Jan 31, 2019
LONDON – National statistical offices and international organizations are busy revising down their growth forecasts for Europe this year and next. Although they are doing the same for the rest of the world as well, and for China in particular, a slowdown in Europe may have nasty political consequences, in addition to economic costs.
Faced with this deteriorating outlook, eurozone policymakers should ask themselves three questions. The first is whether the eurozone slowdown is temporary, or persistent enough to lead to a possible recession. The second is what kind of recession might occur, and what policymakers can do to counter it. And the third is what Europe must do to address its longer-term structural economic problems.
Regarding the first question, GDP growth forecasts that look more than one quarter ahead are notoriously unreliable. We must therefore get a good grip on the current situation and analyze revisions to growth forecasts over the past year to judge the persistence of bad news.
My company, Now-Casting Economics, first detected a slowdown in the eurozone at the beginning of 2018. We now know that this deceleration started in the third quarter of 2017 and has affected all major eurozone economies, particularly Germany and Italy. This runs contrary to the widely held view of the eurozone as comprising a core of successful countries – especially Germany – and a debt-ridden, slow-growth periphery.
The German economy expanded by 2.2% in 2017, but growth probably slowed to 1.4% in 2018. Quarter-on-quarter growth turned negative in the third quarter of 2018 and is likely to have been close to zero in the final three months of the year. Data releases from Germany have consistently conveyed bad news. Initial signals from surveys, which are timely but volatile, have more recently been confirmed by hard data such as industrial orders, turnover, and new car registrations.
The trend is similar in Italy, where the problem is magnified by the country’s lower potential growth rate. This implies that a slowdown there has a higher chance of leading to a technical recession, normally defined as two consecutive quarters of negative GDP growth.
If this flow of bad news is confirmed – and the global slowdown, political uncertainty, and trade disputes suggest that it will be – then the eurozone may fall into a new recession by the end of 2019, just over five years after the end of the last one.
A recession, if it happens, will most likely be less severe economically and financially than that of 2008 or even 2011. This is mainly because the eurozone has a stronger financial sector and better crisis-management tools than it had a decade ago. Yet, politically, the next recession may be much more disruptive for the European project. The memory of the last crisis persists, and populism is on the rise across much of the continent. A new negative shock will therefore be highly divisive and politically poisonous.
Given these heightened risks, policymakers should avoid the mistakes of 2009, when eurozone governments – alone among the world’s big economies – pursued fiscal consolidation in the middle of the worst downturn since World War II. Unfortunately, the eurozone still lacks a common fiscal policy to help counter a slowdown or possible recession. Nonetheless, with sufficient political will, its members should be able to coordinate a response even within the constraints of the existing rules.
But neither fiscal nor monetary policies can reverse the slowdown in long-term trend growth that Europe – like other advanced economies – has been experiencing at least since the early years of the new millennium. This weaker long-term outlook reflects unfavorable demographics and a decline in productivity growth that stems from the uneven adoption of new technologies.
Slow trend growth is particularly problematic in the eurozone, because it makes cooperation among its members harder to achieve. Countries know that it is in their strategic interest to stick together, but doing so will become increasingly difficult if the European project continues to fail to deliver on its promise of economic growth and jobs.
The challenges that Europe faces today are different from those that confronted the world economy in the 1990s, when the eurozone was designed. Europe therefore needs a revamp. In particular, it needs a program of ideas on research and development, education, and social inclusion that could appeal to large parts of the population in all member countries.
The European Parliament elections are less than four months away. Pro-European forces need to campaign for a coordinated effort to counter the cyclical slowdown and– most importantly – for a cohesive and aggressive policy to address Europe’s long-term structural problems. Should they fail, the prospect of a parliament dominated by populist forces will become a reality. And this could mark the beginning of a slow process of European disintegration.
La minaccia di una recessione nell’eurozona,
di Lucrezia Reichlin
LONDRA – Le agenzie nazionali di statistica e le organizzazioni internazionali sono indaffarate e rivedere al ribasso le loro previsioni di crescita per quest’anno e per il prossimo in Europa. Sebbene stiano facendo lo stesso anche per il resto del mondo, e per la Cina in particolare, un rallentamento in Europa può avere conseguenze politiche sgradevoli, in aggiunta ai costi economici. Di fronte a queste previsioni che peggiorano, le autorità dell’eurozona dovrebbero porsi tre domande. La prima è se il rallentamento dell’eurozona sarà provvisorio, o talmente prolungato da condurre ad una possibile recessione. La seconda è che tipo di recessione potrebbe darsi, e cosa potrebbero fare le autorità per contrastarla. E la terza è che cosa deve fare l’Europa per affrontare i suoi problemi economici di più lungo termine.
