Jan 7, 2019
BERKELEY – Over the past 40 years, the US economy has experienced four recessions. Among the four, only the extended downturn of 1979-1982 had a conventional cause. The US Federal Reserve thought that inflation was too high, so it hit the economy on the head with the brick of interest-rate hikes. As a result, workers moderated their demands for wage increases, and firms cut back on planned price increases.
The other three recessions were each caused by derangements in financial markets. After the savings-and-loan crisis of 1991-1992 came the bursting of the dot-com bubble in 2000-2002, followed by the collapse of the subprime mortgage market in 2007, which triggered the global financial crisis the following year.
As of early January 2019, inflation expectations appear to be well anchored at 2% per year, and the Phillips curve – reflecting the relationship between unemployment and inflation – remains unusually flat. Production and employment excesses or deficiencies from potential-output or natural-rate trends have not had a significant effect on prices and wages.
At the same time, the gap between short and long-term interest rates on safe assets, represented by the so-called yield curve, is unusually small, and short-term nominal interest rates are unusually low. As a general rule of thumb, an inverted yield curve – when the yields on long-term bonds are lower than those on short-term bonds – is considered a strong predictor of a recession. Moreover, after the recent stock-market turmoil, forecasts based on John Campbell and Robert J. Shiller’s cyclically adjusted price-earnings (CAPE) ratio put long-run real (inflation-adjusted) buy-and-hold stock returns at around 4% per year, which is still higher than the average over the past four decades.
These background indicators are now at the forefront of investors’ minds as they decide whether and when to hedge against the next recession. And one can infer from today’s macroeconomic big picture that the next recession most likely will not be due to a sudden shift by the Fed from a growth-nurturing to an inflation-fighting policy. Given that visible inflationary pressures probably will not build up by much over the next half-decade, it is more likely that something else will trigger the next downturn.
Specifically, the culprit will probably be a sudden, sharp “flight to safety” following the revelation of a fundamental weakness in financial markets. That, after all, is the pattern that has been generating downturns since at least 1825, when England’s canal-stock boom collapsed.
Needless to say, the particular nature and form of the next financial shock will be unanticipated. Investors, speculators, and financial institutions are generally hedged against the foreseeable shocks, but there will always be other contingencies that have been missed. For example, the death blow to the global economy in 2008-2009 came not from the collapse of the mid-2000s housing bubble, but from the concentration of ownership of mortgage-backed securities.
Likewise, the stubbornly long downturn of the early 1990s was not directly due to the deflation of the late-1980s commercial real-estate bubble. Rather, it was the result of failed regulatory oversight, which allowed insolvent savings and loan associations to continue speculating in financial markets. Similarly, it was not the deflation of the dot-com bubble, but rather the magnitude of overstated earnings in the tech and communications sector that triggered the recession in the early 2000s.
At any rate, today’s near-inverted yield curve, low nominal and real bond yields, and equity values all suggest that US financial markets have begun to price in the likelihood of a recession. Assuming that business investment committees are thinking like investors and speculators, all it will take now to bring on a recession is an event that triggers a retrenchment of investment spending.
If a recession comes anytime soon, the US government will not have the tools to fight it. The White House and Congress will once again prove inept at deploying fiscal policy as a counter-cyclical stabilizer; and the Fed will not have enough room to provide adequate stimulus through interest-rate cuts. As for more unconventional policies, the Fed most likely will not have the nerve, let alone the power, to pursue such measures.
As a result, for the first time in a decade, Americans and investors cannot rule out a downturn. At a minimum, they must prepare for the possibility of a deep and prolonged recession, which could arrive whenever the next financial shock comes.
Quale sarà la causa della prossima recessione negli Stati Uniti?
Di J. Bradford DeLong
BERKELEY – Nel corso degli ultimi 40 anni, l’economia degli Stati Uniti ha conosciuto quattro recessioni. Tra di esse, soltanto il prolungato declino dal 1979 al 1982 ebbe un’origine convenzionale. La Federal Reserve egli Stati Uniti pensò che l’inflazione fosse troppo alta, cosicché diede una mattonata in testa all’economia con rialzi nei tassi di interesse. Il risultato fu che i lavoratori moderarono le loro richieste di aumenti salariali e le imprese ridussero gli aumenti dei prezzi che erano stati programmati.
Le altre tre recessioni furono tutte provocate da disordini nei mercati finanziari. Dopo la crisi del sistema delle casse di risparmio [1] del 1991-1992 arrivò lo scoppio della bolla del commercio elettronico del 2000-2002, seguita dal collasso nel mercato dei mutui subprime nel 2007, che innescò la crisi finanziaria globale degli anni successivi.
Agli inizi del 2019, le aspettative di inflazione appaiono del tutto stabilizzate ad un 2% all’anno, e la curva di Phillips – che riflette il rapporto tra disoccupazione e inflazione – resta insolitamente piatta. Gli eccessi o i difetti della produzione e della disoccupazione rispetto alle tendenze della produzione potenziale o del tasso naturale non hanno effetti significativi sui prezzi e sui salari.
