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Trump e l’arte dell’agitarsi, di Paul Krugman (New York Times, 26 agosto 2019)

 

Aug. 26, 2019

Trump and the Art of the Flail

By Paul Krugman

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The “very stable genius” in the Oval Office is, in fact, extremely unstable, in word and deed. That’s not a psychological diagnosis, although you can make that case It’s just a straightforward description of his behavior. And his instability is starting to have serious economic consequences.

To see what I mean about Trump’s behavior, just consider his moves on China trade over the past month, which have been so erratic that even those of us who follow this stuff professionally have been having a hard time keeping track.

First, Trump unexpectedly announced plans to greatly expand the range of Chinese goods subject to tariffs. Then he had his officials declare China a currency manipulator — which happens to be one of the few economic sins of which the Chinese are innocent. Then, perhaps fearing the political fallout from the higher prices of many consumer goods from China during the holiday season, which would result from the tariff hikes, he postponed — but didn’t cancel — them.

Wait, there’s more. China, predictably, responded to the new United States tariffs with new tariffs on U.S. imports. Trump, apparently enraged, declared that he would raise his tariffs even higher, and declared that he was ordering U.S. companies to wind down their business in China (which is not something he has the legal authority to do). But at the Group of 7 summit in Biarritz he suggested that he was having “second thoughts,” only to have the White House declare that he actually wished he had raised tariffs even more.

And we’re not quite done. On Monday Trump said that the Chinese had called to indicate a desire to resume trade talks. But there was no confirmation from the Chinese, and Trump has been a notably unreliable narrator of what’s going on in international meetings. For example, he made the highly improbable claim that “World Leaders” (his capitalization) were asking him, “Why does the American media hate your Country so much?”

To repeat, all of this has happened just this month. Now imagine yourself as a business leader trying to make decisions amid this Trumpian chaos.

The truth is that protectionism gets something of an excessively bad rap. Tariffs are taxes on consumers, and they tend to make the economy poorer and less efficient. But even high tariffs don’t necessarily hurt employment, as long they’re stable and predictable: the jobs lost in industries that either rely on imported inputs or depend on access to foreign markets can be offset by job gains in industries that compete with imports.

History is, in fact, full of examples of economies that combined high tariffs with more or less full employment: America in the 1920s, Britain in the 1950s and more.

But unstable, unpredictable trade policy is very different. If your business depends on a smoothly functioning global economy, Trump’s tantrums suggest that you should postpone your investment plans; after all, you may be about to lose access to your export markets, your supply chain or both. It’s also, though, not a good time to invest in import-competing businesses; for all you know, Trump will eventually back down on his threats. So everything gets put on hold — and the economy suffers.

One question you might ask is why Trumpian trade uncertainty is looming so much larger now than it did during the administration’s first two years. Part of the answer, I think, is that until fairly recently most analysts expected the U.S.-China trade conflict to be resolved with minimal disruption. You may recall that after denouncing Nafta as the worst trade deal ever made, Trump essentially surrendered and declared victory, settling for a new deal almost indistinguishable from the old one. Most economic newsletters I get predicted a similar outcome for the U.S. and China.

At the same time, the U.S. economy is slowing as the brief sugar high from the 2017 tax cut wears off. Another leader might engage in some self-reflection. Trump being Trump, he’s blaming others and lashing out. He has declared both Jerome Powell, chairman of the Federal Reserve Board, and Xi Jinping, China’s leader, enemies. As it turns out, however, there’s nothing much he can do to bully the Fed, but the quirks of U.S. trade law do allow him to slap new tariffs on China.

Of course, Trump’s trade belligerence is itself contributing to the economic slowdown. So there’s an obvious possibility for a vicious circle. The economy weakens; a flailing Trump lashes out at China, and possibly others (Europe may be next); this further weakens the economy; and so on.

At that point you might expect an intervention from the grown-ups in the room — but there aren’t any. In any other administration Treasury Secretary Steven Mnuchin, a.k.a. the Lego Batman guy, would be considered a ridiculous figure; these days, however, he’s as close as we get to a voice of economic rationality. But whenever he tries to talk sense, as he apparently did over the issue of Chinese currency manipulation, he gets overruled.

Protectionism is bad; erratic protectionism, imposed by an unstable leader with an insecure ego, is worse. But that’s what we’ll have as long as Trump remains in office.

 

Trump e l’arte dell’agitarsi,

di Paul Krugman

 

Il “genio molto stabile” nell’Ufficio Ovale è, in sostanza, molto instabile, nelle parole e nelle azioni. Questa non è una diagnosi psicologica, per quanto la potete interpretare anche in quel modo. È solo una semplice descrizione del suo comportamento. E la sua instabilità sta cominciando ad avere serie conseguenze economiche.

Per capire cosa intendo a proposito del comportamento di Trump, si considerino soltanto le sue mosse sul commercio con la Cina nel corso dell’ultimo mese, che sono state così stravaganti che persino quelli tra noi che si occupano di questa cose professionalmente hanno difficoltà a tenerle a mente.

Prima, Trump annuncia inaspettatamente progetti per espandere di molto la gamma dei prodotti cinesi soggetti a tariffe. Poi ha fatto dichiarare ai suoi dirigenti che la Cina è un manipolatore valutario – che si dà il caso sia uno dei pochi peccati economici dei quali i cinesi non siano responsabili. Ancora, forse per timore del contraccolpo dei prezzi più alti per molti consumatori di beni provenienti dalla Cina durante la stagione delle vacanze che deriverebbero dai rialzi delle tariffe, li ha rinviati – ma non cancellati.

