June 3, 2019
By Paul Krugman
Donald Trump’s plan to impose tariffs on Mexican exports unless our neighbor does something — he hasn’t specified what — to stop the flow of asylum-seekers is almost surely illegal: U.S. trade law gives presidents discretion to impose tariffs for a number of reasons, but curbing immigration isn’t one of them.
It’s also a clear violation of U.S. international agreements. And it will reduce the living standards of most Americans, destroy many jobs in U.S. manufacturing, and hurt farmers.
But let’s put all of that to one side and talk about the really bad stuff.
Trump says that “TARIFF is a beautiful word indeed,” but the actual history of U.S. tariffs isn’t pretty — and not just because tariffs, whatever the tweeter in chief says, are in practice taxes on Americans, not foreigners. In fact, it’s now a good bet that Trump’s tariffs will more than wipe out whatever breaks middle-class Americans got from the 2017 tax cut.
The more important fact is that until the 1930s, tariff policy was a cesspool of corruption and special-interest politics. One of the main purposes of the 1934 Reciprocal Trade Agreements Act, which eventually became the template for the modern world trading system, was to drain that particular swamp by removing the capriciousness of previous tariff policy.
Trump’s erratic trade actions, unconstrained by what we used to think were the legal rules, have brought the capriciousness back, and good old-fashioned corruption — if it isn’t happening already — won’t be far behind.
Beyond that, tariff policy is inextricably linked with America’s role as a global superpower. Central to that role is the expectation that the U.S. will be both reliable and responsible — that it will honor whatever agreements it makes, and more broadly that it will make policy with an eye to the effects of its actions on the rest of the world.
Trump is throwing all that away. His Mexican tariffs violate both Nafta, which was supposed to guarantee free movement of goods within North America, and our obligations under the World Trade Organization, which, like U.S. law, permits new tariffs only under certain specified conditions. So America has become a lawless actor in world markets, a tariff-policy rogue state.
But there’s more. By deploying tariffs as a bludgeon against whatever he doesn’t like, Trump is returning America to the kind of irresponsibility it displayed after World War I — irresponsibility that, while obviously not the sole or even the main cause of the Great Depression, the rise of fascism and the eventual coming of World War II, helped create the environment for these disasters.
It is, I believe, pretty widely known that America turned its back on the world after World War I: refusing to join the League of Nations, slamming the doors shut on most immigration (fortunately a few years after my grandparents got here).
What’s less known, I suspect, is that America also took a sharply protectionist turn long before the infamous 1930 Smoot Hawley Act. In early 1921, Congress enacted the Emergency Tariff Act, soon followed by the Fordney-McCumber Tariff of 1922. These actions more than doubled average tariffs on dutiable imports. Like Trump, the advocates of these tariffs claimed that they would bring prosperity to all Americans.
They didn’t. There was indeed a manufacturing boom, driven not by tariffs but by new products like affordable cars and new technologies like the assembly line. Farmers, however, spent the 1920s suffering from low prices for their products and high prices for farm equipment, leading to a surge in foreclosures.
Part of the problem was that U.S. tariffs were met with retaliation; even before the Depression struck, the world was engaged in a gradually escalating trade war. Making things even worse, U.S. tariffs put our World War I allies in an impossible position: We expected them to repay their huge war debts, but our tariffs made it impossible for them to earn the dollars they needed to make those payments.
And the trade war/debt nexus created a climate of international distrust and bitterness that contributed to the economic and political crises of the 1930s. This experience had a profound effect on U.S. policy after World War II, which was based on the view that free trade and peace went hand in hand.
So am I saying that Trump is repeating the policy errors America made a century ago? No. This time it’s much worse.
After all, while Warren Harding wasn’t a very good president, he didn’t routinely abrogate international agreements in a fit of pique. While America in the 1920s failed to help build international institutions, it didn’t do a Trump and actively try to undermine them. And while U.S. leaders between the wars may have turned a blind eye to the rise of racist dictatorships, they generally didn’t praise those dictatorships and compare them favorably to democratic regimes.
There are, however, enough parallels between U.S. tariff policy in the 1920s and Trumpism today for us to have a pretty good picture of what happens when politicians think that tariffs are “beautiful.” And it’s ugly.
Trump rende l’America nuovamente irresponsabile.
di Paul Krugman
Il piano di Donald Trump di imporre tariffe sulle esportazioni messicane per fermare il flusso dei richiedenti asilo, anche se i nostri vicini non hanno fatto niente – lui non ha specificato alcuna ragione – è quasi certamente illegale: la legge americana sul commercio dà al Presidente il potere di imporre tariffe a discrezione per un certo numero di ragioni, ma contenere l’immigrazione non è una di esse.
Si tratta anche di una chiara violazione degli accordi internazionali degli Stati Uniti. Ed essa ridurrà il livello di vita della maggioranza degli americani, distruggerà molti posti di lavoro nel settore manifatturiero degli Stati Uniti e danneggerà gli agricoltori.
Ma mettiamo da una parte tutti questi aspetti e parliamo degli aspetti realmente negativi.
Trump dice che “TARIFFA è in effetti una bella parola”, ma la storia effettiva delle tariffe degli Stati Uniti non è bella – e non solo perché le tariffe, qualsiasi cosa dica il twittatore in capo, sono in pratica tasse sugli americani, non sugli stranieri. Di fatto, adesso è una scommessa facile dire che le tariffe di Trump faranno peggio che spazzare via qualsiasi sgravio gli americani di classe media abbiano ricevuto dai tagli delle tasse del 2017.
