Aug. 5, 2019
By Paul Krugman
I didn’t know that the Dow was going to drop 750 points, so my latest column is El Paso-related. Probably the right choice anyway, because US-China is moving so fast that anything in the print paper would be out of date.
But it does look as if I should try to explain (a) what I think is happening (b) why the markets are going so nuts. By the way, given Mnuchin’s declaration just a few minutes ago that China is a currency manipulator, tomorrow’s market action should be … interesting.
So here’s the thing: neither Trump’s tariff announcement last week nor, especially, the depreciation of China’s currency today should objectively be that big a deal. Trump slapped 10 percent tariffs on $200 billion of Chinese exports, which is a tax hike of 0.1 percent of US GDP and 0.15 percent of Chinese GDP.
In response, China let its currency drop by about 2 percent. For comparison, the British pound has dropped around 9 percent since May, when it became clear that a no-deal Brexit was likely.
So why are these smallish numbers such a big deal? Mostly because we’ve learned things about the protagonists in this trade conflict, things that make a bigger, longer trade war seem a lot more likely than it did even a few days ago.
First, Trump really is a Tariff Man. Some naïve souls may still have been hoping that he would learn something from the failure of his trade policy so far. More sensible people hoped that he might do what he did with NAFTA: reach a new deal basically the same as the old deal, proclaim that it was totally different, and claim a great victory.
But no: it’s pretty clear now that he refuses to give up on his belief that trade wars are good, and easy to win; his plan is to continue the beatings until morale improves. What may have looked like temporary tariffs designed to win concessions now look like permanent features of the world economy, with the level of tariffs and the range of countries facing them likely to expand over time.
Second, China is clearly signaling that it’s not Canada or Mexico: it’s too big and too proud to submit to what it considers bullying. That slide in the renminbi wasn’t a concrete policy measure as much as a way of saying to Trump, “talk to the hand” (no doubt there’s a good Chinese expression along these lines.)
Incidentally — or maybe it’s not so incidental — while there are many valid reasons to criticize Chinese policy, currency manipulation isn’t one of them. China was a major currency manipulator 7 or 8 years ago, but these days if anything it’s supporting its currency above the level it would be at if it were freely floating.
And think for a minute about what would happen to a country with an unmanipulated currency, if one of its major export markets suddenly slapped major tariffs on many of its goods. You’d surely expect to see that country’s currency depreciate, just as Britain’s has with the prospect of lost market access due to Brexit.
In other words, the Trump administration in its wisdom has managed to accuse the Chinese of the one economic crime of which they happen to be innocent. Oh, and what are we going to do to punish them for this crime? Put tariffs on their exports? Um, we’ve already done that.
So how does this all end? I have no idea. More important, neither does anyone else. It looks to me as if both Trump and Xi have now staked their reputations on hanging tough. And the thing is, it’s hard to see what would make either side give in (or even to know what giving in might mean.)
At this rate, we may have to wait for a new president to clean up this mess, if she can.
Il trauma cinese di Trump,
di Paul Krugman
Non sapevo che il Dow stava per scendere di 750 punti, dunque il mio ultimo articolo è sui fatti di El Paso. Probabilmente in ogni caso la scelta giusta, perché la situazione tra Stati Uniti e Cina si sta muovendo così velocemente che ogni cosa sulla carta stampata sarebbe superata.
Ma sembra che debba provare a spiegare: a) quello che penso stia accadendo, b) perché i mercati stiano andando così fuori di testa. Per inciso, considerata la dichiarazione di pochi istanti fa di Mnuchin secondo la quale la Cina sarebbe un manipolatore valutario, quello che succede domani sul mercato dovrebbe essere … interessante.
La questione dunque è questa: né l’annuncio delle tariffe di Trump della scorsa settimana, né, in particolare, la svalutazione della moneta cinese odierna dovrebbero essere obbiettivamente cose sensazionali. Trump ha schiaffato tariffe del 10 per cento su 200 miliardi di esportazioni cinesi, il che corrisponde ad un aumento delle tasse dello 0,1 per cento sul PIL statunitense e dello 0,15 per cento su quello cinese.
In risposta, la Cina lascia scendere la sua valuta di circa il 2 per cento. A confronto, la sterlina inglese è calata dal mese di maggio di circa il 9 per cento, quando divenne chiaro che una Brexit senza alcun accordo era probabile.
Dunque, perché numeri così piccini sono una faccenda talmente seria? Soprattutto perché abbiamo imparato cose sui protagonisti di questo conflitto commerciale, cose che fanno apparire una guerra commerciale più grave e più lunga molto più probabile di quanto non lo fosse anche pochi giorni orsono.
Anzitutto, Trump è davvero l’Uomo delle Tariffe. Alcune anime candide possono ancora sperare che egli impari qualcosa dal fallimento della sua politica commerciale sino a questo punto. Persone più sensate speravano che facesse quello che aveva fatto con il NAFTA: raggiungere un nuovo accordo sostanzialmente simile all’accordo precedente, e vantarlo come una grande vittoria.
Invece no: è abbastanza chiaro che egli rifiuta di rinunciare al suo convincimento che le guerre commerciali sono una buona cosa e sono facili da vincere; il suo piano è continuare a dar colpi finché il morale non migliora. Quelle che potevano essere apparse come tariffe provvisorie rivolte ad ottenere concessioni, appaiono oggi come caratteristiche permanenti dell’economia mondiale, ed è probabile che il livello delle tariffe e la serie dei paesi interessati crescano col tempo.
In secondo luogo, la Cina sta segnalando di non essere come il Canada o il Messico: è troppo grande e troppo fiera per sottomettersi a quella che considera una intimidazione. Quella scivolata del renminbi non è stata tanto una concreta misura politica, quanto un modo di dire a Trump “parli al vento [1]” (senza dubbio c’è una buona espressione cinese con questo significato).
Per inciso – o forse non tanto per inciso – mentre ci sono molte valide ragioni per criticare la politica cinese, la manipolazione valutaria non è una di queste. La Cina era un manipolatore valutario 7 o 8 anni fa, ma di questi tempi sta semmai sostenendo la sua valuta sopra il livello al quale si collocherebbe se fluttuasse liberamente.
E si pensi per un istante a quello che accadrebbe ad un paese con una valuta non manipolata, se uno dei suoi importanti mercati di esportazione d’un tratto imponesse tariffe su molti dei suoi prodotti. Sicuramente vi aspettereste di vedere che la valuta di quel paese verrebbe svalutata, proprio come ha fatto l’Inghilterra con la prospettiva di un accesso perduto al mercato a seguito della Brexit.
In altre parole, l’Amministrazione Trump nella sua saggezza ha cercato di accusare i cinesi dell’unico crimine economico per il quale accade che siano innocenti. E cosa siamo intenzionati a fare per punirli di questo crimine? Mettiamo tariffe sulle loro esportazioni? Mhh, quello l’abbiamo già fatto.
Dunque, come andrà a finire tutto questo? Non ne ho idea. Più importante ancora, nessun altro ce l’ha. A me sembra che sia Trump che Xi abbiano messo in gioco la loro reputazione tenendo duro. E il punto è che è difficile vedere cosa potrebbe costringere l’altra parte ad arrendersi (o anche sapere cosa potrebbe significare una resa).
Di questo passo, possiamo dover aspettare che un(a) nuov(a) Presidente sistemi questo casino, se le riesce.
[1] Letteralmente sarebbe “Parla alla mano” – intendendo implicitamente “perché io non ti ascolto con la testa”. Vedi il forum su Wordreference del 13 dicembre 2005, che pure non offre soluzioni soddisfacenti in italiano.
By mm
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