Mar. 3, 2019
By Paul Krugman
Say this for Donald Trump: He’s provided us with many iconic quotations, which will surely be repeated in histories and textbooks for decades if not generations to come. Unfortunately, they’ll be repeated because they are extremely clear examples of bad ideas.
In economics, the line you hear most is Trump’s declaration that “trade wars are good, and easy to win.” Coming in second is his assertion that “I am a Tariff Man,” coupled with the claim that foreigners pay the tariffs he has been imposing.
Now, that last claim is something you can test. Over the course of 2018 Trump imposed tariffs on about 12 percent of total U.S. imports, and many of those tariffs have been in effect long enough that we can get a first read on their consequences.
On Saturday economists from Columbia, Princeton, and the New York Federal Reserve released a paper, “The impact of the 2018 trade war on U.S. prices and welfare,” that used detailed import data to assess the tariffs’ impact. (The paper, by the way, is a beautiful piece of work.) The conclusion: to a first approximation, foreigners paid none of the bill, U.S. companies and consumers paid all of it. And the losses to U.S. consumers exceeded the revenue from the new tariffs, so the tariffs made America poorer overall.
How did they get this result? The U.S. government collects data on the prices and quantities of many categories of imports. Many of these categories faced new tariffs, but many others didn’t. So you can compare what happened to the tariffed imports to the de facto control group of untouched imports; this tells you the impact of the tariffs.
Under Trump’s vision, in which foreigners would have paid the tariffs, what you would have expected to see is falling prices for tariffed goods, offsetting the tariff, so that consumer prices didn’t change. What you actually see, however, is no visible effect of the tariffs on import prices. So foreign suppliers don’t seem to have absorbed any of the tariffs, which were fully passed on to consumers; tariff-inclusive prices (Figure 1) have risen by the full amounts of the tariffs.
Figure 1 Amiti et al (2019)
These price hikes led to substantial changes in behavior. Imports of the tariffed items fell sharply, partly because consumers turned to domestic products, but also in large part because importers shifted their sourcing to countries that aren’t currently facing Trump tariffs. For example, a number of companies already seem to have begun buying goods they previously bought from China from Vietnam or Mexico instead.
These changes in behavior are the key to the paper’s conclusion that the tariffs have made America poorer.
Consider the following example: pre-tariff, the U.S. imports some good from China that costs $100. Then the Trump administration imposes a 25% tariff, raising the price to consumers to $125. If we just keep importing that good from China, consumers lose $25 per unit purchased – but the government raises an extra $25 in taxes, leaving overall national income unchanged.
Suppose, however, that importers shift to a more expensive source that isn’t subject to the tariff; suppose, for example, that they can buy the good from Vietnam for $115. Then consumers only lose $15 – but there is no tariff revenue, so that $15 is a loss for the nation as a whole.
But what if they turn to a domestic supplier – say, a U.S. company that will sell the product for $120. How does this change the story?
Here the crucial thing is that producing a good domestically has an opportunity cost. The U.S. is near full employment, so the $120 in resources used to produce that good could and would have been employed producing something else in the absence of the tariff. Diverting them into producing what we used to import means a net loss of $20, with no revenue offset.
By the way, in practice any manufacturing jobs added by the Trump tariffs are probably offset by losses of other manufacturing jobs. Partly that’s because most of the tariffs are on intermediate goods – inputs into production, so that job gains in, say, steel are offset by losses in autos and other downstream sectors. Beyond that, the tariffs have probably contributed to a rising dollar, which makes U.S. exports less competitive.
Putting it all together, the Trump tariffs have raised consumer prices, rather than depressing foreign earnings. Some revenue has been gained, but there has also been what amounts to tax avoidance as consumers turn to other, untaxed sources of what we used to import. But this tax avoidance itself comes at a cost, so the U.S. as a whole is left poorer.
Now, the numbers aren’t that big. The new paper puts the net welfare loss at $1.4 billion a month, or $17 billion a year; that’s less than 0.1 percent of U.S. GDP. But winning it isn’t. And the numbers could get a lot bigger if the trade war expands, say with a “national security” tariff on European cars.