Il fatto più importante è che la politica delle tariffe sino agli anni ’30 fu un letamaio di corruzione e una politica di privilegi. Uno degli scopi principali della Legge sugli Accordi Commerciali Reciproci, che alla fine divenne il modello del moderno sistema commerciale mondiale, fu prosciugare quella speciale palude rimuovendo l’arbitrio della precedente politica tariffaria.
Le iniziative commerciali erratiche di Trump, non limitate da quelle che un tempo consideravamo le regole legali, hanno riportato in auge gli arbitri, e la corruzione dei tempi andati – se non è già successo – non sarà lontana.
Oltre a ciò, la politica delle tariffe è inestricabilmente connessa con il ruolo dell’America come superpotenza globale. In tale ruolo è centrale l’aspettativa che gli Stati Uniti siano sia affidabili che responsabili – che onoreranno tutti gli accordi che sottoscrivono, e più in generale che faranno una politica non perdendo di vista gli effetti delle loro iniziative sul resto del mondo.
Trump sta buttando alle ortiche tutto questo. Le sue tariffe americane violano sia il NAFTA, che si pensava garantisse il libero movimento dei beni nell’America settentrionale, sia i nostri obblighi con l’Organizzazione Mondiale del Commercio che, come la legge statunitense, permettono nuove tariffe solo a certe particolari condizioni. Dunque l’America è diventata nei mercati del mondo un soggetto che non rispetta le regole, uno Stato con una politica tariffaria canaglia.
Ma c’è di più. Utilizzando le tariffe come un randello contro tutto ciò che non gradisce, Trump sta riportando l’America a quel genere di irresponsabilità che essa mostrò dopo la Prima Guerra Mondiale – irresponsabilità che, se ovviamente non fu l’unica e neppure la principale causa della Grande Depressione, dell’avvento del fascismo e alla fine dell’arrivo della Seconda Guerra Mondiale, contribuì a creare l’ambiente per questi disastri.
Credo che sia piuttosto generalmente riconosciuto che l’America voltò le spalle al mondo dopo la Prima Guerra Mondiale: rifiutando di aderire alla Lega delle Nazioni, sbattendo le porte con violenza a gran parte dell’immigrazione (fortunatamente pochi anni dopo che i miei genitori erano arrivati).
Quello che ho il sospetto sia meno noto è che l’America conobbe una svolta protezionistica brusca molto tempo prima della famigerata Legge Smoot Hawley del 1930. Agli inizi del 1921, il Congresso approvò la Legge sulla Emergenza Tariffaria, presto seguita dalla Tariffa Fordney-McCumber del 1922. Con queste iniziative vennero più che raddoppiate le tariffe medie sulle importazioni sottoposte a dogana. Come Trump, i difensori di queste tariffe sostenevano che esse avrebbero portato prosperità a tutti gli americani.
Non fu così. Ci fu in effetti un boom manifatturiero, guidato non dalle tariffe ma da nuovi prodotti come le automobili a buon mercato e da nuove tecnologie come la catena di montaggio. Tuttavia gli agricoltori passarono gli anni ’20 in sofferenza per i bassi prezzi dei loro prodotti e gli alti prezzi per le attrezzature agricole, il che portò ad una crescita dei pignoramenti.
In parte il problema fu che alle tariffe statunitensi si rispose con ritorsioni; anche prima che la Depressione producesse i suoi effetti, il mondo era impegnato in una guerra commerciale in graduale crescita. A rendere la situazione peggiore, le tariffe statunitensi misero i nostri alleati della Prima Guerra Mondiale in una posizione impossibile: noi ci aspettavamo che essi pagassero i loro grandi debiti di guerra, ma le nostre tariffe impedirono loro di guadagnare i dollari di cui avevano bisogno per onorare questi pagamenti.
E il nesso tra guerra commerciale e debito creò un clima di sfiducia e di acredine internazionale che contribuì alle crisi economiche e politiche degli anni ’30. Questa esperienza ebbe un effetto profondo sulla politica degli Stati Uniti dopo la Seconda Guerra Mondiale, che fu basata sul punto di vista per il quale il libero commercio e la pace dovevano procedere mano nella mano.
Sto dunque dicendo che Trump sta ripetendo gli errori politici che l’America fece un secolo fa? No. Questa volta è molto peggio.
Dopo tutto, se Warren Harding non fu un ottimo Presidente, egli non abrogava ordinariamente gli accordi internazionali in accessi di collera. Se l’America degli anni ’20 fallì nel dare un contributo alla costruzione delle istituzioni internazionali, essa non fece come Trump e non cercò attivamente di metterle a repentaglio. E se i dirigenti degli Stati Uniti durante le guerre possono aver chiuso un occhio all’ascesa di dittatori razzisti, in generale essi non elogiavano quei dittatori e non li preferivano ai regimi democratici.
Ci sono, tuttavia, sufficienti somiglianze tra la politica tariffaria degli Stati Uniti negli anni ’20 e il trumpismo odierno, perché noi si abbia un quadro abbastanza chiaro di ciò che accade quando gli uomini politici ritengono che le tariffe siano “belle”. Ed è un quadro sconfortante.
By mm
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