell’Utente Finanziario. Non pensavo che fosse una cattiva idea, ma avevo dubbi su quanto differenza avrebbe fatto una agenzia federale incaricata di sorvegliare le frodi finanziarie. Ma avevo torto: le pratiche finanziarie ingannevoli riguardavano utenti con poca informazione, e finché il Presidente Trump non l’ha sabotato, l’Ufficio da tutti i punti di vista stava ottenendo un effetto salutare sulle finanze delle famiglie.
E la Warren sta proseguendo a sfornare idee politiche non ortodosse, come la sua proposta che al Governo Federale venga consentito di entrare nell’affare della produzione di alcune medicine generiche. È il genere di cose che procurano ululati di derisione dalla destra, ma che gli effettivi esperti di politica considerano un valido contributo al dibattito.
C’è qualcuno simile alla Warren sull’altro lato dello schieramento politico? No. Non solo non ci sono politici repubblicani con un peso intellettuale paragonabile, non ci sono neppure intellettuali mediamente competenti con qualche influenza nel partito. Il Partito Repubblicano non vuole individui che ragionino seriamente e stiano ai fatti; vuole persone come il presunto economista Stephen Moore, che ribadisce pedissequamente i dogmi del partito, anche se essi non hanno alcuna coerenza con i fatti fondamentali.
Tutto questo significa che la Warren diventerà Presidentessa? Certamente no – una gran quantità di cose determinano che qualcuno abbia successo in quella carica, e il peso intellettuale non è né necessario né sufficiente. Ma le realizzazioni della Warren sono caratteristiche della sua identità politica, e chiaramente dovrebbero stare in prima linea in ogni resoconto sulla sua offerta presidenziale.
Ma, evidentemente, non lo sono. Quello che sto registrando sono storielle sul fatto che ella gestisca nel migliore dei modi le domande sulla sua provenienza di americana “nativa”, o se sia “attraente”.
Questo genere di giornalismo è paurosamente sciatto, ed ha anche precedenti terribili. Sono abbastanza anziano da ricordare il ritratto quasi universale di George W. Bush come un individuo schietto e onesto, nonostante le evidenti menzogne che erano implicite nelle sue proposte politiche; poi ci portò in guerra sulla base di pretesti falsi.
Inoltre, i resoconti basati su trivialità sono in pratica profondamente tendenziosi – non nel senso convenzionale degli schieramenti, ma non loro implicito assunto che un politico non può essere serio se non è un “lui”, un maschio bianco conservatore o al massimo centrista. Quel genere di tendenziosità, se persisterà, sarà un gran problema per un Partito Democratico che sui programmi della politica non è mai stato più serio, ma che anche non è mai stato più progressista e più aperto alle diversità.
Questa tendenziosità deve essere sfidata – e non mi riferisco soltanto alla Warren. Si consideri il contrasto tra l’inaudita adulazione che ricevette Ryan e il tempo che c’è voluto perché la ‘saggezza convenzionale’ riconoscesse che Nancy Pelosi è stata la più efficace Presidente della Camera dei Rappresentanti dei tempi moderni.
Di nuovo, non sto sostenendo che necessariamente la Warren dovrebbe diventare Presidentessa. Ma, nel 2019, è quella che appare e assomiglia ad una intellettuale prestata alla politica. E se i nostri media non sanno riconoscerlo, siamo in un gran guaio.
By mm
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