Sept. 5, 2019
By Paul Krugman
With each passing week it becomes ever clearer that Donald Trump’s trade war, far from being “good, and easy to win,” is damaging large parts of the U.S. economy. Farmers are facing financial disaster; manufacturing, which Trump’s policies were supposed to revive, is contracting; consumer confidence is plunging, largely because the public (rightly) fears that tariffs will raise prices.
But Trump has an answer to his critics: It’s not me, it’s you. Last week he declared that businesses claiming to have been hurt by his tariffs should blame themselves, because they’re “badly run and weak.”
As with many Trump statements, one immediate thought that comes to mind is, how would Republicans have reacted if a Democratic president said something like that? In this case, however, we don’t have to speculate.
As some readers may recall, back in 2012 Barack Obama made the obvious and true point that businesses depend on public investments in things like roads and education as well as on their own efforts. Referring to those public investments, he said, “You didn’t build that.” The usual suspects pounced, taking the line out of context and claiming that he was disrespecting entrepreneurs; Mitt Romney made this claim a centerpiece of his presidential campaign.
Attacks on Obama as being anti-business were, of course, made in bad faith. Trump, however, really is denouncing businesses and blaming them for the problems his policies have created. And tariffs aren’t the only policy area where Trump and American business are now at odds.
Some of Trump’s most consequential actions involve his frantic efforts to dismantle environmental regulation. Unlike tariffs, this may at first sound like something business would want.
It turns out, however, that many businesses want to keep those regulations in place. Major oil and gas producers oppose Trump’s relaxation of rules on emissions of methane, a potent greenhouse gas. Major auto producers have come out against Trump’s attempt to roll back fuel efficiency standards. In fact, in a move that has reportedly enraged Trump, several companies have reached an agreement with the state of California to stick with Obama-era rules despite the change in federal policy.
When Trump won his upset victory in 2016, many investors assumed that his rule would be good for business. And he did indeed give corporations a huge tax cut — which has almost entirely been used for higher dividends and stock buybacks, with workers getting essentially nothing.
Aside from the tax cut, however, it’s becoming increasingly clear that Trumpism is bad for business. Or more precisely, it’s bad for productive business.
Imagine yourself as the head of a business that plans and expects to be around for a long time. Sure, you’d like to pay less in taxes and not have to comply with costly regulations. But you also want to invest in your company’s future. And to do that, you need some assurance that the rules of the game will be stable, so that whatever investments you make now aren’t suddenly made worthless by future shifts in policy.
The big complaint business has about Trump’s trade war isn’t just that tariffs raise costs and prices, while foreign retaliation is cutting off access to important markets. It is that businesses can’t make plans when policy zigzags in response to the president’s whims. They don’t want to invest in anything that relies on a global supply chain, because that supply chain might unravel with Trump’s next tweet. But they can’t invest on the assumption that Trump’s tariffs will be permanent, either; you never know when or whether he’ll declare victory and surrender.
Environmental policy, it turns out, is similar. Business leaders aren’t do-gooders, but they are realists. Most of them understand that climate change is happening, that it’s dangerous, and that we’ll eventually have to transition to a low-emissions economy. They want to spend now to secure their place in that future economy; they know that investments that worsen climate change are bound to be long-run losers. But they’ll hold off on investing in our energy future as long as conspiracy theorists who consider global warming a gigantic hoax — and/or vindictive politicians determined to erase Obama’s achievements — keep rewriting the rules.
To be fair, however, some kinds of business do thrive under Trumpism — namely, businesses that aren’t in it for the long run, operations whose strategy is to take the money and run. These are good times for mining companies that rush in to extract whatever they can, leaving a poisoned landscape behind; for real estate speculators sponsoring dubious ventures that take advantage of newly created tax loopholes; for for-profit colleges that leave their students with worthless degrees and crippling debt.
In other words, under Trump it’s springtime for grifters.
But to say the obvious, these smash-and-grab operations aren’t the kinds of business we want to thrive. Put it this way: Remaking the U.S. economy in the image of Trump University isn’t exactly making America great again.
Il trumpismo è negativo per l’impresa,
di Paul Krugman
Ad ogni settimana che passa, diventa sempre più chiaro che la guerra commerciale di Donald Trump, anziché essere “positiva e facile da vincere”, sta danneggiando ampi settori dell’economia statunitense. Gli agricoltori sono alle prese con un disastro finanziario; il settore manifatturiero, che si pensava venisse rivitalizzato dalle politiche di Trump, è in contrazione; la fiducia dei consumatori sta crollando, in gran parte a causa dei (fondati) timori dell’opinione pubblica che le tariffe aumenteranno i prezzi.
Ma Trump ha una risposta per i suoi critici: non dipende da me, dipende da voi. La scorsa settimana ha dichiarato che le imprese che sostengono di essere state danneggiate dalle sue tariffe dovrebbero dar la colpa a sé stesse, giacché sono “mal gestite e deboli”.
Come nel caso di molte dichiarazioni di Trump, un pensiero immediato che viene alla mente è: come avrebbero reagito i repubblicani se un Presidente democratico avesse detto qualcosa del genere? In questo caso, peraltro, non dobbiamo fare congetture.
