Jan 22, 2019
NEW HAVEN – The death on January 16 of Jack Bogle, the founder of the investment company Vanguard Group, was met with a slew of flattering obituaries. Of course, obituaries often praise their subjects. But Bogle’s seemed more laudatory than usual. And I think there is a reason: Bogle was an unusually morally directed man.
Of course, we cannot judge his success by his personal wealth. When Bogle established Vanguard in 1975, he set it up as a nonprofit. The company has no outside shareholders; all profits are reflected in lower fees, not dividends.
By metrics other than founder wealth, the Vanguard Group is a huge success. It invests for 20 million people in 170 countries. It has $4.9 trillion in assets under management. It may be the world’s most significant investment company.
But this does not mean that we must agree with everything Bogle said, or malign others who are not nonprofit. His is not the only way to be moral.
Bogle’s morality was rooted in his conviction that trying to beat the market is futile. This was reflected in his 2007 book The Little Book of Common Sense Investing: The Only Way to Guarantee Your Fair Share of Stock Market Returns. His investment strategy is “the only way,” and the opening paragraph of the tenth-anniversary edition sums it up:
“Successful investing is all about common sense. As Warren Buffett, the Oracle of Omaha, has said, it is simple but it is not easy. Simple arithmetic suggests, and history confirms, that the winning strategy for investing in stocks is to own all of the nation’s publicly held businesses at very low cost.”
This means that one should simply invest in an index fund that represents the whole market and then call it a day. But it is a little odd to be quoting Buffett in support of such a strategy, given that the Oracle of Omaha owes his fame (and his moniker) entirely to his ability to outperform the market.
Bogle’s statement is best interpreted as applying to his audience of individual retail investors. Because the market portfolio is the average investment for all investors, the average investor can do no better than the average for the market. But the excitement of the market causes people to lose sight of that. As Bogle puts it in his book: “The stock market is a giant distraction from the business of investing.”
He is right about the distraction. People look for excitement, and the stock market is one game they can play. People will gamble anyway, if not in the stock market, then in a casino. On the other hand, it is no doubt better overall if people learn lessons about business and real economic activity, rather than card-counting tricks. There may be rough rides for some, but the hurly burly of the stock market is also a sign of a vibrant economy.
Advising people simply to hold the market is advising them to free-ride on the wisdom of others who do not follow such a strategy. If everyone followed Bogle’s advice, market prices would turn into nonsense and would provide no direction to economic activity.3
I remember exactly when I began to appreciate the complexity of the moral issues money management entails: October 8, 2009. I received a phone call from the eminent MIT economist Paul Samuelson, who had been my teacher when I was a graduate student in the early 1970s. He was 94 years old at the time, and two months later he died. I was so impressed by the call that I took notes on it in my diary.
Samuelson was responding to my recent publications advocating expanded insurance, futures, and options markets to mitigate the financial risks – for example, those related to housing prices and occupational incomes – that ordinary people face. He said that these markets could, if pitched to the general population, turn into “casino markets,” with people using them to gamble, rather than to protect themselves.
He then brought up the example of Bogle, who “gave up a billion dollars for a concept,” Samuelson said. “He could easily have cashed this in,” but he didn’t. “The miracle that was Vanguard came from Bogle’s principles.”
I thought he was right. In the long run, markets reward principled people. But there is still need for an expanded set of risk markets, because these markets can – and do – carry out useful functions, including risk management, incentivization, and orienting business.
The problem is that attention to these markets requires intelligent and hard-working people to help others in their investing. Theirs is not a zero-sum game, for they help direct resources to better uses. And these people must be paid. Even Vanguard, which now has a number of different index funds, hires investment managers and charges a management fee, albeit a low one.
Not every fund needs a low fee. We live in a world where constant and rapid change and innovation require more attention, and attention is costly. While many financial managers are at times unscrupulous, a higher management fee is not always a sign that something is wrong.
But Bogle is still a hero of mine, because he provided an honest product and was motivated by a sincere desire to help people. And he should be a hero to all, because he showed that markets eventually recognize integrity.
La moralità e la gestione del denaro,
di Robert J. Shiller
NEW HAVEN – La morte il 16 gennaio di Jack Bogle [1], il fondatore della società di investimenti Vanguard Group, è stata accolta da molti necrologi lusinghieri. Ovviamente, è frequente che i necrologi contengano elogi ai destinatari. Ma nel caso di Bogle sono sembrati più calorosi del solito. E penso che ci sia stata una ragione: Bogle era una persona orientata in modo inconsueto alla moralità.
Naturalmente, non possiamo giudicare il suo successo dalla sua ricchezza personale. Quando Bogle fondò Vanguard nel 1975, stabilì che fosse una impresa no profit. La società non ha azionisti esterni; tutti i profitti si risolvono in tariffe più basse, non in dividendi.
Sulla base di metri di misura diversi da quello della ricchezza del fondatore, Vanguard Group è un grande successo. Investe per conto di 20 milioni di persone in 170 paesi. Ha sotto la propria gestione asset per 4.900 miliardi di dollari. Il che equivale alla società di investimenti più significativa al mondo.
Ma questo non significa che si debba essere d’accordo con tutto quello che Bogle disse, o che si debba dir male degli altri che non sono no profit. Il suo non è l’unico modo di essere morali.
