By Paul Krugman
October 29, 2019
Today’s column is about our trillion dollar deficit, which nobody seems to care about. The thing is, this lack of concern is justified: There’s no good reason to believe that the current budget deficit is doing significant harm.
What did do a lot of harm was the deficit hysteria that dominated establishment discourse the last time we had a deficit this big, which also happened to be a period during which the economy was deeply depressed, and the stimulus from deficit spending was actually a good thing. It should have been obvious that obsessing about deficits in 2012 was a huge mistake. What’s relatively new — and something I couldn’t get into at length in the column — is the realization that government debt isn’t much of a problem even at full employment.
One reason people find this hard to understand is that they make an analogy between the nation as a whole and an individual family. This leads to sober-sounding warnings that budget deficits amount to stealing from our children, in the same way that spendthrift parents are squandering their heirs’ inheritance.
This analogy, however, is all wrong. Debt is money we owe to ourselves — that is, for the most part it obliges one group of Americans, taxpayers, to make payments to another group of Americans, bondholders. It doesn’t directly make the nation poorer, at all. (O.K., there’s a small caveat: some debt is held by foreigners. But it’s not quantitatively important.)
Now, there might be indirect ways in which debt makes us poorer. To pay interest, the government might have to spend less or collect more taxes than it would have otherwise. And this could hurt growth — for example, high taxes could reduce incentives to produce and invest.
What economists have come to realize, however, is that even these indirect costs of debt may be negligible.
Why, after all, must a government raise taxes to deal with a higher level of debt? The usual answer is that if it doesn’t, the debt will snowball: the government will have to pay more in interest, which will cause the debt to rise further, leading to even more interest payments, and so on.
But nobody cares about the absolute value of debt; what matters is the ratio of debt to the tax base, which for the federal government is basically the whole economy, i.e., G.D.P. And a rise in the debt/G.D.P. ratio doesn’t snowball — it melts! Why? Because the interest rate on federal debt is normally lower than the economy’s growth rate.
Right now, in particular, U.S. 10-year bonds are paying less than 2 percent, while G.D.P. normally grows around 4 percent a year — half real, half rising prices. So even if the government only raised enough money to pay noninterest expenses, totally ignoring interest, debt would grow more slowly than the economy, and the ratio to G.D.P. would shrink over time. So the government does need, more or less, to pay for what it spends, but taking on more debt now won’t make that task any harder in the future.
I don’t want to say that debt never does any harm. And if you’re going to run up debt, it should be for a good purpose, like rebuilding infrastructure, not to give rich people even more money to spend on luxuries. But debt isn’t a huge evil, and bringing it down shouldn’t be anyone’s priority.
The debt crisis in Europe motivated a lot of the hysteria here. But that crisis vanished for everyone but Greece when Mario Draghi, the outgoing president of the European Central Bank, said three words — “whatever it takes” — which markets saw as a pledge to provide cash if needed. And now even Greece has interest rates below 2 percent.
Olivier Blanchard, the immensely respected former chief economist of the International Monetary Fund, on why debt isn’t as scary as you think.
The very establishment Larry Summers and Jason Furman make a similar argument.
L’articolo di oggi [2] riguarda il nostro deficit di mille miliardi di dollari, del quale nessuno pare preoccuparsi. Questa assenza di preoccupazione è giustificata. Non c’è alcuna buona ragione per credere che l’attuale deficit di bilancio stia provocando un danno significativo.
Quello che provocò un grande danno fu l’isteria del deficit che dominò il dibattito nelle classi dirigenti l’ultima volta che avemmo un deficit così grande, che si dà il caso fosse un periodo nel quale l’economia era profondamente depressa, e lo stimolo della spesa in deficit fu effettivamente una cosa positiva. Avrebbe dovuto essere evidente che l’ossessione dei deficit nel 2012 fu un enorme errore. Quello che è relativamente nuovo – e qualcosa da cui non ho potuto diffondermi in dettaglio nell’articolo – è la comprensione che il debito del Governo non è un grande problema neppure in una situazione di piena occupazione.
Una ragione per la quale le persone trovano questo difficile da capire e che esse stabiliscono una analogia tra la nazione nel suo complesso e una famiglia individuale. È questo che porta agli ammonimenti, che sembrano misurati, secondo i quali il deficit corrisponde a un furto verso i nostri figli, nello stesso modo in cui i genitori spendaccioni dilapidano l’eredità dei loro eredi.
