Aug. 15, 2019
By Paul Krugman
Last year, after an earlier stock market swoon brought on by headlines about the U.S.-China trade conflict, I laid out three rules for thinking about such events. First, the stock market is not the economy. Second, the stock market is not the economy. Third, the stock market is not the economy.
But maybe I should add a fourth rule: The bond market sorta kinda is the economy.
An old economists’ joke says that the stock market predicted nine of the last five recessions. Well, an “inverted yield curve” — when interest rates on short-term bonds are higher than on long-term bonds — predicted six of the last six recessions. And a plunge in long-term yields, which are now less than half what they were last fall, has inverted the yield curve once again, with the short-versus-long spread down to roughly where it was in early 2007, on the eve of a disastrous financial crisis and the worst recession since the 1930s.
Neither I nor anyone else is predicting a replay of the 2008 crisis. It’s not even clear whether we’re heading for recession. But the bond market is telling us that the smart money has become very gloomy about the economy’s prospects. Why? The Federal Reserve basically controls short-term rates, but not long-term rates; low long-term yields mean that investors expect a weak economy, which will force the Fed into repeated rate cuts.
So what accounts for this wave of gloom? Much though not all of it is a vote of no confidence in Donald Trump’s economic policies.
You may recall that last year, after a couple of quarters of good economic news, Trump officials were boasting that the 2017 tax cut had laid the foundation for many years of high economic growth.
Since then, however, the data have pretty much confirmed what critics had been saying all along. Yes, the tax cut gave the economy a boost — a “sugar high.” Running trillion-dollar deficits will do that. But the boost was temporary. In particular, the promised boom in business investment never materialized. And now the economy has reverted, at best, to its pre-stimulus growth rate.
At the same time, it has become increasingly clear that Trump’s belligerence about foreign trade isn’t a pose; it reflects real conviction. Protectionism seems to be up there with racism as part of the essential Trump. And the realization that he really is a Tariff Man is having a serious dampening effect on business spending, partly because nobody knows just how far he’ll go.
To see how this works, think of the dilemma facing many U.S. manufacturers. Some of them rely heavily on imported parts; they’re not going to invest in the face of actual or threatened tariffs on those imports. Others could potentially compete with imported goods if assured that those imports would face heavy tariffs; but they don’t know whether those tariffs are actually coming, or will endure. So everyone is sitting on piles of cash, waiting to see what an erratic president will do.
Of course, Trump isn’t the only problem here. Other countries have their own troubles — a European recession and a Chinese slowdown look quite likely — and some of these troubles are spilling back to the United States.
But even if Trump and company aren’t the source of all of our economic difficulties, you still want some assurance that they’ll deal effectively with problems as they arise. So what kind of contingency planning is the administration engaged in? What are officials considering doing if the economy does weaken substantially?
The answer, reportedly, is that there is no policy discussion at all, which isn’t surprising when you bear in mind the fact that basically everyone who knows anything about economics left the Trump administration months or years ago. The advisers who remain are busy with high-priority tasks like accusing The Wall Street Journal editorial page of being pro-Chinese.
No, the administration’s only plan if things go wrong seems to be to blame the Fed, whose chairman was selected by … Donald Trump. To be fair, it’s now clear that the Fed was wrong to raise short-term rates last year.
But it’s important to realize that the Fed’s mistake was, essentially, that it placed too much faith in Trumpist economic policies. If the tax cut had actually produced the promised boom, if the trade war hadn’t put a drag on growth, we wouldn’t have an inverted yield curve; remember, the Fed didn’t cause the plunge in long-term rates, which is what inverted the curve. And the Trump boom wasn’t supposed to be so fragile that a small rise in rates would ruin it.
I might add that blaming the Fed looks to me like a dubious political strategy. How many voters even know what the Fed is or what it does?
Now, a word of caution: Bond markets are telling us that the smart money is gloomy about economic prospects, but the smart money can be wrong. In fact, it has been wrong in the recent past. Investors were clearly far too optimistic last fall, but they may be too pessimistic now.
But pessimistic they are. The bond market, which is the best indicator we have, is declaring that Trumponomics was a flop.
Trump: dal boom allo sconforto,
di Paul Krugman
L’anno scorso, dopo che il mercato azionario era andato inizialmente in estasi sospinto dai titoli sul conflitto commerciale tra gli Stati Uniti e la Cina, esposi tre regole per ragionare di eventi del genere. La prima, il mercato azionario non è l’economia. La seconda, il mercato azionario non è l’economia. La terza, il mercato azionario non è l’economia.
Ma forse dovrei aggiungere una quarta regola: il mercato obbligazionario a suo modo è l’economia.
Una battuta di un vecchio economista dice che il mercato azionario aveva previsto nove delle ultime cinque recessioni. Ebbene, una “curva inversa dei rendimenti” – quando i tassi di interesse a breve termine sui bond sono più alti di quelli sui bond a lungo termine – l’avevano prevista sei volte nelle ultime sei recessioni. E una caduta nei rendimenti a lungo termine, che sono oggi meno della metà di quello che erano lo scorso autunno, ha invertito ancora una volta la curva dei rendimenti, con lo spread tra quelli a breve e quelli a lungo termine che è sceso grosso modo dove era nel 2007, all’epoca di una disastrosa crisi finanziaria e della peggiore recessione dagli anni ’30.