Come va la guerra commerciale?
Di Paul Krugman
Diciamo questo a beneficio di Donald Trump: ci ha fornito molte citazioni emblematiche, che sicuramente saranno ripetute nei racconti e nei libri di testo per decenni se non per generazioni a venire. Sfortunatamente, saranno ripetute perché sono esempi estremamente chiari di pessime idee.
Dal punto di vista economico, la frase che che si sente soprattutto ripetere è la dichiarazione di Trump secondo la quale “le guerre commerciali sono positive e facili da vincere”. Al secondo posto arriva la sua asserzione secondo la quale “Io sono l’uomo delle tariffe”, accoppiata con la pretesa che le tariffe che ha imposto siano pagate dagli stranieri.
Ora, quest’ultima affermazione è qualcosa che potete verificare. Nel corso del 2018 Trump ha imposto tariffe su circa il 12 per cento delle importazioni totali deegli Stati Uniti, e molte di quelle tariffe sono rimaste in funzione abbastanza a lungo da consentirci una prima lettura delle loro conseguenze.
Sabato alcuni economisti dell’Università di Princeton, Columbia, e della Federal Reserve di New York hanno pubblicato uno studio, “L’impatto della guerra commerciale del 2018 sui prezzi e sul welfare degli Stati Uniti” (per inciso, lo studio è proprio un bel lavoro). La conclusione: ad una prima approssimazione, gli stranieri non hanno pagato niente a seguito della legge, l’hanno pagata per intero le società e i consumatori statunitensi. E le perdite per i consumatori statunitensi sono superiori alle entrate delle nuove tariffe, cosicché le tariffe hanno reso l’America più povera in assoluto.
Come sono arrivati a questo risultato? Il Governo degli Stati Uniti raccoglie prezzi e quantità di molte categorie di importazione. Molte di queste categorie hanno fatto fronte a nuove tariffe, diversamente da molte altre. In questo modo si può confrontare quello che è accaduto per le importazioni sottoposte a tariffe a quello che nei fatti è il gruppo di controllo delle importazioni che sono rimaste intatte; è questo che vi dice l’impatto delle tariffe.
Sulla base dell’idea di Trump, per la quale gli stranieri avrebbero pagato le tariffe, quello che vi sareste dovuti aspettare di vedere è una caduta dei prezzi per i beni sottoposti a tariffe, a compenso delle tariffe, in modo tale che i prezzi al consumo non sarebbero mutati. In effetti, tuttavia, non si è constatato alcun effetto visibile sui prezzi all’importazione. Dunque i fornitori stranieri non sembra che abbiano assorbito niente delle tariffe, che sono passate per intero sui consumatori; i prezzi inclusivi delle tariffe (Figura 1) sono aumentati per la intera quantità delle tariffe.
Figura 1. Amiti ed altri (2019)
Questi rialzi nei prezzi hanno portato a cambiamenti sostanziali di comportamento. Le importazioni degli articoli sottoposti a tariffe sono cadute bruscamente, in parte perché i consumatori si sono spostati su prodotti nazionali, ma anche in larga parte perché gli importatori hanno spostato le loro fonti a paesi che attualmente non si misurano con le tariffe di Trump. Ad esempio, un certo numero di società sembra abbiano cominciato ad acquistare dal Vietnam o dal Messico prodotti che in precedenza acquistavano dalla Cina.
Questi cambiamenti nei comportamenti sono la chiave delle conclusioni dello studio, secondo la quale le tariffe hanno reso l’America più povera.
Si consideri l’esempio seguente: prima delle tariffe, gli Stati Uniti acquistavano un qualche prodotto dalla Cina al costo di 100 dollari. Poi l’Amministrazione Trump ha imposto una tariffa del 25%, elevando il prezzo al consumo a 125 dollari. Se avessimo solo continuato ad importare quel prodotto dalla Cina, i consumatori avrebbero perso 25 dollari per unità di prodotto acquistata – ma il Governo avrebbe raccolto 25 dollari aggiuntivi in tasse, lasciando il reddito nazionale complessivo immutato.
