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Il guaio con Joe e Bernie, di Paul Krugman (New York Times, 2 maggio 2019)

 

May 2, 2019

The Trouble With Joe and Bernie

By Paul Krugman

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It’s still very early, but Joe Biden has emerged as the clear front-runner for the Democratic nomination. Bernie Sanders is in second place, although he appears to be fairly far behind, and one poll shows him in a statistical tie with Elizabeth Warren. So what should we think about the men currently leading the field?

Well, I have concerns. Not about electability, a topic about which nobody knows anything. Never mind what today’s general election polls say: What will polling look like after the inevitable Republican smear campaign? The answer to this question depends, in turn, on whether news organizations will cooperate with those smears as gleefully as they did in 2016.

No, my concerns are about what will happen if either man wins. Are they ready for the political trench warfare that would inevitably follow a Democratic victory?

The trouble with both Biden and Sanders is that each, in his own way, seems to believe that he has unique powers of persuasion that will let him defy the harsh reality of today’s tribal politics. And this lack of realism could set either of them up for failure.

Start with Biden, a convivial guy who has maintained good personal relations with Republicans. All indications are that he believes that these good personal relations will translate into an ability to make bipartisan deals on policy.

But we’ve already seen this movie, and it was a tragedy. Barack Obama took office with a message of unity and bipartisan outreach, and a sincere belief that he could get many Republicans to back his efforts to revive the economy, reform health care, and more. What he faced instead was total scorched-earth opposition.

And Obama’s belief that he could transcend partisanship nearly sank his presidency. Crucial months were wasted trying to devise health reform legislation that could attract Republican support; Obama’s signature achievement happened only because Nancy Pelosi’s heroic efforts dragged the Affordable Care Act across the finish line. He was willing to make a “grand bargain” with Republicans that would have undermined Medicare and Social Security, deeply damaging the Democratic brand; he was saved only by the G.O.P.’s total intransigence, its unwillingness to contribute a single penny’s worth of tax increases.

The big concern about a Biden presidency is that he would repeat all of Obama’s early mistakes, squandering any momentum from electoral victory in pursuit of a bipartisan dream that should have died long ago.

 

Sanders, by contrast, doesn’t do bipartisanship. He doesn’t even do unipartisanship, refusing to call himself a Democrat even as he seeks the party’s nomination. But what Sanders appears to believe is that he can convince voters not just to support progressive policies, but to support sweeping policy changes that would try to fix things most people don’t consider broken.

That, after all, is what his Medicare for All push, which would eliminate private insurance, amounts to. He is saying to the 180 million Americans who currently have private insurance, many of whom are satisfied with their coverage: “I’m going to take away the insurance you have and replace it with a government program. Also, you’re going to pay a lot more in taxes. But trust me, the program will be better than what you have now, and the new taxes will be less than you currently pay in premiums.”

Could those claims be true? Yes. Will voters believe them? Probably not. Polling shows that support for Medicare for All falls off drastically when people are informed that it would eliminate private insurance and require higher taxes.

You might try to rationalize the Sanders position by saying that Medicare for All is an aspirational plan, and that in practice he would be willing to accept a more gradualist approach. But that’s not what his behavior suggests. On the contrary, Sanders has conspicuously refused to support measures that would enhance Obamacare, even as a temporary expedient.

For Sanders, then, it seems to be single-payer or bust. And what that would mean, with very high likelihood, is … bust.

We’re not talking about right versus left here. The Democratic Party has become much more solidly progressive than it used to be, and that will be reflected in the policies of any Democrat who makes it to the White House. The issue, instead, is whether he or she will be willing to face up to the harsh realities of today’s politics.

Democratic candidates in the next tier of the current race seem to get it. Warren’s proposals are very progressive, but they’re also incremental, and even her fairly radical ideas, like her proposed wealth tax, poll well. Anyone who watched Kamala Harris at Wednesday’s Barr hearing knows that she has no illusions about the state of partisanship.

Biden and Sanders, however, come across as romantics. Biden appears stuck in the past, when real bipartisanship sometimes happened. Sanders appears to live in an imaginary future, where a popular tidal wave washes away all political obstacles. Neither man seems ready for the tough fights that will follow even if he wins.

 

Il guaio con Joe e Bernie,

di Paul Krugman

 

È ancora molto presto, ma Joe Biden è emerso come il chiaro favorito per la nomination democratica. Bernie Sanders è in seconda posizione, sebbene sembri abbastanza distaccato, ed un sondaggio lo mostra in una connessione statistica con Elizabeth Warren. Che cosa dovremmo dunque pensare dei due uomini che attualmente fanno da battistrada?

A dire il vero, io ho preoccupazioni. Non sul fatto che possano essere eletti, un tema sul quale nessuno sa niente. Non è importante ciò che dicono i sondaggi odierni sulle elezioni generali: come saranno i sondaggi dopo l’inevitabile campagna di denigrazioni dei repubblicani? La risposta a questa domanda, a sua volta, dipende dal fatto se le agenzie dell’informazione coopereranno con queste diffamazioni come fecero spensieratamente nel 2016.

No, le mie preoccupazioni riguardano quello che accadrebbe se uno dei due personaggi vincesse. Sono pronti per la guerra politica di trincea che seguirebbe una vittoria democratica?

Il guaio sia con Biden che con Sanders è che entrambi, ognuno a suo modo, sembrano convinti di avere poteri unici di persuasione che gli permetteranno di sfidare la dura realtà della politica tribale odierna. E questa mancanza di realismo potrebbe predisporre tutti e due ad un fallimento.

Cominciamo con Biden, un personaggio affabile che ha mantenuto buone relazioni personali con i repubblicani. Secondo tutte le indicazioni egli è convinto che queste buone relazioni personali si tradurranno in una capacità di fare accordi bipartisan sui temi del governo.

