Nov 25, 2019
By Paul Krugman
The story that has emerged in the impeachment hearings is one of extortion and bribery. Donald Trump withheld crucial aid — aid Ukraine needed to defend itself against Russian aggression — and refused to release it unless Ukraine publicly said it was investigating one of his political rivals. Even Republicans understand this; they just think it’s O.K.
And remember, the Ukraine scandal made it into the public eye only because a single whistle-blower set an investigation in motion. I know I’m not alone in wondering how many other comparable scandals haven’t come to light.
Nor need these scandals involve foreign governments. What I haven’t seen pointed out is that Trump is quietly applying a Ukraine-type extortion-and-bribery strategy to U.S. corporations. Many businesses are being threatened with policies that would hurt their bottom lines — especially, but not only, tariffs on imported goods crucial to their operations. But they are also being offered the possibility of exemptions from these policies.
And the implicit quid pro quo for such exemptions is that corporations support Donald Trump, or at least refrain from criticizing his actions.
Consider, for example, what happened last week, when Trump toured an Apple manufacturing plant together with Tim Cook, Apple’s C.E.O. Trump used the occasion to make a political speech, attacking impeachment proceedings and falsely claiming that Nancy Pelosi has “closed Congress.” He also asserted that the plant, which has been operating since 2013, had just opened.
And Cook, far from correcting these falsehoods, expressed support, declaring that America has the “strongest economy in the world.”
Cook’s incentive to play along was obvious. Apple assembles many of its products in China; it’s seeking exemptions from Trump’s China tariffs. And there’s every reason to believe that the allocation of such exemptions is driven by politics, not the national interest.
For example, in 2018 a company owned by Oleg Deripaska — an oligarch close to Vladimir Putin, who is supposed to be under U.S. sanctions for activities that include interference in foreign elections — received a waiver from aluminum tariffs. The waiver was withdrawn only after Democrats in Congress noticed it, with the Commerce Department claiming that it had been granted as a result of a “clerical error.” Uh-huh.
By the way, if you’re wondering why the Trump administration has the power to play favorites, it’s because U.S. trade law gives the president a lot of discretion in setting tariffs. The purpose of that discretion was to diminish the power of special interests in Congress, based on the assumption that the president would be better at serving the national interest. But then came Trump.
And tariff policy isn’t the only area in which the administration seems to be using its power to punish corporations if they don’t show proper political fealty.
Recently the Pentagon granted the huge Joint Enterprise Defense Infrastructure contract for cloud computing (yes, JEDI) to Microsoft, shocking observers who expected it to go to Amazon. Amazon is challenging the decision, claiming that it was punishment for critical reporting in The Washington Post, now owned by Jeff Bezos — a claim that is entirely plausible, given Trump’s own repeated declarations that he was going to give Bezos “problems.”
Trump officials claim, of course, that the decision process was squeaky-clean, based on expert judgment untainted by any political influence. But seriously, is anything clean in this administration? Are we really supposed to accept on faith that people who are willing to politicize weather forecasts were totally hands-off when it came to awarding a huge, lucrative contract to a company Trump considers an enemy?
When I and others point out the ways in which Trump is using crony capitalism to lock in political advantage, we tend to get two kinds of pushback. First, we’re told that we shouldn’t feel sympathy for wealthy corporations. Second, we’re told that progressive Democrats also criticize some corporations, like Facebook, and have proposed a crackdown on some kinds of corporate behavior. So what’s the difference?
Well, these critiques (willfully, one suspects) miss the point. What progressives are proposing are rules for corporate behavior that would apply equally to all companies, not be imposed selectively on corporations depending on their political orientation.
And the trouble with Trump’s selective doling out of punishment isn’t the harm it inflicts on corporations, it’s the incentives this regime creates for political sycophancy. American voters and American democracy, not Apple and Amazon — which are, as it happens, notorious examples of tax avoidance — are the victims we care about.
Put it this way: By using his political power to punish businesses that don’t support him while rewarding those that do, Trump is taking us along the same path already followed by countries like Hungary, which remains a democracy on paper but has become a one-party authoritarian state in practice. And we’re already much further down that road than many people realize.
Trump offre alle imprese americane il trattamento ucraino,
di Paul Krugman
Nelle audizioni per la messa in stato d’accusa è emersa una storia di estorsione e di corruzione. Donald Trump ha tenuto in sospeso un aiuto fondamentale – l’aiuto di cui l’Ucraina ha bisogno per difendersi dalla aggressione russa – ed ha rifiutato di consegnarlo a meno che l’Ucraina non dicesse pubblicamente che stava svolgendo indagini sui suoi avversari politici. Lo capiscono persino i repubblicani; solo pensano che sia giusto.
E si rammenti che lo scandalo ucraino è diventato di dominio pubblico solo perché un unico informatore ha messo in moto una indagine. So che non sono il solo a chiedermi quanti altri scandali paragonabili non sono venuti alla luce.
Non c’è neppure bisogno che questi scandali coinvolgano governi stranieri. Quello che non ho visto sottolineare è che Trump sta tranquillamente applicando una strategia di estorsione e corruzione sul modello ucraino nei confronti delle grandi società americane. Molte imprese vengono minacciate con politiche che danneggerebbero i loro equilibri di bilancio – in particolare, ma non solo, le tariffe sui beni importati cruciali nelle loro attività. Ma viene loro anche offerta la possibilità dell’esenzione da queste politiche.