Riguardo alla prima domanda, le previsioni della crescita del PIL che appaiono più di un trimestre prima sono notoriamente inaffidabili. Di conseguenza dobbiamo darci una buona calmata sulla situazione attuale ed analizzare le revisioni nelle previsioni di crescita nell’anno passato per giudicare la persistenza di segnali negativi.
La mia società, la Now Casting Economics, per prima ha rilevato agli inizi del 2018 un rallentamento nell’eurozona. Adesso sappiamo che questa decelerazione è cominciata nel terzo trimestre del 2017 ed ha influenzato tutte le economie importanti dell’eurozona, in particolare la Germania e l’Italia. Parrebbe il contrario del punto di vista generalmente accettato di un’eurozona comprendente un nucleo di paesi di successo – in particolare la Germania – e una periferia oppressa dal debito a lenta crescita.
L’economia tedesca si è espansa del 2,2% nel 2017, ma la crescita probabilmente è rallentata all’1,4% nel 2018. La crescita mese per mese è diventata negativa nel terzo trimestre del 2018 ed è probabile si sia avvicinata allo zero nei tre mesi finali dell’anno. Le distribuzioni dei dati dalla Germania hanno comportato in modo costante cattive notizie. Segnali iniziali provenienti da sondaggi, che sono tempestivi ma volatili, sono stati più di recente confermati da bruschi dati quali gli ordinativi dell’industria, i fatturati e le immatricolazioni di nuovi autoveicoli.
La tendenza è simile in Italia, dove il problema è ingrandito dal più basso tasso di crescita potenziale del paese. Questo implica che un rallentamento ha in quel caso una più ampia possibilità di portare ad una recessione tecnica, normalmente definita come due consecutivi trimestri di crescita negativa del PIL.
Se questo flusso di notizie negative fosse confermato – e il rallentamento globale, l’incertezza politica, nonché i conflitti commerciali indicano che lo sarà – allora l’eurozona potrà ricadere in una nuova recessione con la fine del 2019, solo cinque anni dopo la fine dell’ultima.
Una recessione, se avesse luogo, sarà molto probabilmente meno grave economicamente e finanziariamente di quella del 2008 e persino del 2011. Questo principalmente perché l’eurozona ha un settore finanziario più forte e migliori strumenti di gestione della crisi di quanto aveva un decennio orsono. Tuttavia, politicamente, la prossima recessione può essere più distruttiva per il progetto europeo. Il ricordo dell’ultima crisi persiste, e il populismo è in crescita in gran parte del continente. Un nuovo trauma negativo, di conseguenza, sarà un grave fattore di divisioni e avrà effetti velenosi sul clima politico.
Dati questi più gravi rischi, le autorità dovrebbero evitare gli errori del 2009, quando i Governi dell’eurozona – unici tra le grandi economie del mondo – si proposero il consolidamento delle finanze pubbliche nel mezzo della peggiore recessione dalla Seconda Guerra Mondiale. Ssfortunatamente, l’eurozona ancora manca di una politica comune della finanza pubblica che contribuisca a contrastare un rallentamento o una possibile recessione. Ciononostante, con una adeguata volontà politica, i suoi membri dovrebbero essere capaci di coordinare una risposta anche dentro i limiti delle regole esistenti.
Ma né una politica della finanza pubblica né una politica monetaria possono invertire il rallentamento nella crescita tendenziale di lungo termine che l’Europa – come altre economia avanzate – ha conosciuto almeno dai primi anni del nuovo millennio. Questa più debole previsione di lungo periodo riflette una demografia sfavorevole e un declino nella crescita della produttività che deriva dalla adozione diseguale delle nuove tecnologie.
La lenta crescita tendenziale è particolarmente problematica nell’eurozona, perché rende più difficile da ottenere la cooperazione tra i suoi membri. I paesi sanno che è nel loro interesse strategico restare uniti, ma farlo diventerà sempre più difficile se il progetto europeo continua a non essere capace di mantenere la sua promessa di crescita economica e di posti di lavoro.
Le sfide che l’Europa affronta oggi sono diverse da quelle con le quali si misurò l’economia mondiale negli anni ’90, quando l’eurozona venne concepita. Di conseguenza l’Europa ha bisogno di un rinnovamento. In particolare, ha bisogno di un programma di idee sulla ricerca e lo sviluppo, sull’istruzione e sulla inclusione sociale che potrebbe mobilitare ampi settori della popolazione in tutti i paesi membri.
Alle elezioni del Parlamento Europeo mancano meno di quattro mesi. Le forze pro europee hanno bisogno di fare una campagna elettorale a favore di uno sforzo coordinato per contrastare il rallentamento ciclico e – ancora più importante – per una politica coesiva ed aggressiva che affronti i problemi strutturali di lungo periodo dell’Europa. Se esse dovessero fallire, la prospettiva di un Parlamento dominato da forze populiste diventerebbe una realtà. E questo potrebbe segnare l’inizio di un lento processo di disintegrazione europea.
By mm
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