Né io né nessun altro sta prevedendo una ripetizione della crisi del 2008. Non è neanche chiaro se ci stiamo indirizzando verso una recessione. Ma il mercato dei bond ci sta dicendo che la finanza intelligente è diventata molto pessimista sulle prospettive dell’economia. Perché? Fondamentalmente la Federal Reserve controlla i tassi a breve termine, ma non quelli a lungo termine; bassi rendimenti nel lungo termine significano che gli investitori si aspettano un’economia debole, che costringerà la Fed a ripetuti tagli dei tassi.
Dunque, quanto pesa questa ondata di pessimismo? In gran parte, anche se non in tutto, essa è un voto di sfiducia sulle politiche economiche di Donald Trump.
Vi ricorderete che l’anno scorso, dopo un paio di trimestri di notizie economiche positive, i dirigenti di Trump si vantavano che il taglio delle tasse del 2017 aveva messo le basi per molti anni di elevata crescita economica.
Da allora, tuttavia, i dati hanno sostanzialmente confermato quello che i critici stavano dicendo da tempo. È vero, il taglio delle tasse aveva dato una spinta all’economia – come per effetto di un’euforia. Gestire un migliaio di miliardi di deficit avrebbe avuto quella conseguenza. Ma l’incoraggiamento è stato temporaneo. In particolare, la promessa espansione negli investimenti delle imprese non si è mai materializzata. E adesso l’economia è tornata, nell’ipotesi migliore, al suo tasso di crescita precedente allo stimolo.
Nello stesso tempo è diventato sempre più chiaro che l’aggressività di Trump sul commercio estero non è un atteggiamento; essa riflette un convincimento reale. Il protezionismo sembra sia salito a quel punto assieme al razzismo come componenti del vero Trump. E la comprensione che egli sia davvero un Uomo delle Tariffe sta avendo un serio effetto di smorzamento sulla spesa delle imprese, in parte perché nessuno sa precisamente quanto egli si spingerà lontano.
Per comprendere come questo funzioni, si pensi al dilemma che fronteggiano molti settori manifatturieri statunitensi. Alcuni di loro si basano pesantemente su componenti importati; essi non hanno intenzione di investire a fronte di tariffe effettive o minacciate su quelle importazioni. Altri potrebbero potenzialmente competere con i prodotti importati se fossero certi che quelle importazioni si misureranno con tariffe pesanti; ma non sanno se quelle tariffe siano effettivamente in arrivo, o se dureranno. Dunque se ne stanno tutti seduti su mucchi di contante, aspettando di vedere cosa farà un Presidente stravagante.
Naturalmente, Trump non è l’unico problema. Altri paesi hanno i loro guai – una recessione europea ed un rallentamento cinese sembrano abbastanza probabili – e alcuni di questi guai si stanno riversando sugli Stati Uniti.
Ma anche se Trump e compagni non sono la fonte di tutte le nostre difficoltà economiche, si vorrebbe qualche assicurazione che essi si misureranno con efficacia con i problemi, al momento in cui si manifesteranno. Dunque, per l’evenienza, in quale tipo di piano l’Amministrazione è impegnata? Che cosa i dirigenti stanno pensando di fare se davvero l’economia si indebolisce sostanzialmente?
La risposta, da quanto si apprende, è che manca del tutto un dibattito su cosa fare, il che non è sorprendente se si considera il fatto che fondamentalmente tutti coloro che capiscono un po’ di economia hanno lasciato l’Amministrazione Trump da mesi, se non da anni. I consiglieri che sono rimasti sono occupati con obbiettivi di massima priorità come accusare la pagina editoriale di The Wall Street Journal di essere a favore dei cinesi.
No, l’unico piano dell’Amministrazione se le cose vanno male sembra sia dare la colpa alla Fed, il cui Presidente è stato scelto … da Donald Trump. Ad essere onesti, adesso è chiaro che la Fed sbagliò ad alzare i tassi di interesse l’anno passato.
Ma è importante capire che l’errore della Fed fu essenzialmente riporre troppa fiducia nelle politiche economiche trumpiste. Se il taglio delle tasse avesse effettivamente prodotto l’espansione promessa, se la guerra commerciale non avesse costituito un peso sulla crescita, non avremmo una curva dei rendimenti rovesciata; si ricordi, la Fed non ha provocato la caduta dei tassi di interesse a lungo termine, che è quello che ha rovesciato la curva. E non si immaginava che il boom di Trump fosse così fragile da poter essere travolto da una piccola crescita dei tassi.
Potrei aggiungere che dare la colpa alla Fed mi pare una strategia politica dubbia. Quanti elettori persino conoscono quello che è la Fed e cosa fa?
A questo punto, una parola di cautela: i mercati dei bond ci dicono che la finanza intelligente è pessimista sulle prospettive economiche, ma la finanza intelligente può sbagliare. Di fatto, essa si è sbagliata nel recente passato. Gli investitori furono chiaramente anche troppo ottimisti lo scorso autunno e potrebbero essere troppo pessimisti oggi.
Resta il fatto che sono pessimisti. Il mercato dei bond, che è il miglior indicatore che abbiamo, sta affermando che la politica economica di Trump è stata un flop.
By mm
E' possibile commentare l'articolo nell'area "Commenti del Mese"