Oct. 7, 2019
By Paul Krugman
It’s hard to believe that barely three weeks have passed since Adam Schiff, the chairman of the House Intelligence Committee, issued a mysterious subpoena to the acting director of national intelligence, demanding that he produce a whistle-blower complaint filed by someone in the intelligence community.
Since that subpoena was issued, the impeachment of Donald Trump has gone from implausibility to near certainty; I at least find it hard to see how the House can fail to impeach given what we already know about Trump’s actions. Conviction in the Senate remains a long shot, but not as long as it once seemed.
And the whole tenor of our national conversation has changed. It looks to me as if we’re witnessing the rapid collapse of a powerful faction in U.S. public life, one whose refusal to accept facts at odds with its prejudices has long been a major source of political dysfunction.
But I’m not talking about the right-wing extremists who dominate the Republican Party. Sorry, but they’re not going anywhere. Most of Trump’s base is sticking with him, while the list of prominent Republican politicians willing to call out Trump’s malfeasance in clear language consists so far of Mitt Romney and, well, Mitt Romney.
No, I’m talking about fanatical centrists, who aren’t a large slice of the electorate, but have played an outsize role in elite opinion and media coverage. These are people who may have been willing to concede that Trump was a bad guy, but otherwise maintained, in the teeth of the evidence, that our two major parties were basically equivalent: Each party had its extremists, but each also had its moderates, and everything would be fine if these moderates could work together.
Who am I talking about? Well, among other people, Joe Biden, who has repeatedly insisted that Trump is an aberration, not representative of the Republican Party as a whole. (Biden’s refusal to admit what he was facing may be one reason his response to the Ukraine smear has seemed so wobbly.)
Some of us have been pushing back against that worldview for many years, arguing that today’s Republican Party is a radical force increasingly opposed to democracy. Way back in 2003 I wrote that modern conservatism is “a movement whose leaders do not accept the legitimacy of our current political system.” In 2012 Thomas Mann and Norman Ornstein declared that the central problem of U.S. politics was a G.O.P. that was not just extreme but “dismissive of the legitimacy of its political opposition.”
For a long time, however, making that case — pointing out that Republicans were sounding ever more authoritarian and violating more and more democratic norms — got you dismissed as shrill if not deranged. Even Trump’s rise, and the obvious parallels between Trumpism and the authoritarian movements that have gutted democracy in places like Hungary and Poland, barely dented centrist complacency. Remember, just a few months ago most of the news media treated Attorney General William Barr’s highly misleading summary of the Mueller report as credible.
But my sense, although it’s impossible to quantify, is that the events of the past several weeks have finally broken through the wall of centrist denial.
At this point, things that previously were merely obvious have become undeniable. Yes, Trump has invited foreign powers to intervene in U.S. politics on his behalf; he’s even done it on camera. Yes, he has claimed that his domestic political opponents are committing treason by exercising their constitutional rights of oversight, and he is clearly itching to use the justice system to criminalize criticism.
Politicians who believed in American values would denounce this behavior, even if it came from their own leader. Republicans have been silent at best, and many are expressing approval. So it’s now crystal clear that the G.O.P. is not a normal political party; it is an American equivalent of Hungary’s Fidesz or Poland’s Law and Justice, an authoritarian regime in waiting.
And I think — I hope — that those who have spent years denying this reality are finally coming around.
It’s important to understand that the G.O.P. hasn’t suddenly changed, that Trump hasn’t somehow managed to corrupt a party that was basically O.K. until he came along. Anyone startled by Republican embrace of wild conspiracy theories about the deep state must have slept through the Clinton years, and wasn’t paying attention when most of the G.O.P. decided that climate change was a hoax perpetrated by a vast global scientific cabal.
And anyone shocked by Republican acceptance of the idea that it’s fine to seek domestic political aid from foreign regimes has forgotten (like all too many people) that the Bush administration took us to war on false pretenses — not the same sin, but an equally serious betrayal of American political norms.
No, Trump isn’t an aberration. He’s unusually blatant and gaudily corrupt, but at a basic level he’s the culmination of where his party has been going for decades. And U.S. political life won’t begin to recover until centrists face up to that uncomfortable reality.
L’esperienza dei centristi fanatici,
di Paul Krugman
È difficile credere che siano passate appena tre settimane da quando Adam Schiff, il Presidente della Commissione Intelligence della Camera, emise un misterioso mandato di comparizione al facente funzione del direttore dei servizi segreti nazionali, chiedendo che producesse una denuncia di un informatore presentata da qualcuno nell’ambiente dei servizi.
Dal momento in cui quel mandato fu emesso, la proceduta della messa in stato di accusa è passata dalla inverosimiglianza alla quasi certezza; almeno io trovo difficile comprendere come la Camera possa rinunciare alla messa in stato d’accusa considerato quello che già sappiamo delle iniziative di Trump. La condanna da parte del Senato resta un esito improbabile, ma non così improbabile come sembrava un tempo.
E l’intero tenore del nostro dibattito nazionale è cambiato. Mi pare che stiamo assistendo al rapido collasso di una fazione potente nella vita pubblica degli Stati Uniti, quella il cui rifiuto ad accettare i fatti in conflitto con i suoi pregiudizi è stata per lungo tempo una fonte importante di disordine politico.
