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I democratici, il debito e i doppi criteri, di Paul Krugman (New York Times 11 febbraio 2019)

 

Feb.11, 2019

Democrats, Debt and Double Standards

By Paul Krugman

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Much of Donald Trump’s State of the Union address was devoted to describing the menaces he claims face America — mainly the menace of scary brown people, but also the menace of socialism. And there has been a lot of discussion in the news media of what he said on those topics.

There has, however, been little coverage of one of the most revealing aspects of the SOTU: what Trump said about the menace of America’s historically large government debt.

But wait, you may object — he didn’t say anything about debt. Indeed he didn’t — not one word. But that’s what was so revealing.

After all, Republicans spent the entire Obama administration inveighing constantly about the dangers of debt, warning that America faced a looming crisis unless deficits were drastically reduced. Now that they’re in power, however — and with the deficit surging thanks to a huge tax cut for corporations and the rich — they’ve totally dropped the subject.

According to ABC News, Mick Mulvaney, Trump’s acting chief of staff, explained to G.O.P. members of Congress why debt wouldn’t get a single mention in the SOTU: “Nobody cares.”

And you know, he’s kind of right. It’s not just Republicans who suddenly seemed to stop caring about debt. For years deficit scolds dominated discourse inside the Beltway; much of the news media treated the urgency of fiscal austerity as an unquestioned fact, abandoning the usual rules of reportorial neutrality and plunging into outright advocacy. Yet since Trump’s election those voices have become oddly muted.

What we’ve just seen confirmed, then, is what some of us were trying to tell you from the beginning: All that wailing about debt was hypocritical.

Republicans never actually cared about debt; they just pretended to be deficit hawks as a way to hamstring President Barack Obama’s agenda. And many centrists have turned out to have a double standard, reserving passionate concern about debt for times when Democrats hold power.

But while the about-face on debt has, as I said, been deeply revealing, there are still two big questions. First, how much should we care about debt? Second, will a double standard continue to prevail? That is, will the deficit scolds suddenly get vocal again if and when Democrats regain power?

On the first question: One surprising thing about the debt obsession that peaked around 2011 is that it never had much basis in economic analysis. On the contrary, everything we know about fiscal policy says that it’s a mistake to focus on deficit reduction when unemployment is high and interest rates are low, as they were when the fiscal scolds were at their loudest.

The case for worrying about debt is stronger now, given low unemployment. But interest rates are still very low by historical standards — less than 1 percent after adjusting for inflation. This is so low that we needn’t fear that debt will snowball, with interest payments blowing up the deficit. It also suggests that we’re suffering from chronic weakness in private investment demand (which, by the way, the 2017 tax cut doesn’t seem to have boosted at all).

So in the past few months a number of prominent economists — including the former chief economist of the International Monetary Fund and top economists from the Obama administration — have published analyses saying that even now, with unemployment quite low, debt is much less of a problem than previously thought.

It’s still a bad idea to run up debt for no good reason — say, to provide tax breaks that corporations just use to buy back their own stock, which is, of course, what the G.O.P. did. But borrowing at ultralow interest rates to pay for investments in the future — infrastructure, of course, but also things like nutrition and health care for the young, who are the workers of tomorrow — is very defensible.

Which brings us to the question of double standards.

You don’t have to agree with everything in proposals for a “Green New Deal” to acknowledge that it’s very much an investment program, not a mere giveaway. So it has been very dismaying to see how much commentary on these proposals either demands an immediate, detailed explanation of how Democrats would pay for their ideas, or dismisses the whole thing as impractical. Was there the same pushback against Republican tax cuts? No.

Look, we’ve seen this over and over again — three times since 1980. Republicans rail against budget deficits when they’re out of power, then drop all their concerns and send the deficit soaring once they are in a position to cut taxes. Then when it’s the Democrats’ turn, they’re expected to clean up the Republicans’ red ink rather than address their own priorities. Enough already.

I’m not saying that Democrats should completely ignore the fiscal implications of their actions. Really big spending plans, especially if they don’t clearly involve investment — for example, a major expansion of federal health spending — will have to be paid for with new taxes. But if and when Democrats are in a position to make policy, they should be ambitious, and not let the deficit scolds scare them into thinking small.

 

I democratici, il debito e i doppi criteri

Di Paul Krugman

Una gran parte del discorso di Donald Trump sullo Stato dell’Unione era rivolta a descrivere le minacce che lui sostiene incombono sull’America – principalmente la minaccia della spaventosa gente di colore, ma anche la minaccia del socialismo. E c’è stato un gran dibattito nei media dell’informazione su quello che ha detto su questi temi.

Ci sono stati, tuttavia, pochi riferimenti ad uno degli aspetti più rivelatori del discorso sullo Stato dell’Unione: quello che Trump ha detto sulla minaccia del debito pubblico dell’America, che è ampio secondo le serie storiche.

Ma, un momento, voi potete obiettare che non ha detto niente sul debito. Infatti non l’ha detto, non una parola. Ma è quello che è stato così rivelatore.

Dopo tutto, i repubblicani utilizzarono l’intero periodo della Amministrazione Obama per scagliarsi costantemente sui pericoli del debito, mettendo in guardia che l’America si sarebbe trovata di fronte ad una crisi imminente se i deficit non fossero stati drasticamente ridotti. Ora che sono al potere, tuttavia, – e con il deficit che cresce grazie ai grandi sgravi fiscali alle società ed ai ricchi – hanno completamente lasciato cadere la questione.