Supponiamo, tuttavia, che gli importatori si spostino verso una fonte più costosa che non è soggetta alla tariffa; supponiamo, ad esempio, che possano acquistare il prodotto dal Vietnam per 115 dollari. Allora i consumatori potranno perdere solo 15 dollari – ma non ci sarebbe alcuna entrata tariffaria, cosicché 15 dollari sarebbe la perdita per la nazione nel suo complesso.
Ma cosa accade se essi si spostano verso un offerente nazionale – ad esempio, una società statunitense che vende quel prodotto a 120 dollari? Cosa cambia nel racconto?
Il quel caso l’aspetto cruciale è che la produzione nazionale di un bene ha un “costo di opportunità” [2]. Gli Stati Uniti sono vicini alla piena occupazione, dunque 120 dollari di risorse usate per produrre quel prodotto avrebbero potuto essere occupate producendo qualcosaltro in assenza della tariffa. Distrarli per produrre quello che si era soliti importare comporta una perdita metta di 20 dollari, senza alcun bilanciamento nelle entrate.
Per inciso, in pratica ogni posto di lavoro manifatturiero aggiunto dalle tariffe di Trump è probabilmente bilanciato da perdite di altri posti di lavoro manifatturieri. In parte questo dipende dl fatto che la maggioranza delle teriffe operano su beni intermedi – gli input nella produzione, per i quali si guadagnano posti di lavoro, ad esempio, nell’acciaio, sono bilanciati da perdite nelle automobili o in altri settori a valle. Oltre a ciò, le tariffe hanno probabilmente contribuito a far crescere il valore del dollaro, il che rende le esportazioni degli Stati Uniti meno competitive.
Mettendo tutto assieme, le tariffe di Trump hanno accresciuto i prezzi al consumo, anziché deprimere i profitti stranieri. Sono state guadagnate alcune entrate, ma c’è anche stata quella che corrisponde alla elusione del fisco quando i consumatori si spostano verso fonti non tassate, diverse da quelle che si usavano importare. Ma questa elusione stessa comporta un costo, cosicché gli Stati Uniti nel loro complesso diventano più poveri.
Ora, i numeri non sono poi tanto grandi. Il nuovo studio colloca la perdita netta di welfare [3] a 1 miliardo e 400 milioni di dollari al mese, che è meno dello 0,1 per cento del PIL degli Stati Uniti. Ma non è una vittoria. E i numeri potrebbero diventare molto superiori se la guerra commerciale si espandesse, ad esempio con una tariffa di “sicurezza nazionale” [4] sulle automobili europee.
[1] La tabella mostra le conseguenze su 12 mesi sui prezzi all’ìimportazione di quelle che definisce “ondate tariffarie” (forse in riferimento ai vari blocchi di modifiche tariffarie imposte dalla Amministrazione americana). Suppongo che la linea 0 corrisponda alla entrata in funzione delle tariffe (si va da 35 mesi prima a 10 mesi dopo); gli unici casi nei quali non si hanno modiche sono rappresentati dalla linea nera che rappresenta i prodotti che non sono stati sottoposti a nuove tariffe.
[2] Ovvero, un costo legato alla scelta. I ‘costi di opportunità’ rappresentano i benefici ai quali un individuo, un investitore o una impresa rinuncia scegliendo una soluzione alternativa ad un’altra. Mentre i resoconti finanziari non mostrano il costo di opportunità, i proprietari di impresa possono utilizzarlo per prendere decisioni appropriate quando hanno dinanzi opzioni multiple (Investopedia).
[3] Ovvero, di entrate per lo Stato.
[4] La “sicurezza nazionale”, come è noto, è il singolare pretesto giuridico che consente a Trump di agire direttamente sulla politica tariffaria.
By mm
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