Ma questo film l’abbiamo già visto, e fu una tragedia. Barack Obama entrò in carica con un messaggio di unità e di convergenza bipartisan, e con un sincero convincimento che avrebbe ottenuto l’appoggio di molti repubblicani nel rianimare l’economia, riformare l’assistenza sanitaria ed altro ancora. Quello con cui invece dovette fare i conti fu una opposizione completa, da guerra bruciata.

E la convinzione di Obama di poter trascendere la faziosità quasi affondò la sua Presidenza. Mesi cruciali vennero sprecati nel tentativo di immaginare una legge di riforma sanitaria che potesse ottenere il sostegno repubblicano; la realizzazione distintiva del suo mandato avvenne solo per gli sforzi eroici di Nancy Pelosi di trascinare la Legge sulla Assistenza Sostenibile al di là del limite del suo esaurimento. Egli era disponibile a fare un “grande patto” con i repubblicani che avrebbe messo a repentaglio Medicare e la Previdenza Sociale, danneggiando profondamente l’immagine dei democratici; fu salvato solo dalla totale intransigenza del Partito Repubblicano, dalla sua indisponibilità a contribuire neanche con un centesimo ad aumenti delle tasse.

La grande preoccupazione su una Presidenza Biden è che ripeterebbe tutti gli errori iniziali di Obama, sperperando ogni slancio derivante dalla vittoria elettorale nel perseguimento di una illusione bipartisan che dovrebbe essere morta da tempo.

All’opposto, Sanders non ha sogni bipartisan. Non ne ha neanche ‘unipartisan’, visto che si rifiuta di definirsi democratico anche se cerca di essere candidato dal partito. Ma quello che Sanders sembra credere è di poter convincere gli elettori non solo a sostenere le politiche progressiste, ma a sostenere vaste modifiche di governo che cercherebbero di correggere situazioni che la maggioranza della gente non considera cattive.

Questo, in fin dei conti, è quello cui corrisponderebbe la sua iniziativa del Medicare-per-tutti, che eliminerebbe le assicurazioni private. Lui sta dicendo ai 180 milioni di americani che hanno attualmente assicurazioni private, molti dei quali sono soddisfatti per la loro copertura: “Ho intenzione di eliminare la vostra assicurazione e di sostituirla con un programma governativo. Alla fine vi ritroverete anche a pagare molte tasse in più. Ma credetemi, il programma sarà migliore di quello che avete adesso, e le nuove tasse saranno minori di quello che adesso pagate in polizze assicurative”.

Questi argomenti potrebbero essere veri? Certamente. Gli elettori ci crederanno? Probabilmente no. I sondaggi mostrano che il sostegno degli elettori a Medicare-per-tutti calano drasticamente quando la gente viene informata che ciò eliminerebbe le assicurazioni private e comporterebbe tasse più elevate.

Si potrebbe cercare di razionalizzare la posizione di Sanders dicendo che Medicare-per-tutti è un programma di aspirazioni, e che in pratica egli sarebbe disponibile ad accettare un approccio più gradualista. Ma non è quello che il suo comportamento suggerisce. Al contrario, Sanders ha vistosamente negato il suo sostegno a misure che rafforzerebbero la riforma di Obama, sia pure con soluzioni provvisorie [1].

Sanders, dunque, sembra essere favorevole alla soluzione di un unico centro di pagamenti oppure di un disastro. Il che comporterebbe, con elevata probabilità, … il disastro.

In questo caso non stiamo parlando di destra contro sinistra. Il Partito Democratico è diventato molto più solidamente progressista di quello che era un tempo, e ciò si rifletterebbe nelle politiche di qualsiasi democratico che andasse alla Casa Bianca. Il tema è piuttosto quello se il candidato, uomo o donna che sia, sarà disponibile a far fronte alle crude realtà della politica odierna.

I candidati democratici del livello successivo sembrano averlo compreso. Le proposte della Warren sono molto progressiste, ma sono anche graduali, e persino le sue idee abbastanza radicali, come la sua proposta di una tassa sulla ricchezza, godono di sondaggi favorevoli. Chiunque abbia osservato Kamala Harris nella audizione di Barr di mercoledì, sa che ella non si fa illusioni sulle condizioni attuali della faziosità.

Biden e Sanders, tuttavia, danno l’impressione di essere romantici. Biden appare bloccato nel passato, quando una effettiva collaborazione tra i partiti talvolta si realizzava. Sanders sembra vivere in un futuro immaginario, ne quale un maremoto popolare farà piazza pulita di tutti gli ostacoli politici. Nessuno dei due sembra pronto alle dure battaglie che verrebbero in seguito, anche se vincessero.

 

 

 

 

 

 

 

[1] Il riferimento è ad una proposta che è stata avanzata da Nancy Pelosi, alla quale ha invece aderito anche Alexandria Ocasio-Cortez. La proposta riguarda poche modifiche tecniche alla legislazione attuale che dovrebbero essere approvate in poche settimane anche prima delle prossime elezioni e che accrescerebbero notevolmente la percentuale di americani assistiti. Se ho ben compreso, la fattibilità di questa proposta deriverebbe dal fatto che quelle misure empiriche potrebbero teoricamente rientrare nelle competenze della Camera dei Rappresentanti, oggi a maggioranza democratica. Si veda, qua tradotto, l’articolo di Krugman dell’11 aprile scorso “Purezza contro pragmatismo …”. Sanders si è opposto in quanto i miglioramenti possibili non si collocherebbero nell’indirizzo di una riforma più radicale della assistenza (che però, al momento, si infrangerebbe sull’ostacolo della forte maggioranza repubblicana al Senato).

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