by James K Galbraith on 28th February 2019
Thomas Piketty and several colleagues have taken a shot at the European New Deal (END) of the Democracy in Europe Movement (DiEM25). Writing for DiEM25 last December, Yanis Varoufakis had noted how the taxes and spending Piketty advocates would now be implemented by each EU member individually with practically no Europe-wide component, a retreat from a previous agenda. So part of the difference between the two camps is over whether European green investment should be a continental project or merely each country doing what it chooses, more or less on its own.
But now Piketty calls attention to another big difference. The END of DiEM25 proposes to fund half a trillion euro of energy transformation and conservation with bonds—in other words, a policy of fiscal expansion backstopped by the European Central Bank. Piketty’s team proposes a series of tax measures, on corporate profits, a new progressive income-tax rate and an annual tax on wealth over one million euro—as well as a regressive carbon-emissions tax.
Overall, the Piketty proposal aims to redistribute 2 per cent of European gross domestic product (within countries, not between them) and to invest another 2 per cent in the Green New Deal, a number which comes to nearly €400 billion—close in principle to the DiEM25 proposal. In practice it would fall far short, since the taxes could not be imposed without national consent, and it would not only be tax havens such as Ireland and Luxembourg which would hold back. No conservative government in thrall to the wealthy would participate. Nor would any government that feared an insurrection such as that of the gilets jaunes.
The DiEM25 plan avoids this problem by promising to launch a green-investment programme without new taxes. But can one do this? Piketty and his colleagues say no. They want new taxes, ‘because a major part of the expenditure we propose is public expenditure’. They thus argue that one can’t have a Green New Deal without first putting up the taxes to ‘pay
But there is no requirement that any expenditure, whether public or private, be funded in advance by revenues. Expenditures in the nature of investments should, generally, not be funded in advance. If your house has a mortgage, you borrowed to pay for it. If you start a new business, you usually borrow the capital to get started. If a big corporation decides to build a new factory, it too borrows, from a bank or by issuing a bond. Borrowing makes sense when real resources are available and the benefits come over time. In making decisions to invest, governments have an extra advantage: they can write a cheque without having borrowed ‘in advance’. When the cheque is cashed, the recipient can (and often does) simply switch the proceeds for a bond; thus the ‘borrowing’ occurs after, not before, the project is launched.
Both sides agree that major investments are absolutely necessary to fight climate change and sustain high living standards. The question is: which approach would succeed? Piketty’s proposals would impose immediate hardship, through the carbon tax, in order to bring in funds in advance of the investments. By creating hardship, Piketty’s proposals would destroy the political basis for dealing with climate change at all—just as Emmanuel Macron’s diesel tax has already largely done in France. And, given non-compliance and tax evasion, it would probably fail to bring in the revenue anyway. To that extent, by placing taxes before spending, Piketty and his colleagues are promoting a fantasy.
For DiEM25, in contrast, progress would be evident at once and results would start coming in. The required resources would come by mobilising people who are currently unemployed (6.8 percent!) or underemployed (many more!) all across Europe. DiEM25’s proposal would reorganise existing economic activity, provide needed work and generate revenues over time to service the debts taken out at the beginning. Full employment, including a job guarantee, is integral to the European New Deal, both as economics and as the necessary politics of making it work.
The DiEM25 proposal follows the path charted by the New Deal of Franklin Delano Roosevelt from 1933 to 1936. Using the technical expertise of the European Investment Bank, it would identify and plan out the large and small undertakings required to achieve the green-investment objectives. Using the credit of Europe, it would fund those projects for the long term at low interest rates. Using the power of the European Central Bank, it would ensure that the bonds were placed on favourable terms.
The final argument in the Piketty text is that Varoufakis—a former Greek finance minister with scars to prove it—is now willing to turn European politics over to the ECB. The opposite is the truth. Under the DiEM25 proposal, as in the original New Deal and the mobilisation for World War II, the central bank would become the servant, not the master, of the public purpose.
Finanziare il New Deal Verde in Europa,
di James K. Galbraith
Thomas Piketty e vari colleghi hanno cercato di dare un colpo al New Deal Europeo (END) del Movimento Democrazia in Europa (DiEM25). Lo scorso dicembre, Yanis Voroufakis, in un articolo per il DiEM25, ha osservato che le tasse e la spesa che Piketty sostiene sarebbero adesso poste in essere individualmente da ciascun membro dell’Unione Europea, senza praticamente alcuna componente di dimensione europea, un passo indietro rispetto ad un programma precedente. Dunque una parte della differenza tra i due schieramenti verterebbe sul punto se l’investimento verde europeo debba essere un progetto continentale o se semplicemente ciascun paese possa fare quello che vuole, più o meno per conto suo.
Ma adesso Piketty pone la attenzione su un’altra grande differenza. Il New Deal Europeo del DiEM25 propone di finanziare 500 miliardi di euro di trasformazione e conservazione di energia tramite obbligazioni – in altre parole, una espansione di finanza pubblica sostenuta dalla Banca Centrale Europea. Il gruppo di Piketty propone una serie di misure fiscali sui profitti delle società, una nuova tassa progressiva sul reddito e una tassa annuale sulle ricchezze superiori ad un milione di euro – come una tassa regressiva sulle emissioni di carbonio.
