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La somma di alcune paure globali, di Paul Krugman (New York Times 24 gennaio 2019)

 

Jan. 24, 2019

The Sum of Some Global Fears

By Paul Krugman

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The last global economic crisis, for all its complex detail, had one big, simple cause: A huge housing and debt bubble had emerged in both the United States and Europe, and it took the world economy down when it deflated.

The previous, milder recession, in 2001, also had a single cause: the bursting of a bubble in technology stocks and investment (remember Pets.com?).

But the slump before that, in 1990-91, was a messier story. It was a smorgasbord recession — a downturn with multiple causes, ranging from the troubles of savings and loan institutions, to a glut of office buildings, to falling military spending at the end of the Cold War.

The best guess is that the next downturn will similarly involve a mix of troubles, rather than one big thing. And over the past few months we’ve started to see how it could happen. It’s by no means certain that a recession is looming, but some of our fears are beginning to come true.

Right now, I see four distinct threats to the world economy. (I may be missing others.)

China: Many people, myself included, have been predicting a Chinese crisis for a long time — but it has kept not happening. China’s economy is deeply unbalanced, with too much investment and too little consumer spending; but time and again the government has been able to steer away from the cliff by ramping up construction and ordering banks to make credit ultra-easy.

But has the day of reckoning finally arrived? Given China’s past resilience, it’s hard to feel confident. Still, recent data on Chinese manufacturing look grim.

And trouble in China would have worldwide repercussions. We tend to think of China only as an export juggernaut, but it’s also a huge buyer of goods, especially commodities like soybeans and oil; U.S. farmers and energy producers will be very unhappy if the Chinese economy stalls.

Europe: For some years Europe’s underlying economic weakness, due to an aging population and Germany’s obsession with running budget surpluses, was masked by recovery from the euro crisis. But the run of good luck seems to be coming to an end, with the uncertainty surrounding Brexit and Italy’s slow-motion crisis undermining confidence; as with China, recent data are ugly.

And like China, Europe is a big player in the world economy, so its stumbles will spill over to everyone, the U.S. very much included.

Trade war: Over the past few decades, businesses around the world invested vast sums based on the belief that old-fashioned protectionism was a thing of the past. But Donald Trump hasn’t just imposed high tariffs, he’s demonstrated a willingness to violate the spirit, if not the letter, of existing trade agreements. You don’t have to be a doctrinaire free-trader to believe that this must have a depressing economic effect.

For now, corporate leaders reportedly believe that things won’t get out of hand, that the U.S. and China in particular will reach a deal. But this sentiment could turn suddenly if and when business realizes that the hard-liners still seem to be calling the shots.

The shutdown: It’s not just the federal workers not getting paid. It’s also the contractors, who will never get reimbursed for their losses, the food stamp recipients who will be cut off if the stalemate goes on, and more. Conventional estimates of the cost of the shutdown are almost surely too low, because they don’t take account of the disruption a nonfunctioning government will impose on every aspect of life.

As in the case of a trade war, business leaders reportedly believe that the shutdown will soon be resolved. But what will happen to investment and hiring if and when corporate America concludes that Trump has boxed himself in, and that this could go on for many months?

So there are multiple things going wrong, all of which threaten the economy. How bad will it be?

The good news is that even taking all these negatives together, they don’t come close to the body blow the world economy took from the 2008 financial crisis. The bad news is that it’s not clear what policymakers can or will do to respond when things go wrong.

Monetary policy ­— that is, interest rate cuts by the Federal Reserve and its counterparts abroad — is normally the first line of defense against recession. But the Fed has very limited room to cut, because interest rates are already low, and in Europe, where rates are negative, there’s no room at all.

Fiscal policy — temporary hikes in government spending and aid to vulnerable workers — is the usual backup to monetary easing. But would a president who’s holding federal workers hostage in pursuit of a pointless wall be willing to enact a sensible stimulus? And in Europe, any proposal for fiscal action would probably encounter the usual German nein.

Finally, dealing effectively with any kind of global slump requires a lot of international cooperation. How plausible is that given who’s currently in charge?

Again, I’m not saying that a global recession is necessarily about to happen. But the risks are clearly rising: The conditions for such a slump are now in place, in a way they weren’t even a few months ago.

 

La somma di alcune paure globali,

di Paul Krugman

L’ultima crisi economica globale, con tutti i suoi complicati dettagli, ebbe una grande, semplice causa: una grande bolla immobiliare e del debito era emersa sia negli Stati Uniti che in Europa, e fece abbassare la cresta all’economia quando quelle bolle si sgonfiarono.

Anche la precedente recessione del 2001, più leggera, ebbe una causa unica: lo scoppio di una bolla nelle azioni tecnologiche e negli investimenti (vi ricordate Pets.com? [1]).

Ma la recessione precedente, nel 1990-91, fu una storia più complicata. Quella fu una recessione con una varietà di oggetti – cause multiple che andavano dalle difficoltà degli istituti per i risparmi ed i prestiti, agli eccessi nella costruzione dei palazzi per uffici, al declino delle spese militari alla fine della Guerra Fredda.

L’ipotesi più accreditata è che la prossima recessione riguarderà in modo simile una combinazione di difficoltà, piuttosto che una unica grande causa. E nei mesi passati abbiamo cominciato a renderci conto di come potrebbe avvenire. Non è assolutamente certo che una recessione sia incombente, ma alcuni dei nostri timori stanno cominciando ad avverarsi.

