July 18, 2019
By Paul Krugman
I’ve seen a number of people suggest that the 2020 election will be a sort of test: Can a sufficiently terrible president lose an election despite a good economy? And that is, in fact, the test we’d be running if the election were tomorrow.
On one side, Donald Trump wastes no opportunity to remind us how awful he is. His latest foray into overt racism delights his base but repels everyone else. On the other side, he presides over an economy in which unemployment is very low and real G.D.P. grew 3.2 percent over the past year.
But the election won’t be tomorrow, it will be an exhausting 15 months from now. Trump’s character won’t change, except possibly for the worse. But the economy might look significantly different.
So let’s talk about the Trump economy.
The first thing you need to know is that the Trump tax cut caused a huge rise in the budget deficit, which the administration expects to hit $1 trillion this year, up from less than $600 billion in 2016. This tidal wave of red ink is even more extraordinary than it looks, because it has taken place despite falling unemployment, which usually leads to a falling deficit.
Strange to say, none of the Republicans who warned of a debt apocalypse under President Barack Obama have protested the Trump deficits. (Should we put Paul Ryan’s face on milk cartons?) For that matter, even the centrists who obsessed over federal debt during the Obama years have been pretty quiet. Clearly, deficits only matter when there’s a Democrat in the White House.
Oh, and the imminent fiscal crisis people like Erskine Bowles used to warn about keeps not happening: Long-term interest rates remain very low.
Now, the evidence on the effects of deficit spending is clear: It gives the economy a short-run boost, even when we’re already close to full employment. If anything, the growth bump under Trump has been smaller than you might have expected given the deficit surge, perhaps because the tax cut was so badly designed, perhaps because Trump’s trade wars have deterred business spending.
For now, however, Deficit Man is beating Tariff Man. As I said, we’ve seen good growth over the past year.
But the tax cut was supposed to be more than a short-run Keynesian stimulus. It was sold as something that would greatly improve the economy’s long-run performance; in particular, lower corporate tax rates were supposed to lead to a huge boom in business investment that would, among other things, lead to sharply higher wages. And this big rise in long-run growth would supposedly create a boom in tax revenues, offsetting the upfront cost of tax cuts.
None of this is happening. Corporations are getting to keep a lot more of their profits, but they’ve been using the money to buy back their own stock, not raise investment. Wages are rising, but not at an extraordinary pace, and many Americans don’t feel that they’re sharing in the benefits of a growing economy.
And this is probably as good as it gets.
I’m not forecasting a recession. It could happen, and we’re very badly positioned to respond if it does, but the more likely story is just a slowdown as the effects of the deficit splurge wear off. In fact, if you believe the “nowcasters” (economists who try to get an early read on the economy from partial data), that slowdown is already happening. For example, the Federal Reserve Bank of New Yorkbelieves that the economy’s growth was down to 1.5 percent in the second quarter.
And it’s hard to see where another economic bump can come from. With Democrats controlling the House, there won’t be another big tax cut. The Fed may cut interest rates, but those cuts are already priced into long-term interest rates, which are what matter for spending, and the economy seems to be slowing anyway.
Which brings us back to the 2020 election.
Political scientists have carried out many studies of the electoral impact of the economy, and as far as I know they all agree that what matters is the trend, not the level. The unemployment ratewas still over 7 percent when Ronald Reagan won his 1984 landslide; it was 7.7 percent when Obama won in 2012. In both cases, however, things were clearly getting better.
That’s probably not going to be the story next year. If we don’t have a recession, unemployment will still be low. But economic growth will probably be meh at best — which means, if past experience is any guide, that the economy won’t give Trump much of a boost, that it will be more or less a neutral factor.
And on the other hand, Trump’s awfulness will remain.
Republicans will, of course, portray the Democratic nominee — whoever she or he may be — as a radical socialist poised to throw the border open to hordes of brown-skinned rapists. And one has to admit that this strategy might work, although it failed last year in the midterms. To be honest, I’m more worried about the effects of sexism if the nominee is a woman — not just the sexism of voters, but that of the news media, which still holds women to different standards.
But as far as the economy goes, the odds are that Trump’s deficit-fueled bump came too soon to do him much political good.
L’uomo del deficit e le elezioni del 2020,
di Paul Krugman
Vedo che un certo numero di persone suggerisce che le elezioni del 2010 saranno una sorta di test: può un Presidente abbastanza spaventoso perdere una elezione nonostante una buona economia? E infatti, questo è il test al quale dovremmo partecipare se le elezioni fossero domani.
Da una parte, Donald Trump non spreca alcuna opportunità per ricordarci quanto sia sgradevole. La sua ultima incursione nell’aperto razzismo delizia la sua base ma disgusta tutti gli altri. Dall’altra parte egli governa un’economia nella quale la disoccupazione è molto bassa e il PIL reale è cresciuto del 3,2 per cento sull’anno passato.
Ma le elezioni non saranno domani, saranno tra quindici estenuanti mesi a partire da adesso. Il carattere di Trump non cambierà, se non probabilmente in peggio. Ma l’economia potrebbe apparire sensibilmente diversa.
Dunque parliamo dell’economia di Trump.
La prima cosa che si deve sapere è che il taglio delle tasse di Trump ha provocato una grande crescita nel deficit di bilancio, che la Amministrazione si aspetta raggiunga quest’anno i mille miliardi di dollari, dai 600 miliardi del 2016. Questo maremoto è persino più straordinario di quello che sembra, dato che è avvenuto nonostante una caduta della disoccupazione, che normalmente comporta un calo del deficit.