Ma non mi riferisco agli estremisti di destra che dominano nel Partito Repubblicano. Spiacente, ma quelli non vanno a nessuna parte. La maggioranza della base di Trump segue strettamente lui, mentre la lista dei politici repubblicani eminenti disponibili a sfidare con chiarezza le malefatte di Trump consiste sino ad oggi in Mitt Romney, e in nessun altro oltre lui.
No, sto parlando dei centristi fanatici, che non sono una larga fetta dell’elettorato, ma hanno giocato un ruolo ingombrante nelle opinioni delle elite e nei resoconti dei media. Sono le persone che possono essere state disponibili ad ammettere che Trump fosse un cattivo soggetto, ma hanno comunque tenuto fermo, alla faccia dell’evidenza, che i due principali partiti fossero in sostanza equivalenti: ciascun partito ha avuto i suoi estremisti, ma ciascuno ha anche avuto i suoi moderati, e tutto andrebbe bene se questi moderati potessero lavorare assieme.
Di chi sto parlando? Ebbene, tra gli altri, di Joe Biden, che ha ripetutamente insistito che Trump è una aberrazione, non è rappresentativo del Partito Repubblicano nel suo complesso (il rifiuto di Biden di ammettere ciò a cui si è trovato di fronte può essere una spiegazione al fatto che la sua risposta alla diffamazione ucraina è sembrata così debole).
Alcuni di noi hanno respinto per molti anni tale visione del mondo, sostenendo che il Partito Repubblicano odierno è una forza sempre più radicale che si oppone alla democrazia. Nel passato 2003 io scrissi che il conservatorismo moderno è “un movimento i cui dirigenti non accettano la legittimità del nostro attuale sistema politico”. Nel 2012, Thomas Mann e Norman Ornstein affermarono che il problema centrale della politica americana era un Partito Repubblicano che non solo era estremista ma “sprezzante sulla legittimità dei suoi avversari politici”.
Per un lungo tempo, tuttavia, ad avanzare quell’argomento – mettendo in evidenza che i repubblicani apparivano sempre più autoritari e disposti a violare una norma democratica dietro l’altra – si veniva liquidati come striduli se non come pazzoidi. Persino l’avvento di Trump, e gli evidenti parallelismi tra il trumpismo e i movimenti autoritari che hanno distrutto la democrazia in luoghi come l’Ungheria e la Polonia, hanno appena scalfito la noncuranza centrista. Si ricordi, solo pochi mesi orsono la maggioranza dei media dell’informazione trattavano la sintesi altamente fuorviante del Procuratore Generale William Barr del rapporto Mueller come credibile.
Ma la mia impressione, per quanto sia impossibile quantificarla, è che gli eventi delle settimane passate abbiano alla fine perforato il muro del negazionismo centrista.
A questo punto, ciò che in precedenza era semplicemente ovvio è diventato innegabile. Sì, Trump ha invitato potenze straniere a intervenire nel suo interesse nella politica statunitense; l’ha perfino fatto sotto registrazione. Sì, ha sostenuto che I suoi avversari politici interni sono responsabili di tradimento per aver esercitato i loro diritti costituzionali di sorveglianza, e chiaramente non vede l’ora di usare il sistema giudiziario per criminalizzare le critiche.
Politici che credevano nei valori americani avrebbero denunciato questo comportamento, anche se provienente dal loro stesso leader. Nel migliore dei casi, i repubblicani sono stati zitti, e molti hanno espresso approvazione. Dunque, adesso è chiaro in modo cristallino che il Partito Repubblicano non è un partito politico normale; è l’equivalente americano dell’ungherese Fidesz o del polacco Legge e Giustizia, un regime autoritario in formazione.
Io penso – spero – che coloro che hanno speso anni a negare questa realtà stiano finalmente cambiando opinione.
È importante comprendere che il Partito Repubblicano non è improvvisamente cambiato, che Trump non è riuscito a corrompere un partito che era fondamentalmente a posto prima della sua comparsa. Chiunque è stato colto di sorpresa dall’abbraccio repubblicano alle teorie più estreme della cospirazione da parte del ‘ventre molle dello Stato’, doveva aver dormito negli anni di Clinton e non prestava attenzione quando la maggioranza del Partito Repubblicano decise che il cambiamento climatico era una bufala perpetrata da un vasto complotto scientifico globale.
E chiunque è colpito dalla accettazione repubblicana dell’idea che non c’è niente di male nel cercare aiuti nella politica interna da parte di regimi stranieri si è scordato (come anche troppa gente) che l’Amministrazione Bush ci portò in una guerra sulla base di falsi pretesti – non lo stesso peccato, ma un tradimento delle regole americane egualmente serio.
No, Trump non è un’aberrazione. Egli è in modo inconsueto spudorato e esibizionista nella sua corruzione, ma fondamentalmente è il culmine di quello a cui il suo partito mirava da decenni. E la vita politica degli Stati Uniti non comincerà a riprendersi finché i centristi non faranno i conti con questa realtà sconfortante.
By mm
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