Nel complesso, la proposta di Piketty punta a redistribuire il 2 per cento del prodotto interno lordo europeo (all’interno dei paesi, non tra di loro) e ad investire un altro 2 per cento, per una cifra che si avvicina ai 400 milioni di euro – in via di principio vicina alla proposta di DiEM25. In pratica si tratterebbe di molto meno, dato che le tasse non potrebbero essere imposte senza consenso nazionale, e non sarebbero solo i paradisi fiscali come l’Irlanda e il Lussemburgo a tirarsi indietro. Nessun governo conservatore sotto il controllo dei ricchi parteciperebbe. Nemmeno alcun governo che abbia paura di una insurrezione come quella dei gilet gialli.
Il piano del DiEM25 evita questo problema con la promessa di lanciare un programma di investimenti verdi senza nuove tasse. Ma si può fare? Piketty e i suoi colleghi dicono di no. Essi vogliono nuove tasse “perché una parte importante della spesa che proponiamo è spesa pubblica”. Sostengono quindi che non si può avere un New Deal Verde senza prima aumentare le tasse da pagare.
Ma non c’è alcun bisogno che qualsiasi spesa, pubblica o privata, sia finanziata in anticipo da entrate. Le spese del genere degli investimenti dovrebbero, in generale, non essere finanziate in anticipo. Se avete un mutuo sulla vostra casa, avete fatto un debito per pagarlo. Se avviate una nuova impresa, normalmente fate un debito per il capitale necessario ad avviarla. Se una grande società decide di costruire un nuovo stabilimento, anch’essa si indebita, presso una banca o emettendo obbligazioni. Indebitarsi ha senso quando le risorse reali sono disponibili e i benefici arrivano col tempo. Nel prendere decisioni per investire, i governi hanno un vantaggio aggiuntivo: possono emettere un assegno senza essersi indebitati “in anticipo”. Quando l’assegno è incassato, il beneficiario può (lo fa spesso) semplicemente scambiare il ricavato per una obbligazione; quindi “l’indebitamento” avviene dopo, non prima che il progetto sia lanciato.
Entrambi gli schieramenti concordano che importanti investimenti siano assolutamente necessari per combattere il cambiamento climatico e sostenere elevati livelli di vita. La domanda è: quale approccio potrebbe riuscirci? Le proposte di Piketty imporrebbero una difficoltà immediata, attraverso la tassa sul carbone, allo scopo di ottenere in anticipo i finanziamenti sugli investimenti. Determinando difficoltà, le proposte di Piketty distruggerebbero le basi politiche per misurarsi fino in fondo col cambiamento climatico – proprio come la tassa sul diesel ha già ampiamente sperimentato in Francia. E, data la non ottemperanza e l’evasione della tassa, probabilmente non riuscirebbe a raccogliere in ogni modo il gettito. In tal modo, collocando le tasse prima della spesa, Piketty e i suoi colleghi stanno promuovendo una fantasia.
All’opposto, per la proposta del DiEM25, il progresso sarebbe evidente una volta che i risultati cominciassero ad entrare. Le risorse richieste verrebbero dalla mobilitazione di persone che sono attualmente disoccupate (6,8 per cento!) o sottooccupate (molti altri!) in tutta Europa. La proposta del DiEM25 riorganizzerebbe l’attività economica esistente, fornirebbe il lavoro necessario e col tempo genererebbe le entrate per il servizio dei debiti richiesti sin dall’inizio. La piena occupazione, inclusa la garanzia del posto di lavoro, è fondamentale per il New Deal Europeo, sia dal punto di vista economico che della politica necessaria per farlo funzionare.
Un sentiero tracciato
La proposta del DiEM25 segue il sentiero tracciato dal New Deal di Franklin Delano Roosevelt dal 1933 al 1936. Utilizzando la competenza tecnica della Banca Europea degli Investimenti, essa identificherebbe e programmerebbe per intero le grandi e piccole iniziative che sono richieste per la realizzazione degli obbiettivi degli investimenti ambientalisti. Utilizzando il credito dell’Europa, finanzierebbe quei progetti per il lungo periodo a tassi di interesse bassi. Utilizzando il potere della Banca Centrale Europea, garantirebbe che le obbligazioni siano collocate in termini favorevoli.
L’argomento finale nel testo di Piketty è che Varoufakis – passato Ministro delle Finanze greco, che ancora porta le cicatrici che lo dimostrano – sarebbe ora disponibile a trasferire la politica europea alla BCE. È vero il contrario. Con la proposta del DiEM25, come con l’originale New Deal e la mobilitazione per la Seconda Guerra Mondiale, la banca centrale diventerebbe l’istituzione al servizio e non la padrona degli obbiettivi pubblici.
By mm
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