Strano a dirsi, nessuno tra i repubblicani che mettevano in guardia su una apocalisse del debito con Barack Obama si è lamentato dei deficit di Trump (dovremmo mettere l’effige di Paul Ryan sui contenitori del latte? [1]). Peraltro, anche i centristi che erano ossessionati per il debito federale durante gli anni di Obama, sono rimasti abbastanza calmi. Evidentemente, i deficit contano soltanto quando alla Casa Bianca c’è un democratico.
Bisogna aggiungere che la imminente crisi delle finanze pubbliche sulla quale individui come Erskine Bowles erano soliti lanciare ammonimenti, continua a non materializzarsi: i tassi di interesse a lungo termine restano molto bassi.
Ora, le prove degli effetti della spesa in deficit sono chiari: essa dà all’economia una spinta nel breve periodo, anche quando si è già vicini alla piena occupazione. Semmai, il sobbalzo della crescita con Trump è stato più piccolo di quello che ci si poteva aspettare considerato l’aumento del deficit, forse perché il taglio delle tasse è stato concepito così malamente, forse perché le guerre commerciali di Trump hanno scoraggiato la spesa da parte delle imprese.
In questo momento, tuttavia, l’Uomo del Deficit sta battendo l’Uomo delle Tariffe. Come ho detto, stiamo constatando una buona crescita sull’anno passato.
Ma il taglio delle tasse si pensava che fosse più importante di uno stimolo keynesiano di breve periodo. Era stato pubblicizzato come qualcosa che avrebbe grandemente migliorato le prestazioni dell’economia nel lungo periodo; in particolare, le aliquote fiscali più basse per le imprese si pensava che avrebbero portato ad un’ampia crescita dei loro investimenti che, tra le altre cose, avrebbe provocato un brusco aumento dei salari. E questa grande crescita nel lungo periodo si supponeva determinasse una forte espansione nelle entrate fiscali, bilanciando gli ovvi costi degli sgravi fiscali.
Non è accaduto niente del genere. Le società stanno realizzando profitti maggiori, ma questi vengono usati per riacquistare le lor stesse azioni, anziché per accrescere gli investimenti. I salari stanno crescendo, ma non con un ritmo straordinario, e molti americani non si accorgono di star traendo vantaggi da una crescita dell’economia.
E questo è probabilmente il meglio che abbiamo.
Non sto pronosticando una recessione. Potrebbe accadere, e se accade saremmo piuttosto mal messi per rispondere, ma ciò che è più probabile è solo un rallentamento al momento in cui gli effetti della ostentazione del deficit svaniranno. Di fatto, se si crede ai “previsori istantanei” (gli economisti che cercano di dedurre dai dati parziali una lettura anticipata dell’andamento economico) quel rallentamento è già cominciato. Ad esempio, la Federal Reserve di New York ritiene che la crescita dell’economia sia rimasta sotto l’1,5 per cento nel secondo trimestre.
Ed è arduo vedere da dove possa venire un altro sobbalzo dell’economia. Con i democratici alla Camera non ci sarà un altro grande taglio delle tasse. La Fed può tagliare i tassi di interesse, ma quei tagli sono già stati messi nel conto dei tassi di interesse a lungo termine, che è quello che conta per la spesa, e l’economia sembra in ogni caso rallentare.
Il che ci riporta alle elezioni del 2020.
I politologi hanno realizzato molti studi sull’impatto elettorale dell’economia, e da quanto conosco concordano tutti che ciò che conta è la tendenza, non il livello. Il tasso di disoccupazione era ancora sopra il 7 per cento quando Ronald Reagan ebbe la sua vittoria schiacciante nel 1984; era al 7,7 per cento quando Obama vinse nel 2012. In entrambi i casi, tuttavia, le cose stavano chiaramente andando meglio.
Questa probabilmente non è destinata ad essere la storia del prossimo anno. Se non avremo una recessione, la disoccupazione sarà ancora bassa. Ma la crescita economica sarà probabilmente nel migliore dei casi mediocre – il che significa, se l’esperienza del passato ci dà un indirizzo, che l’economia non darà a Trump molta spinta, sarà più o meno un fattore neutrale.
D’altra parte, resterà la sgradevolezza di Trump.
Naturalmente, i repubblicani presenteranno il candidato democratico – chiunque possa essere, uomo o donna – come un socialista radicale pronto a spalancare il confine a orde di stupratori dalla pelle scura. E si deve ammettere che questa strategia potrebbe funzionare, sebbene l’anno scorso fallì nelle elezioni di medio termine. Onestamente, se la candidata fosse una donna i sarei più preoccupato del sessismo – non solo del sessismo degli elettori, ma di quello dei media dell’informazione, che ancora trattano le donne con criteri diversi.
Ma finché l’economia va, è probabile che il sobbalzo alimentato dal deficit di Trump sia arrivato troppo presto per provocargli un grande beneficio politico.
[1] Due anni fa – in occasione degli incontri presso i municipi con gli eletti repubblicani, in particolare sul tema della sanità – gli attivisti anti Trump utilizzarono questo sistema per protestare contro di loro. Si trattava di una prassi sperimentata sin dagli anni ’90, ma usata per segnalare la drammatica scomparsa di bambini, sotto la scritta “Missing”. La stessa scritta “scomparso”, con l’immagine del congressista repubblicano, venne allora usata per criticare l’inettitudine dei rappresentanti dei conservatori. Le foto sotto mostrano i due casi.
By mm
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