Nello stesso tempo, il divario tra i tassi di interesse sugli asset sicuri a breve e a lungo termine, rappresentato dalla cosiddetta curva dei rendimenti, è insolitamente piccolo, e i tassi di interesse nominali a breve termine sono insolitamente bassi. A occhio e croce, come regola generale, una curva dei rendimenti inversa – quando i rendimenti sulle obbligazioni a lungo termine sono più bassi di quelli a breve termine – viene considerata come un forte indicatore di recessione. Inoltre, dopo il recente subbuglio nei mercati azionari, le previsioni basate sul rapporto tra prezzi e profitti corretti per il ciclo di John Campbell e di Robert J. Shiller (CAPE), collocano i rendimenti azionari reali a lungo termine di acquisto e di mantenimento (corretti per l’inflazione) a circa il 4% all’anno, che è tuttavia più elevato della media dei quattro decenni trascorsi.
Questi indicatori di base sono oggi alla attenzione degli investitori, dato che sono loro che decidono se e quando coprire i rischi della prossima recessione. E dal grande quadro macroeconomico odierno si può dedurre che la prossima recessione molto probabilmente non sarà dovuta da un improvviso spostamento della Fed da una politica di promozione della crescita ad una politica di contrasto all’inflazione. Dato che evidenti spinte inflazionistiche probabilmente non cresceranno di molto nei prossimi cinque anni, è più probabile che qualcos’altro inneschi la prossima recessione.
Il particolare, la causa probabilmente sarà una improvvisa, brusca “fuga verso la salvezza”, dopo che i mercati finanziari avranno mostrato una debolezza di fondo. Dopo tutto, è stato quello lo schema che ha prodotto recessioni almeno sin dal 1825, quando crollò il boom delle azioni sul Canale in Inghilterra [2].
Non è il caso di aggiungere che la natura e la forma particolare della prossima crisi finanziaria non sarà nota in anticipo. Gli investitori, gli speculatori e le istituzioni finanziarie in generale sono assicurati da crisi prevedibili, ma ci saranno sempre altri fattori contingenti che vengono trascurati. Ad esempio, il colpo mortale all’economia globale nel 2008-2009 non derivò dallo scoppio della bolla finanziaria nel settore abitativo della metà degli anni 2000, ma dalla concentrazione della proprietà dei titoli garantiti da mutui.
Analogamente, il declino tenacemente lungo dei primi anni ’90 non era direttamente dovuto alla deflazione della bolla degli immobili commerciali degli ultimi anni ’80. Era piuttosto il risultato dell’insuccesso della sorveglianza sui regolamenti, che aveva consentito alle associazioni delle casse di rispamio insolventi di continuare a speculare sui mercati finanziari. In modo simile, non fu la deflazione della bolla del commercio elettronico, ma piuttosto la ampiezza dei sovrastimati profitti nei settori tecnologico e delle comunicazioni che innescò la recessione dei primi anni 2000.
In ogni caso, la odierna curva dei rendimenti quasi invertita, i bassi rendimenti nominali e reali delle obbligazioni e i valori dei titoli, indicano che i mercati finanziari hanno cominciato a dare un prezzo alla probabilità di una recessione. Ipotizzando che i comitati per gli investimenti delle imprese stiano ragionando come investitori e speculatori, tutto quello che adesso serve per condurre a una recessione è un evento che inneschi un taglio delle spese nelle spese per investimenti.
Se interverrà una recessione nel prossimo futuro, il Governo degli Stati Uniti non avrà gli strumenti per combatterla. La Casa Bianca e il Congresso si mostreranno ancora una volta incapaci di impegnare la politica della finanza pubblica come uno stabilizzatore anti ciclico; e la Fed non avrà spazio sufficiente per fornire uno stimolo adeguato attraverso tagli ai tassi di interesse. Come per altre politiche non convenzionali, la Fed molto probabilmente non avrà il coraggio, per non dire il potere, di perseguire tali misure.
Di conseguenza, per la prima volta in un decennio, gli americani e gli investitori non possono escludere una recessione. Come minimo, debbono prepararsi alla possibilità di una recessione profonda e prolungata, che potrebbe arrivare in qualsiasi momento a seguito del prossimo shock finanziario.
[1] “Savings-and-loan” – letteralmente “risparmi e prestiti” – corrispondono in pratica al nostro sistema delle Casse di Risparmio. Un sistema che negli USA fu falcidiato dalla crisi di quegli anni.
[2] Il 1825 fu un anno di panico finanziario, provocato da una precedente politica fortemente espansiva della Banca di Inghilterra, che aveva consentito forti investimenti nelle infrastrutture idriche e nelle ferrovie e speculazioni azionarie corrispondenti, che si interruppero bruscamente con diffusi fallimenti bancari.
By mm
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