Aug 12, 2019
BERKELEY – Global superpowers have always found it painful to acknowledge their relative decline and deal with fast-rising challengers. Today, the United States finds itself in this situation with regard to China. A century and a half ago, imperial Britain faced a similar competitive threat from America. And in the seventeenth century, the Dutch Republic was the superpower and England the challenger.
History suggests that the global superpower should aim for a soft landing, including by engaging with its likely successor, so that it still has a comfortable place in the world once its dominance fades. Sadly, US President Donald Trump is no historian. And his incoherent, confrontational approach to China could seriously damage America’s long-term interests.
Like Britain and the Dutch Republic before it, America is the world’s dominant military power, and its reach is global. It has some of the world’s most productive industries, and dominates global trade and finance.
But, also like its predecessors, America now faces a rising power – a confident, ambitious country that has a larger population, is hungry for wealth and global preeminence, and believes it has a manifest destiny to supplant the current hegemon. And, unless something goes badly wrong, the challenger’s continued rise is all but assured.
Inevitably, conflicts will arise. The up-and-coming superpower wants more access to markets and to intellectual property than the incumbent wishes to provide. And what the incumbent does not willingly give, its challenger will seek to take. Moreover, the rising superpower wants a degree of influence in international bodies commensurate to what its fundamental power will be a generation from now, and not to what it is today.
These are all legitimate disagreements, and the two powers need to manage them by advancing and defending their respective interests. But these tensions do not outweigh the two countries’ common interest in peace and prosperity.
What, then, should the incumbent hegemon do?
In the Anglo-Dutch case, a series of trade skirmishes and naval wars in the 1600s led to a remarkably large number of derogatory expressions entering the English language, such as Dutch book, Dutch concert, Dutch courage, Dutch leave, Dutch metal, Dutch nightingale, and Dutch reckoning. In the long run, though, Britain’s fundamental strengths proved decisive, and the country became a global power. Yet the Dutch created a world in which they were largely comfortable long after their predominance ended.
The Dutch shift from opposing Britain to engaging with it was a crucial factor in this transition. On October 24, 1688, a change in wind direction allowed the Dutch fleet to leave harbor in support of the aristocratic Whig faction in England, thereby ending the would-be absolutist Stuart dynasty. Thereafter, the two powers’ joint interests in limited government, mercantile prosperity, and anti-Catholicism formed the basis of a durable alliance in which the Dutch were the junior partner. Or, as a viral slogan of the 1700s more bluntly put it, there would be “no popery or wooden shoes!” – the latter being a contemporary symbol of French poverty. And with British backing, the Dutch remained independent, rather than falling involuntarily under French control.
More than a century later, imperial Britain eventually adopted a similar strategy of engagement and cooperation with America. This culminated, as Harold Macmillan unwisely (because too publicly) put it when he was seconded to General Eisenhower’s staff in North Africa during World War II, in Britain playing Greece to America’s Rome. As a result, the US became Britain’s staunchest geopolitical ally of the twentieth century.
Today, US policymakers could learn much by studying the actions of the Dutch Republic and Britain when they were global hyperpowers pursuing soft landings. In addition, they should read “The Sources of Soviet Conduct,” the 1947 article by US diplomat George F. Kennan that advocated a US policy of containment toward the Soviet Union.
Three of Kennan’s points stand out. First, he wrote, US policymakers should not panic, but recognize what the long game is and play it. Second, America should not try to contain the Soviet Union unilaterally, but rather assemble broad alliances to confront, resist, and sanction it. Third, America should become its best self, because as long as the struggle between the US and Soviet systems remained peaceful, liberty and prosperity would ultimately be decisive.
But since taking office in January 2017, Trump has steadfastly ignored such advice. Instead of forming alliances to contain China, Trump withdrew the US from the proposed Trans-Pacific Partnership trade deal. And he continues to make random, incoherent demands – such as immediately eliminating the bilateral US-China trade deficit.
Rather than carefully playing the long game with regard to China, Trump seems to be panicking. And, increasingly, China and the world know it.
Il panico della superpotenza americana,
di J. Bradford DeLong
BERKELEY – Le superpotenze globali hanno sempre trovato doloroso riconoscere il loro relativo declino e misurarsi con sfidanti in rapida crescita. Oggi gli Stati Uniti si ritrovano in questa situazione in relazione alla Cina. Un secolo e mezzo fa, l’Inghilterra imperiale affrontò una simile minaccia competitiva da parte dell’America. E nel diciassettesimo secolo, la Repubblica Olandese era nei panni della superpotenza e l’Inghilterra della sfidante.
La storia suggerisce che la superpotenza globale dovrebbe mirare ad un atterraggio morbido, compreso l’impegnarsi con il suo probabile successore, in modo tale che essa continui ad avere una collocazione rassicurante nel mondo, una volta che il suo dominio svanisce. Sfortunatamente, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump non è uno storico. E il suo approccio incoerente e aggressivo alla Cina potrebbe seriamente danneggiare gli interessi nel lungo periodo dell’America.