Aspettate, c’è dell’altro. La Cina, come era prevedibile, ha risposto alle nuove tariffe degli Stati Uniti con nuove tariffe sulle importazioni statunitensi. Trump, in apparenza infuriato, ha dichiarato che avrebbe spinto persino più in alto le sue tariffe, e che stava ordinando alle società statunitensi di ridurre gradualmente i loro affari in Cina (qualcosa che egli non ha il potere legale di fare). Ma al summit del Gruppo del G7 a Biarritz, ha indicato che ci stava “ripensando”, solo per far dichiarare alla Casa Bianca che egli in realtà desiderava aver spinto le tariffe persino più in alto.

E non è ancora finita. Lunedì Trump ha detto che i cinesi l’avevano chiamato per esprimere un desiderio di riprendere i colloqui sul commercio. Ma non c’è stata alcuna conferma da parte cinese, e Trump ha la caratteristica di essere un narratore considerevolmente inaffidabile di quello che accade negli incontri internazionali. Ad esempio, ha avanzato questa altamente improbabile pretesa, secondo la quale i “Leader del Mondo” (le maiuscole sono sue) gli venivano chiedendo “Perché i media americani odiano tanto il vostro paese?”

È il caso di ripeterlo, tutto questo è successo soltanto questo mese. Ora, immaginate come un dirigente di impresa possa cercare di prendere decisioni in mezzo a questo caos trumpiano.

La verità è che il protezionismo ha una specie di reputazione eccessivamente ingiusta. Le tariffe sono tasse sui consumatori, che tendono e rendere l’economia più povera e meno efficiente. Ma persino tariffe elevate non necessariamente danneggiano l’occupazione, finché restano stabili e prevedibili: i posti di lavoro perduti in industrie che si basano su input importati o che dipendono dall’accesso ai mercati esteri possono essere bilanciati da incrementi di posti di lavoro in industrie che competono con le importazioni.

Di fatto, la storia è piena di esempi di economie che hanno combinato alte tariffe con una occupazione più o meno piena: l’America degli anni ’20, l’Inghilterra degli anni ’50, ed altri casi ancora.

Ma una politica commerciale instabile e imprevedibile è una cosa del tutto diversa. Se la vostra impresa dipende dal funzionamento regolare dell’economia, i capricci di Trump indicano che dovreste rinviare i vostri progetti di investimento; dopo tutto, potreste essere vicini a perdere l’accesso ai vostri mercati delle esportazioni, alle vostre catene dell’offerta o a entrambi. Non è neanche, però, il tempo buono per investire in imprese che competono con le importazioni; perché, come tutti sanno, alla fine Trump recederà dalle sue minacce. Dunque, ogni cosa resta in sospeso – e l’economia soffre.

Una domanda che si potrebbe avanzare è perché l’incertezza commerciale di Trump stia adesso incombendo così più ampiamente di quanto non faceva nei primi due anni della sua Amministrazione. Penso che in parte la risposta sia che sino ad un periodo abbastanza recente la maggioranza degli analisti si aspettava che il conflitto commerciale tra USA e Cina si risolvesse con un minimo turbamento. Ricorderete che dopo aver denunciato il NAFTA come il peggiore accordo commerciale mai fatto, Trump sostanzialmente si arrese e vantò vittoria, siglando un nuovo accordo quasi indistinguibile dal vecchio. La maggior parte dei notiziari economici che ricevo prevedevano un risultato simile per il conflitto tra Stati Uniti e Cina.

Nello stesso tempo, l’economia statunitense sta rallentando nel momento in cui la breve euforia derivante dal taglio delle tasse del 2017 svanisce. Un altro leader potrebbe impegnarsi in qualche riflessione su sé stesso. Poiché Trump è Trump, sta dando la colpa ed attaccando gli altri. Ha definito nemici sia Jerome Powell, Presidente del Comitato della Federal Reserve, che Xi Jinping, il leader cinese. Da quello che si sa, tuttavia, non c’è granché che egli possa fare per intimidire la Fed, ma le stranezze della legge statunitense sul commercio gli permettono di affibbiare nuove tariffe sulla Cina.

Ovviamente, la aggressività commerciale di Trump sta per suo conto contribuendo al rallentamento dell’economia. C’è dunque la evidente possibilità di un circolo vizioso. L’economia si indebolisce; un Trump in agitazione si scaglia contro la Cina, e forse anche contro altri (l’Europa potrebbe essere la prossima); questo indebolisce ulteriormente l’economia; e così via.

A quel punto potreste aspettarvi un intervento da parte degli adulti della situazione – ma non ce ne sono. In un’altra Amministrazione il Segretario al Tesoro Steven Mnuchin, anche detto il personaggio del film Lego Batman  [1], sarebbe considerato un figura improbabile; di questi tempi, tuttavia, è quanto di più vicino abbiamo ad un ruolo di razionalità economica. Ma per quanto si sforzi di parlare sensatamente, quando ha apparentemente riformulato il tema della manipolazione valutaria cinese, la sua posizione è stata rigettata [2].

Il protezionismo è negativo; un protezionismo stravagante, imposto da un leader instabile con un ego insicuro, è peggio. Ma questo è quello che abbiamo finché Trump resta in carica.

 

 

 

 

 

 

 

[1] Pare, anzi è certo, che Mnuchin sia stato il produttore del film in questione.

[2] Pare che Mnuchin avesse opposto una certa resistenza a dichiarare la Cina responsabile di “manipolazione valutaria” – dichiarazione che, oltre ad essere infondata almeno oggi, nelle regole finanziarie internazionali ha un peso rilevante – ma Trump praticamente gli ha imposto di farlo.

 

 

 

 

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