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Bernie Sanders e il mito dell’1 per cento, di Paul Krugman (New York Times, 18 aprile 2019)

 

April 18, 2019

Bernie Sanders and the Myth of the 1 Percent

By Paul Krugman

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A peculiar chapter in the 2020 presidential race ended Monday, when Bernie Sanders, after months of foot-dragging, finally released his tax returns. The odd thing was that the returns appear to be perfectly innocuous. So what was all that about?

The answer seems to be that Sanders got a lot of book royalties after the 2016 campaign, and was afraid that revealing this fact would produce headlines mocking him for now being part of the 1 Percent. Indeed, some journalists did try to make his income an issue.

This line of attack is, however, deeply stupid. Politicians who support policies that would raise their own taxes and strengthen a social safety net they’re unlikely to need aren’t being hypocrites; if anything, they’re demonstrating their civic virtue.

But failure to understand what hypocrisy means isn’t the only way our discourse about politics and inequality goes off the rails. The catchphrase “the 1 Percent” has also become a problem, obscuring the nature of class in 21st-century America.

Focusing on the top percentile of the income distribution was originally intended as a corrective to the comforting but false notionthat growing inequality was mainly about a rising payoff to education. The reality is that over the past few decades the typical college graduate has seen only modest gains, with the big money going to a small group at the top. Talking about “the 1 Percent” was shorthand for acknowledging this reality, and tying that reality to readily available data.

But putting Bernie Sanders and the Koch brothers in the same class is obviously getting things wrong in a different way.

True, there’s a huge difference between being affluent enough that you don’t have to worry much about money and living with the financial insecurity that afflicts many Americans who consider themselves middle class. According to the Federal Reserve, 40 percent of U.S. adults don’t have enough cash to meet a $400 emergency expense; a much larger number of Americans would be severely strained by the kinds of costs that routinely arise when, say, illness strikes, even for those who have health insurance.

So if you have an income high enough that you can easily afford health care and good housing, have plenty of liquid assets and find it hard to imagine ever needing food stamps, you’re part of a privileged minority.

But there’s also a big difference between being affluent, even very affluent, and having the kind of wealth that puts you in a completely separate social universe. It’s a difference summed up three decades ago in the movie “Wall Street,” when Gordon Gekko mocks the limited ambitions of someone who just wants to be “a $400,000-a-year working Wall Street stiff flying first class and being comfortable.”

Even now, most Americans don’t seem to realize just how rich today’s rich are. At a recent event, my CUNY colleague Janet Gornick was greeted with disbelief when she mentioned in passing that the top 25 hedge fund managers make an average of $850 million a year. But her number was correct.

One survey found that Americans, on average, think that corporate C.E.O.s are paid about 30 times as much as ordinary workers, which hasn’t been true since the 1970s. These days the ratio is more like 300 to 1.

Why should we care about the very rich? It’s not about envy, it’s about oligarchy.

With great wealth comes both great power and a separation from the concerns of ordinary citizens. What the very rich want, they often get; but what they want is often harmful to the rest of the nation. There are some public-spirited billionaires, some very wealthy liberals. But they aren’t typical of their class.

The very rich don’t need Medicare or Social Security; they don’t use public education or public transit; they may not even be that reliant on public roads (there are helicopters, after all). Meanwhile, they don’t want to pay taxes.

Sure enough, and contrary to popular belief, billionaires mostly (although often stealthily) wield their political power on behalf of tax cuts at the top, a weaker safety net and deregulation. And financial support from the very rich is the most important force sustaining the extremist right-wing politics that now dominates the Republican Party.

That’s why it’s important to understand who we mean when we talk about the very rich. It’s not doctors, lawyers or, yes, authors, some of whom make it into “the 1 Percent.” It’s a much more rarefied social stratum.

None of this means that the merely affluent should be exempt from the burden of creating a more decent society. The Affordable Care Act was paid for in part by taxes on incomes in excess of $200,000, so 400K-a-year working stiffs did pay some of the cost. That’s O.K.: They (we) can afford it. And whining that $200,000 a year isn’t really rich is unseemly.

But we should be able to understand both that the affluent in general should be paying more in taxes, and that the very rich are different from you and me ­— and Bernie Sanders. The class divide that lies at the root of our political polarization is much starker, much more extreme than most people seem to realize.

 

Bernie Sanders e il mito dell’1 per cento,

di Paul Krugman

 

Un capitolo insolito della corsa alla Presidenza del 2020 è terminato lunedì, quando Bernie Sanders, dopo mesi di tentennamenti, alla fine ha pubblicato la propria dichiarazione dei redditi. La cosa curiosa è che quella dichiarazione sembra essere perfettamente innocua. Dunque, perché tanto chiasso?

Sembra che la risposta sia che Sanders, dopo la campagna elettorale del 2016, ha ricevuto una somma notevole di diritti d’autore su un libro ed aveva paura che rivelare questa circostanza avrebbe generato titoli di giornale che lo avrebbero preso in giro per essere diventato parte dell’1 per cento. In effetti, alcuni giornalisti hanno provato a far diventare il suo reddito una questione rilevante.

Questa offensiva, tuttavia, è profondamente stupida. I politici che sostengono iniziative che accrescerebbero le loro stesse tasse e rafforzerebbero le misure della sicurezza sociale è improbabile che abbiano bisogno di dimostrare di non essere stati ipocriti; semmai, stanno mettendo in evidenza le loro virtù civiche.