Come alcuni lettori ricorderanno, nel passato 2012 Barack Obama avanzò l’argomento, ovvio e ben fondato, che le imprese, in settori come la viabilità e l’istruzione, dipendono dagli investimenti pubblici come dai loro propri sforzi. Riferendosi a quegli investimenti pubblici, egli disse: “Non siete stati voi a realizzarli”. I soliti noti si avventarono su di lui, interpretando la frase fuori dal contesto e sostenendo che aveva mancato di rispetto verso gli imprenditori; Mitt Romney fece di questa pretesa un pezzo centrale della sua campagna elettorale.
Gli attacchi ad Obama di essere ostile alle imprese, ovviamente, erano fatti in malafede. Trump, tuttavia, sta realmente denunciando le imprese e dando a loro la responsabilità per i problemi creati dalle sue politiche. E le tariffe non sono l’unico settore di governo nel quale Trump e le imprese americane sono oggi su posizioni opposte.
Alcune delle più importanti iniziative di Trump riguardano i suoi sforzi frenetici di smantellare la regolamentazione ambientale. Diversamente dalle tariffe, questo a prima vista sembrerebbe qualcosa che le imprese dovrebbero gradire.
Si scopre, tuttavia, che molte imprese vogliono mantenere in funzione questi regolamenti. Importanti produttori di petrolio e di gas si oppongono all’allentamento da parte di Trump delle regole sulle emissioni di metano, un potente gas serra. Importanti produttori di automobili si sono dichiarati contrari al tentativo di Trump di tornare indietro sugli standard di efficienza della combustione. Di fatto, con una iniziativa che si apprende ha fatto infuriare Trump, varie imprese hanno raggiunto un accordo con lo Stato della California per attenersi alle regole dell’epoca di Obama nonostante il cambiamento della politica federale.
Quando Trump si aggiudicò la sua inaspettata vittoria nel 2016, molti investitori giudicarono che il suo governo sarebbe stato positivo per le imprese. Ed egli in effetti consegnò alle grandi società un grande taglio delle tasse – che è stato quasi per intero utilizzato per maggiori dividendi e riacquisti delle proprie azioni, mentre i lavoratori non ottenevano sostanzialmente niente.
Tuttavia, a parte il taglio delle tasse, sta diventando sempre più chiaro che il trumpismo è negativo per le imprese. O, più precisamente, è negativo per le imprese produttive.
Immaginatevi di essere a capo di una impresa che progetta e si aspetta di restare sulla breccia per lungo tempo. Certamente, vi piacerebbe pagare meno tasse e non dover rispettare regolamenti costosi. Ma volete anche investire sul futuro della vostra società. E per farlo, avete bisogno di qualche assicurazione che le regole del gioco resteranno stabili, in modo tale che qualsiasi investimento facciate adesso non sia improvvisamene reso privo di valore dai cambiamenti futuri della politica.
La grande lamentela che le imprese hanno sulla guerra commerciale di Trump non è solo che le tariffe aumentano i costi ed i prezzi, mentre le ritorsioni straniere escludono l’accesso a importanti mercati. È che le imprese non possono fare piani quando la politica procede a zigzag in risposta ai capricci di Trump. Esse non vogliono investire su qualcosa che si basi sulle catene globali dell’offerta, perché quelle catene possono disfarsi con un prossimo tweet di Trump. Ma non possono neanche investire sull’assunto che le tariffe saranno permanenti; non si sa mai se a un certo punto egli si arrenderà, sia pure dichiarando vittoria.
Si scopre che per la politica ambientale è simile. I dirigenti delle imprese non sono benefattori, ma sono realisti. La maggioranza di loro comprende che il cambiamento climatico è un fatto reale, che è pericoloso, e che alla fine avremo una transizione ad un’economia a basse emissioni. Vogliono spendere adesso per assicurarsi un posto in quella economia futura; essi sanno che gli investimenti che peggiorano il cambiamento climatico sono destinati nel lungo periodo ad essere perdenti. Ma si asterranno dall’investire sulla nostra energia futura finché i teorici della cospirazione che considerano il riscaldamento globale una gigantesca bufala – e/o i politici vendicativi determinati a cancellare le realizzazioni di Obama – continuano a riscrivere le regole.
Ad esser giusti, tuttavia, alcuni tipi di imprese prosperano con il trumpismo – precisamente, le imprese che non operano nel lungo termine, le operazioni la cui strategia è fare soldi e scappare. Questi sono tempi buoni per le società minerarie che si precipitano a estrarre tutto quello che possono, lasciandosi un paesaggio avvelenato alle spalle; per gli speculatori immobiliari che sponsorizzano imprese dubbie che traggono vantaggio da scappatoie fiscali recentemente istituite; per le università a scopo di lucro che lasciano i loro studenti con lauree prive di valore e con debiti rovinosi.
In altre parole, sotto Trump è primavera per gli imbroglioni.
Per dire il minimo, queste operazioni del genere dei furti con scasso non sono il genere di impresa che vogliamo che prosperi. Diciamo così: ricostruire l’economia americana sul modello dell’Università Trump non è esattamente rifare grande l’America.
By mm
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