Mar,4, 2019
By Paul Krugman
This is the way the trade war ends. Not with a bang but with empty bombast.
According to multiple news organizations, the U.S. and China are close to a deal that would effectively end trade hostilities. Under the reported deal, America would remove most of the tariffs it imposed last year. China, for its part, would end its retaliatory tariffs, make some changes to its investment and competition policies and direct state enterprises to buy specified amounts of U.S. agricultural and energy products.
The Trump administration will, of course, trumpet the deal as a triumph. In reality, however, it’s much ado about nothing much.
As described, the deal would do little to address real complaints about Chinese policy, which mainly involve China’s systematic expropriation of intellectual property. Nor would it do much to address Donald Trump’s pet although misguided peeve, the imbalance in U.S.-China trade. Basically, Trump will have backed down.
If this is the story, it will repeat what we saw on the North American Free Trade Agreement, which Trump denounced as the “worst trade deal ever made.” In the end, what Trump negotiated — the U.S. Mexico Canada Agreement, or U.S.M.C.A. — was very similar to the previous status quo. Trade experts I know, when not referring to it as the Village People agreement, call it “Nafta 0.8”: fundamentally the same as Nafta, but a bit worse.
Why is the president who famously declared that “trade wars are good, and easy to win” effectively waving the white flag? Mainly because winning turns out not to be easy, at all.
Trump’s beloved stock market hates talk of trade war. There is no broad constituency for protectionism — in fact, public opinion has become much more pro-free trade under Trump. And Chinese retaliation has hit hard at voting blocs Trump depends on, especially in farm states.
Now, agreement with China isn’t a done deal. Trump may also yet open another front in the trade war, against European automobiles. And the Village People agreement awaits congressional approval, and it’s not clear what Trump will do if that isn’t forthcoming.
Still, it looks possible, even likely, that within a few months most though not all of the trade war will have been unwound. So will it all look in retrospect like a passing storm, with few long-term consequences?
No, it won’t. Even if most of the tariffs go away, Trump’s trade belligerence has done lasting damage to America’s reputation, and hence to a global economy that depends on American leadership.
The whole world now knows two things about us. First, we’re not reliable — an agreement with the U.S. is really just a suggestion, because you never know when the president will invent some excuse for breaking it. Second, we’re easily rolled: The president may talk tough on trade, but in classic bully fashion, he runs away if confronted.
On U.S. unreliability, consider the way the current administration has treated Canada, probably the friendliest neighbor and firmest ally any nation has ever had. Despite generations of good relations and a free-trade agreement, Trump imposed large tariffs on Canadian aluminum and steel, invoking national security as a justification. This was obviously specious — in fact, Trump himself basically conceded this point, justifying the tariffs instead as retaliation for Canadian dairy policy (which was also specious).
The lesson for the world is that America can’t be trusted. Why bother making deals with a country that’s willing to slap sanctions on the best of allies, and clearly lie about the reasons, whenever it feels like it?
Meanwhile, the sudden retreat in the confrontation with China shows that we talk loud but carry a small stick. It would be one thing if the U.S. had changed course on the merits. But backing down so easily, after all the posturing, tells the world that the way to deal with America is not to bargain in good faith, but simply to threaten the president’s political base, and maybe offer some payoffs, political and otherwise. (I’m still wondering about those floors China’s largest bank rents at Trump Tower.)
And when it comes to payoffs, autocracies have an advantage over nations that observe the rule of law. China appears to be getting most Trump tariffs removed; Canada still faces those steel tariffs.
Finally, by undermining the international system, America is making the world worse for itself as well as for everyone else. In fact, payback is coming right away.
The World Trade Organization just gave America a big win in a dispute over Chinese agricultural subsidies — but its verdict is probably moot, because the Trump administration has spent the past two years denigrating the organization, and has crippled the appellate body that is supposed to enforce W.T.O. rulings, blocking the appointments that would have given this trade court the quorum it needs to act.
Let’s be clear: Not having a trade war is better than the alternative. But the path the Trump administration has taken to its trade deals has made us less trusted, less respected and weaker than we were before. So much winning!
L’America, il prepotente codardo,
di Paul Krugman
È questo il modo in cui finiscono le guerre commerciali. Non con un botto ma con vuota retorica.
Secondo varie agenzie giornalistiche, gli Stati e la Cina sono vicini ad un accordo che di fatto porrebbe fine alle ostilità commerciali. Sulla base di quel riferito accordo, l’America rimuoverebbe gran parte delle tariffe che essa impose l’anno passato. La Cina, per sua parte, metterebbe fine alle sue tariffe in rivalsa, facendo qualche modifica alle sue politiche degli investimenti, della competitività e delle imprese completamente statali per acquistare specifici quantitativi di prodotti agricoli ed energetici degli Stati Uniti.
L’Amministrazione Trump, naturalmente, strombazzerà l’accordo come un trionfo. Tuttavia, in realtà, si tratta di un gran chiasso su niente.
Per come viene descritto, l’accordo farà poco per affrontare le vere rimostranze sulla politica cinese, che principalmente riguardano la sistematica espropriazione da parte della Cina della proprietà intellettuale. Non affronterebbe neppure la detestata avversione, per quanto fuorviante, di Donald Trump: lo squilibrio commerciale tra Stati Uniti e Cina. In sostanza, Trump farà un passo indietro.