La moralità di Bogle era radicata nella sua convinzione che fosse inutile cercar di battere i mercati. Questo era contenuto nel suo libro del 2007: “Il piccolo libro del senso comune degli investimenti: il solo modo di garantirsi una quota onesta di rendimenti dal mercato azionario”. La sua strategia degli investimenti è “l’unico modo” e il paragrafo di apertura della edizione del decimo anniversario la riassume così:
“Un investimento di successo riguarda unicamente il senso comune. Come ha detto Warren Buffett, l’Oracolo di Omaha, è semplice ma non è facile. La semplice aritmetica indica, e la storia conferma, che la strategia vincente per investire in azioni è essere proprietari di ogni impresa quotata in borsa della nazione ad un costo minimo”.
Questo significa che si dovrebbe investire semplicemente in un fondo indicizzato che rappresenti l’intero mercato e poi smetterla. Ma è un po’ bizzarro citare Buffett a sostegno di questa strategia, dato che l’Oracolo di Omaha deve interamente la sua fama (e il suo soprannome) alla sua capacità di avere prestazioni migliori del mercato.
La dichiarazione di Bogle è interpretata nel migliore dei modi se viene riferita al suo pubblico di investitori individuali al dettaglio. Poiché il portafoglio di un mercato sono gli investimenti medi di tutti gli investitori, l’investitore medio non può far meglio della media del mercato. Ma l’eccitazione del mercato spinge la gente a perderlo di vista. Come si esprime Bogle nel suo libro: “Il mercato azionario è una gigantesca distrazione dall’impresa di investire”.
Ha ragione, riguardo alla distrazione. Le persone cercano l’eccitazione, e il mercato azionario è un gioco a loro disposizione. Le persone scommetteranno in ogni modo, se non nel mercato azionario, piuttosto in un casinò. D’altra parte, senza alcun dubbio nel complesso è meglio se le persone apprendono le lezioni sulle imprese e sulla reale attività economica, anziché dai trucchi del conteggio delle carte. Per alcuni ci possono essere attrazioni altalenanti, ma il trambusto del mercato azonario è anche un segno di una economia vigorosa.
Consigliare le persone semplicemente ad attenersi al mercato equivale a consigliarle di trarre vantaggio dalla accortezza degli altri che non seguono tale strategia. Se tutti seguissero il consiglio di Bogle, i prezzi dei mercati si risolverebbero in un nonsenso e non fornirebbero alcun indirizzo all’attività economica.
Ricordo esattamente quando cominciai a comprendere la complessità delle tematiche morali che la gestione del denaro comporta: l’8 ottobre del 2009. Ricevetti una telefonata dall’eminente economista del MIT Paul Samuelson, che era stato mio docente nei primi anni ’70, quando ero studente universitario. A quel tempo aveva 94 anni e morì due mesi dopo. Restai così impressionato da quella chiamata che ne presi nota sul mio diario.
Samuelson rispondeva a mie pubblicazioni recenti nelle quali sostenevo un ampliamento delle assicurazioni, dei contratti a termine e delle possibilità dei mercati di mitigare i rischi finanziari con i quali la gente comune si misura – ad esempio, quelli connessi con i prezzi immobiliari e i redditi occupazionali. Diceva che questi mercati potrebbero, promossi verso la popolazione complessiva, trasformarsi in “mercati casinò”, con la gente che li usa per fare scommesse, anziché per tutelarsi.
Menzionava poi l’esempio di Bogle, che, come disse, “rinunciava ad un miliardo di dollari per un’idea”. “Poteva facilmente averli incassati”, ma non l’ha fatto. “Il miracolo è stato che Vanguard derivava di principi di Bogle”.
Pensai che avesse ragione. Nel lungo termine, i mercati premiano le persone con principi. Ma c’è ancora bisogno di ampliare il complesso dei mercati del rischio, perché quei mercati possono – e lo fanno – compiere funzioni utili, inclusa la gestione dei rischi, l’incentivazione e l’orientamento dell’impresa.
Il problema è che quella attenzione a questi mercati richiede persone intelligenti che operano con impegno per aiutare gli altri nei loro investimenti. Il loro non è un gioco a somma zero, giacchè contribuiscono a dirigere le risorse verso migliori utilizzi. E queste persone debbono essere pagate. Anche Vanguard, che adesso ha un certo numero di fondi indicizzati, assume manager degli investimenti ed applica una tariffa per tali gestioni, per quanto bassa.
Non tutti i fondi hanno bisogno di una tariffa bassa. Viviamo in un mondo nel quale i costanti e rapidi mutamenti e l’innovazione richiedono maggiore attenzione, e l’attenzione è costosa. Se molti manager finanziari sono talvolta privi di scrupoli, una tariffa più alta per le gestioni non è sempre un segno di qualcosa di sbagliato.
Ma Bogle resta un mio eroe, perché ha fornito un prodotto onesto ed era motivato dal desiderio autentico di aiutare la gente. Dovrebbe essere un ereoe per tutti, perché ha dimostrato che alla fine i mercati riconoscono l’integrità.
[1] John C. Bogle, nato a Montclair nel New Jersey nel 1929 e morto il 16 gennaio di questo mese, è stato un investitore americano, magnate e filantropo.
By mm
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