L’analogia, tuttavia, è completamente sbagliata. Il debito è denaro che prestiamo a noi stessi – ovvero, per la maggior parte esso obbliga un gruppo di americani, i contribuenti, a fare pagamenti a un altro gruppo di americani, i possessori di obbligazioni. Esso non rende affatto la nazione più povera (è vero, c’è un piccolo avvertimento: una parte del debito è posseduta da stranieri. Ma essa non è quantitativamente importante).
Ora, ci potrebbero essere modi indiretti nei quali il debito ci rende più poveri. Col pagamento degli interessi, il Governo potrebbe dover spendere di meno o raccogliere maggiori tasse di quanto avrebbe dovuto altrimenti. E questo potrebbe ridurre la crescita – ad esempio, tasse elevate potrebbero ridurre gli incentivi a produrre ed a investire.
Quello che gli economisti sono arrivati a comprendere, tuttavia, è che anche questi costi indiretti del debito sono trascurabili.
Dopo tutto, perché il Governo deve alzare le tasse per misurarsi con un livello più elevato del debito? La risposta consueta è che, se non lo fa, il debito crescerà a dismisura: il Governo dovrà pagare di più in interessi, il che farà crescere il debito ulteriormente, portando a pagamenti per gli interessi persino maggiori, e così via.
Ma in questo modo non si considera il valore assoluto del debito; quello che conta è il rapporto tra il debito e la base fiscale, che per il Governo è fondamentalmente l’economia nel suo complesso, ovvero il PIL. E una crescita nel rapporto debito/PIL non sale a dismisura – piuttosto si dissolve! Perché? Perché il tasso di interesse sul debito federale è normalmente più basso del tasso di crescita dell’economia [3].
In questo momento in particolare, i bond decennali degli Stati Uniti stanno rendendo meno del 2 per cento, mentre il PIL normalmente cresce del 4 per cento all’anno – per metà reale, per metà a seguito dell’aumento dei prezzi. Dunque persino se il Governo soltanto raccogliesse denaro sufficiente per pagare le spese non dipendenti dagli interessi, ignorando totalmente gli interessi, il debito crescerebbe più lentamente dell’economia. E il rapporto col PIL si ridurrebbe nel tempo. Dunque, il Governo ha davvero bisogno di pagare per ciò che spende, ma assumere più debito oggi non renderà quell’obbiettivo in alcun modo più difficile in futuro.
Non voglio dire che il debito non produca mai danni. E se avete intenzione di innalzare il debito, dovrebbe essere per buoni propositi, come ricostruire le infrastrutture, non per dare ai ricchi persino più denaro da spendere in generi di lusso. Ma il debito non è un male assoluto, e ridurlo non dovrebbe essere la priorità di nessuno.
Riscontri
La crisi del debito in Europa fu all’origine di una grande isteria qua da noi. Ma quella crisi svanì per tutti ad eccezione della Grecia quando Mario Draghi, il Presidente uscente della Banca Centrale Europea, disse tre parole – “whatever it takes” (“tutto quello che serve”) – che i mercati considerarono come un impegno a fornire denaro contante se necessario. E adesso persino la Grecia ha tassi di interesse inferiori al 2 per cento.
Olivier Blanchard, il precedente economista principale del Fondo Monetario Internazionale che gode di immenso rispetto, sulle ragioni per le quali il debito non è così terribile quanto si pensa.
Un simile argomento viene avanzato da Larry Summers e Jason Furman, economisti assai apprezzati anche dai gruppi dirigenti statunitensi.
[1] Questa è l’ultima newsletter di Krugman, una nuova serie di interventi che finalmente inizio a tradurre (le precedenti, circa una decina, non ero riuscito a impaginarle. Adesso mi pare di avere imparato a risolvere il problema).
La cadenza di questi interventi è settimanale e il loro interesse – che credo si noterà facilmente – consiste nel fatto di affrontare temi fondamentalmente, ma non soltanto, economici in modo breve ma talora con un approfondimento analitico superiore agli articoli settimanali sul New York Times.
Cercherò di rimediare in seguito alle newsletter che sono saltate. Chi volesse ricevere nella propria posta questi brevi articoli, ovviamente in lingua inglese, è sufficiente che invii una mail a: krugman-newsletter@nytimes.com
[2] Il riferimento è all’articolo del 28 ottobre su New York Times dal titolo: “Il debito, i profeti di sciagure e il doppio standard”, qua tradotto.
[3] Krugman rimanda ad un suo post del 9 gennaio 2019, qua tradotto con il titolo “Effetti valanga che si sciolgono e l’inverno del debito”, nel quale aveva commentato la fondamentale prolusione di Olivier Blanchard alla American Economic Association. Sullo stesso tema si può rintracciare anche un intervento qua tradotto di Simon Wren-Lewis.
By mm
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