Secondo ABC News, Mick Mulvaney, il capo protempore dello staff di Trump, ha spiegato ai componenti del Congresso perché il debito non avrebbe ricevuto neanche un riferimento nel discorso sullo Stato dell’Unione: “Non importa a nessuno”.

Sapete, in qualche modo ha ragione. Non si stratta solo del fatto che all’improvviso i repubblicani è sembrato che smettessero di preoccuparsi del debito. Per anni le Cassandre sul deficit hanno imperversato nel dibattito della Capitale; buona parte delle notizie sui media riguardavano come un fatto indiscutibile l’urgenza dell’austerità nella finanza pubblica, abbandonando le regole tradizionali della neutralità nei resoconti e lanciandosi in un completo sostegno. Tuttavia, a partire dalla elezione di Trump, quelle voci sono diventate curiosamente mute.

Quello che a quel punto abbiamo visto precisamente confermato è stato quanto alcuni di noi cercavano di raccontarvi sin dall’inizio: tutti quei pianti sul debito erano ipocriti.

I repubblicani non si sono mai preoccupati del debito; avevano solo finto di essere falchi dei deficit come un modo per azzoppare il programma di Obama. E molti centristi si è scoperto che avevano un doppio criterio, riservando le preoccupazioni appassionate sul debito ai periodi nei quali i democratici sono al potere.

Ma mentre il voltafaccia sul debito è stato, come ho detto, profondamente rivelatore, restano due grandi domande. La prima, quanto dovremmo preoccuparci del debito? La seconda, quel doppio criterio continuerà a prevalere? Ovvero, le Cassandre del deficit torneranno all’improvviso a far chiasso se e quando i democratici riconquisteranno il potere?

Sulla prima domanda: una cosa sorprendente sulla ossessione per il debito che toccò il punto più alto attorno al 2011 è che essa non ha mai avuto un gran fondamento sulla analisi economica. Al contrario, tutto quello che conosciamo sulla politica della finanza pubblica dice che è un errore concentrarsi sulla riduzione del deficit quando la disoccupazione è elevata e i tassi di interesse sono bassi, come erano quando le Cassandre sulla finanza pubblica strepitavano più rumorosamente.

L’argomento della preoccupazione per il debito è più forte oggi, considerata la bassa disoccupazione. Ma i tassi di interesse sono ancora bassi secondo i criteri storici – meno dell’1 per cento dopo averli corretti per l’inflazione. Un dato così basso che non c’è alcun timore che il debito abbia un effetto valanga, con i pagamenti degli interessi che fanno esplodere il deficit. Il che indica anche che stiamo soffrendo di una debolezza cronica nella domanda di investimenti privati (che, per inciso, il taglio delle tasse del 2017 non sembra aver affatto incoraggiata).

Cosicché nei mesi passati un certo numero di eminenti economisti – incluso il precedente principale economista del Fondo Monetario Internazionale e i massimi consiglieri economici della Amministrazione Obama – hanno pubblicato analisi che dicono che persino adesso, con la disoccupazione piuttosto bassa, il debito è un problema assai minore di quanto si pensasse in precedenza.

Resta una pessima idea far crescere il debito senza alcuna buona ragione – ad esempio, per fornire sgravi fiscali che le società usano semplicemente per riacquistare le loro proprie azioni, che è, evidentemente, quello che ha fatto il Partito Repubblicano. Ma indebitarsi a tassi di interesse modestissimi per pagare in futuro gli investimenti – le infrastrutture, naturalmente, ma anche cose come l’alimentazione e la assistenza sanitaria per i giovani, che sono i lavoratori di domani – è del tutto sostenibile.

Il che ci riporta alla questione del doppio criterio.

Non è necessario essere d’accordo con tutte le proposte per un “New Deal Verde” per riconoscere che esso riguarda soprattutto un programma di investimenti, non un mero regalo. Dunque, si è rimasti sgomenti a constatare che la maggioranza dei commenti su queste proposte o hanno chiesto una immediata, dettagliata spiegazione su come i democratici finanzierebbero le loro idee, oppure le hanno liquidate come inattuabili. Ci fu una analoga bocciatura ai tagli fiscali dei repubblicani? Niente affatto.

Si badi, abbiamo assistito a questo in continuazione – tre volte a partire dal 1980. I repubblicani inveiscono contro i deficit di bilancio quando sono fuori dal potere, poi dismettono tutte le loro preoccupazioni e spediscono il deficit alle stelle appena sono nelle condizioni di tagliare le tasse. Poi, quando è la volta dei democratici, si aspettano che essi mettano in ordine i bilanci in rosso dei repubblicani anziché rivolgersi alle proprie priorità. Ne abbiamo già avuto abbastanza.

Non sto dicendo che i democratici dovrebbero ignorare completamente le implicazioni per la finanza pubblica delle loro iniziative. In realtà grandi programmi di spesa, in particolare quando non riguardano chiaramente gli investimenti – ad esempio, una importante espansione della spesa federale sulla salute – dovrebbero essere pagati con nuove tasse. Ma se e quando i democratici saranno nelle condizioni di fare le loro politiche, dovrebbero essere ambiziosi e non permettere alle Cassandre del deficit di costringerli a pensare in piccolo.

 

 

 

 

 

 

 

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