May 13, 2019
FRANKFURT – Five years ago, the French economist Thomas Piketty made a splash with his book Capital in the Twenty-First Century, in which he argued that there is an innate tendency toward wealth concentration in market economies. The mechanism to which Piketty pointed was that the rate of interest, r, is higher than the rate of economic growth, g. With r>g, owners of the means of production – the capitalist class – earn a return that exceeds the growth of the economy as a whole.
By highlighting the problem of wealth inequality and providing a pithy explanation of it, Piketty struck a chord. Not many economics books sell more than a million copies.
Earlier this year, another French economist, Olivier Blanchard, the outgoing president of the American Economic Association and a former chief economist of the International Monetary Fund, gave an acclaimed address in which he argued that the debt-carrying capacity of the advanced economies is greater than commonly supposed. The basis for his conclusion was that the rate of interest was less than the rate of economic growth. With r< g, the debt-to-GDP ratio, which measures a society’s capacity to service debts, will have a denominator that is growing faster than the numerator, so long as the budget is close to balance.
Meanwhile, John Williams, the president of the Federal Reserve Bank of New York, has published a series of widely cited studies showing that the real (inflation-adjusted) rate of interest has been trending downward for fully two decades.
So have we now moved from Piketty’s r>g world to Blanchard’s r<g world? If so, can their views be reconciled?
The answer is no and yes. The views of Piketty and Blanchard can indeed be reconciled, because they are talking about different interest rates. While Blanchard focuses on the rate on low-risk government bonds, Piketty is concerned with the return on risky capital investments. Because the two interest rates are separated by a risk premium of roughly five percentage points, it is entirely possible for the rate on government bonds to be below the economic growth rate, while the rate on capital is above it.
Why the risk premium is so large is a bit of a mystery. One must assume that consumers are incredibly risk-averse in order to generate a premium of the observed magnitude. Still, the existence of this risk premium explains how Piketty and Blanchard can both reach their respective conclusions.
What are the implications for policy? Williams’s analysis, by highlighting that interest rates are unusually low for this stage of the business cycle, cautions that there may be little room to cut them in a downturn. This prospect has led the Fed to launch a comprehensive review of its monetary-policy strategy.
For Piketty, the rising wealth concentration that results from a large risk premium calls for higher taxes on the wealthy on equity and social-cohesion grounds. For Blanchard, the implication is that governments can safely accumulate more debt. In countries with pressing infrastructure needs, like the United States, there is room for additional public investment. Similarly, government-funded forgiveness of student loan debt, as advocated by Senator Elizabeth Warren, may make sense, because members of the current generation would receive significant relief while future generations would pay only a small share of their higher incomes to service additional public obligations.
That said, public debt is not a free lunch in an economy close to full employment. By spending more, the government will be tapping additional scarce resources. Other spending, including investment, will be crowded out, implying weaker economic growth.
But what about an economy that is not at full employment? This is the case considered by another prominent economist, former US Treasury Secretary Lawrence Summers, who takes Williams’s analysis a step further. Summers argues that the rate of interest delivered by market forces, left to their own devices, is now significantly below zero. Because twenty-first-century firms like Google and Facebook require only modest amounts of tangible capital, and because the relative price of capital goods has been falling, the “natural” rate of interest that equates saving with investment is now actually negative, absent policy support.
But nominal interest rates can’t be forced much below zero. And monetary policymakers, for their part, seem unable to push inflation above 1-2% in order to drive down real interest rates. Investment demand therefore tends to fall short of saving, creating a risk of chronic underemployment.
In this case, the argument for additional deficit spending to supplement deficient private spending is stronger, because there is less risk of crowding out productive private investment. This does not mean that the scope for running deficits is unlimited, because at some point safe government debt could be re-rated as risky, causing interest rates to rise. That said, these arguments lead to a straightforward conclusion: in the future, we will have to rely more on fiscal policy and less on monetary policy to achieve stable and equitable growth.
Il ritorno della politica della finanza pubblica,
di Barry Eichengreen
FRANCOFORTE – Cinque anni fa, l’economista francese Thomas Piketty fece clamore con il suo libro Il Capitale nel Ventunesimo Secolo, nel quale sosteneva che esisteva nelle economie di mercato una tendenza innata verso la concentrazione della ricchezza. Il meccanismo al quale Piketty si riferiva consisteva nel fatto che il tasso di interesse, r, è più alto del tasso di crescita dell’economia, g. Con r superiore a g i proprietari dei mezzi di produzione – la classe dei capitalisti – si appropria di un rendimento che eccede la crescita dell’economia nel suo complesso.
Sottolineando il problema della ineguaglianza della ricchezza e fornendo per esso una spiegazione concisa, Piketty toccava una corda sensibile. Non molti libri di economia vendono più di un milione di copie.