In questo momento, vedo quattro distinte minacce per l’economia globale (può darsi me ne sfuggano altre).

Cina: molte persone, incluso il sottoscritto, stanno prevedendo da tempo una crisi cinese – ma essa continua a non manifestarsi. L’economia della Cina è profondamente sbilanciata, con troppa spesa per investimenti e troppo poca spesa per consumi; ma il Governo è stato ripetutamente capace di allontanarsi dal precipizio intensificando le costruzioni e ordinando alle banche di fare crediti super agevolati.

Ma, alla fine è arrivato il giorno del regolamento dei conti? Data la passata elasticità della Cina, è difficile esserne certi. Ma i dati recenti sul settore manifatturiero cinese appaiono cupi.

E le difficoltà in Cina avrebbero ripercussioni su scala mondiale. Noi tendiamo a immaginarci la Cina come un colosso delle esportazioni, ma essa è anche una grande acquirente di prodotti, specialmente di materie prime come la soia e il petrolio; gli agricoltori e i produttori di energia statunitensi saranno molto scontenti se l’economia cinese va in stallo.

Europa: per alcuni anni la basilare debolezza economica dell’Europa, dovuta a una popolazione che invecchia e all’ossessione della Germania per i surplus di bilancio, è stata mascherata dalla ripresa dalla crisi dell’euro. Ma il periodo della buona sorte sembra stia arrivando ad un esaurimento, con l’incertezza che circonda la Brexit e la crisi al rallentatore dell’Italia che stanno minando la fiducia; come per la Cina, i dati recenti sono preoccupanti.

E, come la Cina, l’Europa è un grande protagonista dell’economia mondiale, cosicché i suoi passi falsi si trasmettono a tutti, inclusi in buona misura gli Stati Uniti.

Guerra commerciale: negli ultimi decenni le imprese nel mondo hanno investito grandi somme nella convinzione che il protezionismo all’antica fosse una moda del passato. Ma Donald Trump non ha solo imposto tariffe elevate, ha dimostrato di essere pronto e violare lo spirito, se non la lettera, degli accordi commerciali esistenti. Non è necessario essere un sostenitore dottrinario del libero commercio per ritenere che questo non possa non avere un effetto economico deprimente.

Sinora, i dirigenti delle società si dice che ritengano che le cose non finiranno fuori controllo, che in particolare gli Stati Uniti e la Cina raggiungeranno un accordo. Ma questa sensazione potrebbe arrivare bruscamente ad una svolta se e quando le imprese comprenderanno che gli estremisti paiono purtuttavia dirigere le danze.

Lo shutdown: non si tratta solo del fatto che i lavoratori federali non vengono pagati. Il punto sono anche gli appaltatori, che non verranno mai rimborsati per le loro perdite, i beneficiari degli aiuti alimentari che verranno tagliati fuori se si resta ad un punto morto, ed altri ancora. Le stime convenzionali dello shutdown sono quasi certamente troppo basse, perché non mettono nel conto il disordine che una amministrazione paralizzata imporrà su ogni aspetto della vita.

E nel caso di una guerra commerciale, pare che i dirigenti di impresa credano che lo shutdown verrà presto risolto. Ma cosa accadrà agli investimenti e alle assunzioni se e quando l’America delle società arriverà alla conclusione che Trump è finito ingabbiato, e che questo potrebbe andare avanti per mesi?

Dunque, ci sono molte cose che stanno andando verso il peggio, e tutte minacciano l’economia. Quanto sarà negativo?

La buona notizia è che anche mettendo assieme tutti questi fattori negativi, essi non arrivano vicini al brutto colpo che l’economia mondiale ricevette dalla crisi finanziaria del 2008. La cattiva notizia è che non è chiaro, quando le cose andassero nel verso sbagliato, cosa le autorità potranno o vorranno fare.

La politica monetaria – ovvero i tagli ai tassi di interesse che la Federal Reserve e le altre banche centrali all’estero – è normalmente la prima linea di difesa contro la recessione. Ma la Fed ha uno spazio molto modesto per fare tagli, giacché i tassi di interesse sono già bassi, e in Europa, dove i tassi sono negativi, non c’è nessuno spazio.

La politica della finanza pubblica – temporanei rialzi nella spesa pubblica e aiuti ai lavoratori vulnerabili – è il normale supporto alla facilitazione monetaria. Ma un Presidente che sta tenendo in ostaggio i lavoratori federali nel perseguimento di un muro inutile sarà disponibile a varare uno stimolo di buon senso? Per non dire che in Europa, ogni proposta di iniziativa di finanza pubblica probabilmente incontrerebbe il consueto nein tedesco.

Infine, misurarsi efficacemente con una recessione globale di ogni genere richiede molta cooperazione internazionale. Quanto è plausibile che essa sia concessa a chi è in carica in questo momento?

Ripetiamolo, non sto dicendo che una recessione globale sia necessariamente alle porte. Ma i rischi sono chiaramente crescenti: le condizioni per un tale smottamento adesso ci sono tutte, in una forma nella quale non c’erano sino a pochi mesi fa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] Il nome di una società che operava nel commercio via Internet di prodotti per gli animali domestici e che fallì, assieme a varie altre.

 

 

 

 

 

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