Come l’Inghilterra e la Repubblica Olandese prima di essa, l’America è la potenza militare dominante nel mondo, e la sua estensione è globale. Ha alcune delle industrie più produttive al mondo, e domina il commercio e la finanza globali.
Ma, come pure i suoi predecessori, l’America oggi affronta una potenza in crescita – un paese fiducioso e ambizioso che ha una popolazione più ampia, è affamato di ricchezza e di superiorità globale, e crede che il suo manifesto destino sia soppiantare l’attuale egemone. E, a meno che qualcosa non vada malamente per il verso sbagliato, la crescita continua della sfidante è quasi interamente assicurata.
Inevitabilmente, i conflitti aumenteranno. La superpotenza emergente vuole più accesso ai mercati e alla proprietà intellettuale di quanto sia disposta a riconoscere la potenza che detiene il primato. E quello che la detentrice non è disponibile a dare, la sua sfidante cercherà di prenderlo. Inoltre, la superpotenza in crescita vuole un grado di influenza negli organismi internazionali commisurato a quello che sarà il suo potere di base tra una generazione, e non a quello che è oggi.
Questi sono disaccordi legittimi, e le due potenze hanno bisogno di gestirli spostando in avanti e difendendo i loro rispettivi interessi. Ma queste tensioni non sono più importanti del comune interesse dei due paesi alla pace e alla prosperità.
Cosa dovrebbe fare, dunque, il paese che detiene nel presente l’egemonia?
Nel caso anglo-olandese, una serie di schermaglie commerciali e di guerre navali nel diciassettesimo secolo portarono a un numero considerevolmente ampio di espressioni irridenti che entrarono nel linguaggio inglese, come libro olandese, concerto olandese, coraggio olandese, ferie olandesi, metallo olandese, usignolo olandese, e regolamento dei conti olandese. Tuttavia, nel lungo periodo i punti di forza fondamentali dell’Inghilterra si mostrarono decisivi, e il paese divenne una potenza globale. Tuttavia gli olandesi crearono un mondo nel quale restarono largamente a loro agio molto tempo dopo la fine del loro predominio.
Lo spostamento olandese dall’opposizione all’Inghilterra alla collaborazione con essa fu un fattore cruciale in questa transizione. Il 24 ottobre del 1688, un cambiamento della direzione del vento consentì alla flotta olandese di lasciare il porto a sostegno dell fazione aristocratica whig in Inghilterra, ponendo così fine alla aspirante assolutista dinastia degli Stuart. In seguito, gli interessi congiunti delle due potenze ad un Governo limitato, alla prosperità mercantile ed al contrasto con il cattolicesimo fornirono la base di una alleanza duratura, nella quale gli olandesi furono la componente minore. Ovvero, come si esprimeva più schiettamente uno slogan che divenne virale nel diciottesimo secolo, non ci sarebbero stati “papismo o scarpe di legno” – il secondo essendo un simbolo di quell’epoca della povertà francese. E con il sostegno degli inglesi, gli olandesi rimasero indipendenti, anziché cadere involontariamente sotto il controllo francese.
Più di un secolo dopo, l’Inghilterra imperiale alla fine adottò una strategia simile di impegno e di cooperazione con l’America. Questo, come si espresse poco saggiamente (perché troppo pubblicamente) Harold Macmillan quando venne affiancato allo staff del Generale Eisenhower nel Nord Africa durante la Seconda Guerra Mondiale, culminò nel recitare l’Inghilterra la parte della Grecia verso la Roma americana. Di conseguenza, gli Stati Uniti divennero i più solidi alleati geopolitici del ventesimo secolo.
Oggi, gli uomini politici americani potrebbero imparare molto studiando le azioni della Repubblica Olandese e dell’Inghilterra nel perseguire atterraggi morbidi quando erano superpotenze globali. Dovrebbero inoltre leggere l’articolo del 1947 di George F. Kennan “Alle origini dell condotta sovietica”, che si pronunciava per una politica statunitense di contenimento verso l’Unione Sovietica.
Tre argomenti di Kennan erano in risalto. In primo luogo, come egli scrisse, i politici statunitensi non dovevano lasciarsi prendere dal panico, ma riconoscere cosa fosse quella partita di lungo periodo e giocarla. Il secondo luogo, l’America non doveva cercare di contenere in modo unilaterale l’Unione Sovietica, bensì mettere assieme ampie alleanze per affrontarla, resistere e penalizzarla. In terzo luogo, l’America doveva dare il meglio di sé stessa, perché finché la battaglia tra i sistemi statunitense e sovietico restava pacifica, la libertà e la prosperità alla fine sarebbero state decisive.
Ma dal momento in cui è entrato in carica nel 2017, Trump ha costantemente rifiutato quel consiglio. Anziché formare alleanze per contenere la Cina, Trump ha ritirato gli Stati Uniti dal proposto accordo commerciale per la Cooperazione del Trans Pacifico. E continua ad avanzare richieste casuali e improvvide – come eliminare immediatamente il deficit commerciale tra USA e Cina.
Piuttosto che giocare con intelligenza la lunga partita in rapporto alla Cina, Trump sembra farsi prendere dal panico. E, sempre di più, la Cina e il mondo se ne accorgono.
By mm
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