Ma l’incapacità a comprendere che cosa comporti l’ipocrisia non è il solo modo nel quale il nostro dibattito sulla politica e sull’ineguaglianza va fuori dal seminato. Anche lo slogan sull’ “1 per cento” è diventato un problema, oscurando la natura di classe dell’America del 21° Secolo.

Concentrarsi sul percentile più alto della distribuzione del reddito agli inizi era inteso come un correttivo del concetto, confortevole ma falso, secondo il quale la crescente ineguaglianza riguardava principalmente un premio crescente all’istruzione. La realtà è che nei decenni passati il laureato tipico ha conosciuto guadagni solo modesti, mentre tanti soldi sono finiti al piccolo gruppo dei più ricchi. Parlare dell’ “1 per cento” è stato un modo sbrigativo per riconoscere questa realtà, e collegarla a dati facilmente disponibili.

Ma collocare Bernie Sanders e i fratelli Koch nella stessa classe equivale evidentemente, in un modo diverso, a comprendere la realtà in modo sbagliato.

È vero, c’è una grande differenza tra l’essere abbastanza benestanti da non doversi preoccupare granché del denaro e vivere con l’insicurezza economica che affligge molti americani che si considerano classe media. Secondo la Federal Reserve, il 40 per cento degli americani adulti non ha sufficiente contante per affrontare spese di emergenza di 400 dollari; un numero molto più grande di americani sarebbe gravemente stremato da quel tipo di costi che normalmente si presentano quando, ad esempio, si è colpiti da una malattia, anche per coloro che hanno l’assicurazione sanitaria.

Dunque, se si ha un reddito sufficientemente elevato da potersi permettere l’assistenza sanitaria e un buon alloggio, se si hanno molti asset liquidi e si fa fatica persino a immaginarsi di aver mai bisogno di tessere alimentari, si fa parte di una minoranza privilegiata.

Ma c’è anche una grande differenza tra l’essere benestanti, persino molto benestanti, e possedere quel genere di ricchezza che vi colloca in un universo sociale completamente diverso. È una differenza riassunta trent’anni fa nel film “Wall Street”, quando Gordon Gekko ironizzava sulle limitate ambizioni di chi aspira soltanto ad essere “un poveraccio da 400.000 dollari all’anno che lavora a Wall Street, che vola in prima classe e si sente agiato”.

Persino oggi, la maggioranza degli americani sembra non comprendere quanto siano ricchi i ricchi odierni. In un evento recente, la mia collega della Università della Città di New York Janet Gornick è stata accolta con incredulità quando ha citato di passaggio che gli amministratori dei 25 più ricchi hedge fund realizzano una media di 850 milioni di dollari all’anno. Ma il suo dato era corretto.

Uno studio ha scoperto che gli americani, in media, pensano che gli amministratori delegati delle società siano pagati trenta volte i lavoratori comuni, il che non è stato più vero a partire dagli anni ’70. Oggi il rapporto è piuttosto di 300 a 1.

Perché dovremmo preoccuparci dei ricchissimi? Non è una questione di invidia, riguarda l’oligarchia.

Con la grande ricchezza arriva il grande potere e una separazione dalle preoccupazioni dei cittadini comuni. Quello che vogliono coloro che sono molto ricchi, spesso l’ottengono; ma quello che vogliono è frequentemente dannoso per il resto della nazione. Ci sono alcuni miliardari orientati al servizio pubblico, alcuni ricchissimi progressisti. Ma non sono caratteristici della loro classe.

I molto ricchi non hanno bisogno di Medicare o della Previdenza Sociale; non utilizzano l’istruzione pubblica o i trasporti pubblici; possono persino non dipendere dalle strade pubbliche (in fondo, ci sono gli elicotteri). Nello stesso tempo, non vogliono pagare le tasse.

Di certo, e all’opposto del convincimento popolare, nella maggioranza dei casi i miliardari (sebbene spesso di nascosto) esercitano il loro potere politico a favore dei tagli delle tasse sui più ricchi, di una rete di sicurezza sociale più debole e della deregolamentazione. E il sostegno finanziario da parte dei molto ricchi è la forza più importante a sostegno della politica estremista di destra che oggi domina il Partito Repubblicano.

Questa è la ragione per la quale è importante comprendere a chi ci riferiamo quando parliamo dei ricchissimi. Non si tratta di dottori, di avvocati o anche di scrittori, alcuni dei quali esercitano dentro “l’1 per cento”. È un settore della società molto più rarefatto.

Tutto questo non significa che coloro che sono semplicemente benestanti dovrebbero essere esentati dal farsi carico di creare una società più decente. La Legge sulla Assistenza Sostenibile è stata in parte pagata dalle tasse sui redditi eccedenti i 200.000 dollari, dunque i ‘poveracci’ [1] che lavorano per 400.000 dollari all’anno hanno pagato una parte del costo. È giusto così: possono permetterselo. E piagnucolare che con 200.000 dollari all’anno non si è realmente ricchi è sconveniente.

Ma dovremmo saper riconoscere sia che i benestanti in generale dovrebbero pagare più tasse, sia che i ricchissimi sono un’altra cosa rispetto a voi e a me – e a Bernie Sanders. La divisione di classe che si colloca alla radice della nostra polarizzazione politica è molto più grave, molto più radicale di quello che la maggioranza delle persone sembra comprendere.

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] “Stiff” ha anche, nello slang statunitense, il significato di ‘poveraccio’. In questo caso, penso che il riferimento sia alla stessa espressione usata da Gordon Gekko nel film “Wall Street”.

 

 

 

 

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