Se la storia è questa, essa sarà una ripetizione di quello che abbiamo visto nell’Accordo per il Libero Commercio del Nord America, che Trump aveva denunciato come “il peggior accordo commerciale mai sottoscritto”. Alla fine, quello che Trump ha negoziato – l’Accordo tra Stati Uniti, Messico e Canada, o US.M.C. A – è risultato del tutto simile al precedente. Gli esperti di commercio che conosco, quando non lo definiscono l’accordo della Gente di paese [1], lo chiamano “Nafta 0,8”: in sostanza, identico al Nafta, ma un po’ peggiore.
Perché il Presidente cha aveva notoriamente dichiarato che “le guerre commerciali sono positive e facili da vincere” sta in sostanza sventolando la bandiera bianca? Principalmente perché si scopre che vincerle non è affatto facile.
L’adorato mercato azionario di Trump odia i discorsi sulle guerre commerciali. A favore del protezionismo non esiste alcuna ampia base elettorale – di fatto con Trump l’opinione pubblica è diventata molto più favorevole al libero commercio. E le ritorsioni cinesi hanno colpito duramente i blocchi elettorali dai quali Trump dipende, particolarmente negli Stati agricoli.
Ora, l’intesa con la Cina non è un accordo concluso. Trump potrebbe ancora aprire un altro fronte nella guerra commerciale, contro le automobili europee. L’accordo della Gente di paese attende l’approvazione congressuale, e non è chiaro cosa Trump farebbe se essa non fosse disponibile.
Eppure, sembra possibile, persino probabile, che nel giro di pochi mesi gran parte, sebbene non tutta, la guerra commerciale sarà stata dipanata. Guardando retrospettivamente, apparirà tutta come una tempesta passeggera, con poche conseguenze a lungo termine?
No, non sarà così. Anche se la maggioranza delle tariffe fosse tolta di mezzo, la belligeranza commerciale di Trump ha provocato un danno di immagine duraturo all’America, e di conseguenza all’economia globale che dipende dalla leadership americana.
Il mondo intero adesso sa due cose di noi. La prima, che non siamo affidabili – un accordo con gli Stati Uniti è in realtà solo una ipotesi, giacché non si sa mai quando il Presidente inventerà qualche scusa per romperlo. La seconda, è facile farci cambiare posizione: il Presidente può parlare con durezza di commercio, ma nello stile classico dei prepotenti, se c’è uno scontro fa marcia indietro.
Quanto alla inaffidabilità degli Stati Uniti, si consideri il modo in cui la Amministrazione ha trattato il Canada, probabilmente il vicino più amichevole e l’alleato più sicuro che nessuna nazione abbia mai avuto. Nonostante generazioni di buone relazioni e di accordi sul libero commercio, Trump ha imposto ampie tariffe sull’alluminio e l’acciaio canadesi, invocando come giustificazione la sicurezza nazionale. Era ovviamente pretestuoso – di fatto, lo stesso Trump ha ammesso questo aspetto, giustificando piuttosto le tariffe come una ritorsione per la politica casearia del Canada (il che era altrettanto pretestuoso).
La lezione per il mondo è che sull’America non si può avere fiducia. Perché avere l’ardimento di fare accordi con un paese disposto a schiaffare sanzioni sul migliore degli alleati e a mentire chiaramente sulle loro ragioni, ogni qual volta ne ha voglia?
Nel frattempo, l’improvvisa ritirata nello scontro con la Cina dimostra che noi alziamo la voce ma ci portiamo dietro un piccolo bastone. Altra cosa sarebbe stata se avessimo cambiato indirizzo sulle cose di sostanza. Ma cedere così facilmente, dopo tutti quegli atteggiamenti, dice al mondo che il modo di trattare con l’America non è negoziare in buona fede, ma semplicemente minacciare la base elettorale del Presidente, e magari offrire qualche mazzetta, politica o di altra natura (mi sto ancora interrogando su quei piani alla Trump Tower dati in affitto alla più grande banca cinese).
E quando si passa a favori del genere, le autocrazie hanno un vantaggio sulle nazioni che si attengono allo stato di diritto. La Cina sembra stia ottenendo la rimozione della maggior parte delle tariffe di Trump; il Canada fa ancora i conti con quelle tariffe sull’acciaio.
Infine, scalzando il sistema internazionale, l’America sta rendendo il mondo peggiore, per se stessa come per tutti gli altri. Infatti, il conto è già in arrivo.
L’Organizzazione Mondiale del Commercio ha appena concesso all’America un grande successo in una disputa sui sussidi cinesi all’agricoltura – ma il suo verdetto sarà probabilmente fittizio, perché l’Amministrazione Trump ha speso i due anni passati a denigrare l’organizzazione ed ha paralizzato l’organo di appello che ha il compito di far applicare le sentenze della OMC, bloccando le nomine che avrebbero dato a questo tribunale commerciale il quorum necessario per agire.
Siamo chiari: non avere una guerra commerciale è meglio che averla. Ma l’indirizzo che l’Amministrazione Trump ha imboccato per i suoi accordi commerciali, ci ha resi meno degni di fiducia, meno rispettati e più deboli di quello che eravamo in precedenza. Tante di queste vittorie!
[1] Ironico, seppure non chiarissimo: Una spiegazione potrebbe essere questa: i Village People sono un gruppo musicale statunitense di disco music, attivo soprattutto negli anni settanta e ottanta. Il loro nome, letteralmente la ‘gente del villaggio’, si riferisce al Greenwich Village di New York, luogo frequentato dalla comunità omosessuale (Wikipedia). Le immagini del gruppo mostrano di solito alcuni individui di sesso maschile, piuttosto robusti e forse un po’ ‘nativisti’. Si allude semplicemente al carattere localistico, minimale, ‘paesano’ dell’accordo?
By mm
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