Agli inizi di quest’anno, un altro economista francese, Olivier Blanchard, il Presidente uscente della American Economic Association e passato capoeconomista del Fondo Monetario internazionale, ha tenuto un discorso molto apprezzato nel quale ha sostenuto che la capacità di sopportare il debito da parte delle economie avanzate è superiore di quanto comunemente si ritiene. La base per la sua conclusione è stata che il tasso di interesse è inferiore al tasso di crescita dell’economia. Con r superiore a g, il rapporto tra debito e PIL, che misura la capacità della società d provvedere ai debiti, avrà un denominatore che cresce più velocemente del numeratore, finché il bilancio non si chiuderà in equilibrio.
Nel frattempo, John Williams, il Presidente della banca della Federal Reserve di New York, ha pubblicato una serie di studi ampiamente citati che mostrano che il tasso di interesse reale (corretto per l’inflazione) ha teso a calare per due interi decenni.
Dunque, adesso ci siamo spostati dal mondo di Piketty (r>g) a quello di Blanchard (r<g)? Se è così, i loro punti di vista possono essere conciliati?
La risposta è sia positiva che negativa. I punti di vista di Piketty e di Blanchard possono in effetti essere conciliati, giacché essi stanno parlando di diversi tassi di interesse. Mentre Blanchard si concentra sul tasso delle obbligazioni governative a basso rischio, Piketty si preoccupa dei rendimenti degli investimenti rischiosi di capitale. Poiché i due tassi di interesse sono distinti da un premio per il rischio di circa cinque punti percentuali, è del tutto possibile che il tasso delle obbligazioni governative si collochi al di sotto del tasso di crescita, mentre il tasso sul capitale sia superiore.
Perché il premio per il rischio sia così ampio è, in una certa misura, un mistero. Si deve presumere che i consumatori siano incredibilmente ostili al rischio per generare un premio della grandezza osservata. Eppure, l’esistenza del premio per il rischio spiega come Piketty e Blanchard possano entrambi arrivare alle loro rispettive conclusioni.
Quali sono le implicazioni per la politica? L’analisi di Williams, sottolineando che i tassi di interesse sono insolitamente bassi per questa fase del ciclo economico, mette in guardia che ci potrebbe essere poco spazio per tagliarli in una recessione. Questa prospettiva ha portato la Fed a lanciare una revisione completa della sua strategia di politica monetaria.
Per Piketty, la crescente concentrazione della ricchezza che deriva da un ampio premio per il rischio esige tasse più elevate sulla ricchezza su basi di equità e di coesione sociale. Per Blanchard, l’implicazione è che i Governi possono accumulare maggiori debiti in condizioni di sicurezza. Nei paesi pressati da fabbisogni infrastrutturali, come gli Stati Uniti, c’è spazio per investimenti pubblici aggiuntivi. In modo simile, la cancellazione del debito degli studenti su prestiti finanziari dal Governo, come sostenuto dalla Senatrice Elizabeth Warren, può aver senso, perché i componenti della generazione attuale riceverebbero un significativo sollievo mentre le generazioni future pagherebbero solo una quota dei loro maggiori redditi al servizio delle obbligazioni pubbliche aggiuntive.
Ciò detto, in un’economia vicina alla piena occupazione, il debito pubblico non è un pasto gratuito. Spendendo di più, il Governo sfrutterà risorse aggiuntive scarse. Altre spese, inclusi gli investimenti, saranno spiazzate, con la conseguenza di una crescita economica più debole.
Ma cosa accade in un’economia che non è in condizioni di piena occupazione? È questo l’argomento considerato da un altro eminente economista, il passato Segretario al Tesoro Lawrence Summers, che fa fare all’analisi di Williams un passo ulteriore.
Summers sostiene che il tasso di interesse offerto dalle forze di mercato, lasciato ai loro stessi meccanismi, è adesso significativamente sotto lo zero. Poiché le imprese del ventunesimo secolo come Google o Facebook richiedono soltanto quantità modeste di capitali reali, e poiché il prezzo relativo dei beni capitali sta scendendo, il tasso di interesse “naturale” che mette in equilibrio risparmi ed investimenti è in realtà adesso negativo, in assenza di un sostegno politico.
Ma il tasso di interesse nominale non può essere costretto molto sotto lo zero. E le autorità monetarie, da parte loro, sembrano incapaci di spingere l’inflazione sopra l’1–2 per cento allo scopo di spingere in basso i tassi di interesse reali. La domanda di investimenti di conseguenza tende ad essere inferiore ai risparmi, creando il rischio di un sottoutilizzo cronico.
In questo caso, l’argomento per una spesa in deficit aggiuntiva per integrare la spesa privata insufficiente è più forte, perché c’è minore rischio di spiazzare l’investimento produttivo privato. Questo non significa che il proposito di gestire deficit sia illimitato, perché in qualche momento un debito pubblico sicuro potrebbe essere rivalutato come rischioso, facendo salire i tassi di interesse. Ciò detto, questi argomenti conducono ad una semplice conclusione: nel futuro dovremo affidarci ad una maggiore politica della spesa pubblica e ad una minore politica monetaria per realizzare una crescita stabile ed equa.
By mm
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