E l’implicito “quid pro quo” di tali esenziooni è che le società sostengano Donald Trump, o che almeno si astengano dal criticare le sue iniziative.
Si consideri, ad esempio, quello che è accaduto la scorsa settimana, quando Trump ha fatto una visita ad uno stabilimento manifatturiero della Apple assieme a Tim Cook, l’amministratore delegato della Apple. Trump ha utilizzato la circostanza per fare un discorso politico, attaccando le procedure di messa in stato d’accusa e affermando falsamente che Nancy Pelosi ha “chiuso il Congresso”. Ha anche asserito che lo stabilimento, che è in funzione dal 2013, era appena stato aperto.
E Cook, lungi dal correggere queste falsità, ha espresso sostegno, dichiarando che l’America è “la più forte economia del mondo”.
L’incentivo di Cook a stare al gioco era evidente. Apple assembla molti suoi prodotti in Cina ed è alla ricerca di esenzioni sulle tariffe verso la Cina di Trump. E ci sono tutte le ragioni per credere che la allocazione di tali esenzioni venga guidata dalla politica, non da interessi nazionali.
Ad esempio, nel 2018 una società di proprietà di Oleg Deripaska – un oligarca vicino a Vladimir Putin, che si suppone sia soggetto alle sanzioni statunitensi per attività che includono l’interferenza in elezioni straniere – ha ricevuto un esonero dalle tariffe sull’alluminio. L’esenzione è stata ritirata solo dopo che i Democratici del Congresso se ne erano accorti, con il Dipartimento del Commercio che sosteneva che fosse stata la conseguenza di un “errore d’ufficio”. Proprio così.
Per inciso, se vi chiedete perché l’Amministrazione Trump abbia il potere di fare favoritismi, ciò dipende dal fatto che la legge commerciale americana dà al Presidente una gran quantità di poteri discrezionali nel fissare le tariffe. Lo scopo di tale discrezionalità era quello di attenuare il potere degli interessi costituiti nel Congresso, sulla base dell’assunto che il Presidente sarebbe stato meglio al servizio degli interessi nazionali. Ma poi arrivò Trump.
E la politica delle tariffe non è la sola area nella quale l’Amministrazione sembra stia usando il suo potere per punire le società che non mostrano una adeguata fedeltà politica.
Di recente il Pentagono ha assegnato il grandissimo contratto per cloud computing [1] denominato Connessione con l’Infrastruttura delle Attività della Difesa (l’acronimo in inglese è proprio JEDI) alla Microsoft, lasciando stupefatti gli osservatori che si aspettavano andasse ad Amazon. Amazon sta impugnando la decisione, sostenendo che sia stata una punizione per il giornalismo critico di The Washington Post, adesso posseduto da Jeff Bezos – argomento che è interamente plausibile, considerate le stesse ripetute dichiarazioni di Trump secondo le quali era sua intenzione dare a Bezos “problemi”.
I dirigenti di Trump sostengono, naturalmente, che il processo decisionale sia stato immacolato, basato su un giudizio competente scevro da ogni influenza politica. Ma, seriamente, c’è una qualsiasi cosa pulita in questa Amministrazione? Si pensava davvero che accettassimo sulla fiducia che individui disposti a politicizzare le previsioni atmosferiche [2] non mettessero il becco quando si arrivava ad assegnare un enorme, lucrativo contratto ad una società che Trump considera un nemico?
Quando io ed altri mettiamo in evidenza i modi nei quali Trump sta usando il capitalismo clientelare per assicurarsi un vantaggio politico, otteniamo di solito due tipi di reazioni. La prima, ci viene detto che non avremmo simpatia per le società dei ricchi. La seconda, ci viene detto che anche i democratici progressisti criticano alcune grandi società, come Facebook, ed hanno proposto un giro di vite su alcune condotte delle società. Dunque, qual è la differenza?
Ebbene, a queste critiche (si sospetta, intenzionalmente) sfugge la sostanza. Ciò che i progressisti stanno proponendo sono regole per i comportamenti societari che si applicherebbero nello stesso modo a tutte le società e non sarebbero imposte selettivamente sulle società a seconda del loro orientamento politico.
E il guaio con la selettiva dispensa di punizioni da parte di Trump non è il danno che essa infligge sulle società, sono gli incentivi che questo regime crea alla piaggeria politica. Gli elettori e la democrazia americana, non Apple ed Amazon – che si dà il caso siano noti esempi di elusione fiscale – sono le vittime che ci interessano.
Mettiamola così: usando il suo potere politico di punire le imprese che non lo sostengono e di premiare quelle che lo fanno, Trump ci sta portando sullo stesso sentiero già seguito da paesi come l’Ungheria, che sulla carta resta una democrazia ma in pratica è diventata uno Stato autoritario a partito unico. E noi siamo già molto più avanti su quella china di quanto molta gente comprenda.
[1] In italiano si traduce con “nuvola informatica”, cosicché si capisce anche di meno. Con Wikipedia si ottiene questa precisazione: “si indica un paradigma di erogazione di servizi offerti on demand da un fornitore ad un cliente finale attraverso la rete Internet (come l’archiviazione, l’elaborazione o la trasmissione dati), a partire da un insieme di risorse preesistenti, configurabili e disponibili in remoto sotto forma di architettura distribuita”.
[2] Scandalo “minore” di qualche settimana fa, quando i tecnici della agenzia meteorologica statunitense hanno “corretto” il corso prevedibile di un uragano, in modo da includere nel tragitto aree che Trump aveva stabilito dovessero allertarsi.
By mm
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